FTAOnline

L’enigma cinese della deflazione testarda

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
6 min

Prezzi ancora in calo a marzo, le feste manomettono lo scenario, ma nei dati ci sono tutte le grandi sfide della Repubblica Popolare, dalla debolezza della domanda interna all’opacità dei nuovi modelli di sviluppo, dal mattone al chip

L’enigma cinese della deflazione testarda

A marzo in Cina i prezzi hanno deluso ancora, ma in un modo affatto particolare nel contesto globale. La Repubblica Popolare ha infatti da tempo problemi di deflazione, l’opposto esatto della crisi occidentale che ha visto i prezzi divampare e i tassi d’interesse stringerli in una mossa che in Europa è diventata recessione o quasi. A Beijing la crisi parla insomma un’altra lingua, ma per capirla bisogna passare dai prezzi anche lì.

Cina, la deflazione di marzo dopo la festa

A marzo il National Bureau of Statistics ha registrato un calo mensile dei prezzi al consumo dell’1% sui 29 giorni precedenti, una frenata un po’ brusca.  
L’inflazione CPI cinese è inoltre cresciuta dello 0,1% appena sul marzo del 2023, in forte rallentamento dello 0,7 precedente.

Entrambi i dati mostrano dinamiche di prezzo inferiori alle attese e alla rilevazione precedente e mettono una seria ipoteca sull’attesa rimonta del Dragone che pure gli ultimi dati avevano lasciato sperare.

Dong Lijuan, il capo statistico della National Bureau che purtroppo in tempo reale parla solo cinese e traduce in inglese sempre troppo tardi per i tempi un po’ frenetici della statistica macroeconomica globale, ha minimizzato: c’è stata la lunga vacanza e quindi è normale che la domanda cali dopo, l’inflazione in calo dello 0,1% su base annua mostra una dinamica moderata, l’inflazione “core” flette dello 0,6% appena, ancora meno.

La dinamica dei prezzi ha sempre un potere euristico decisivo su un’economia: dice come stanno le cose da vicino. Il calo mensile dell’inflazione (-1%) è dovuto per oltre il 50% ai prezzi degli alimentari e si notano soprattutto il deprezzamento dell’11% delle verdure fresche e del 6,7% della carne di maiale. Oltre al cibo sono calati dopo le feste – ovviamente – i prezzi dei trasporti: i biglietti aerei sono diminuiti del 27,4%, il costo dei noleggi per trasporto del 15,9%, i prezzi dei viaggi del 14,2% Stagionalità in una parola e infatti tra i pochi articoli in rialzo si notano quelli dell’abbigliamento (con il cambio appunto di stagione) che sono cresciuti dello 0,6% soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi internazionali di oro e petrolio.

I prezzi al consumo cinesi non sono una faccenda domestica. Il lusso occidentale, compresi molti colossi italiani e francese, segna una differenza nel conto economico complessivo anche e soprattutto sulla base della domanda cinese in questa fase. La Cina è un mercato da più di 1,4 miliardi di persone ed è la seconda economia del mondo oltreché un consumatore formidabile di materie prima e prodotti che compra all’estero. Così i suoi prezzi di oggi sono da tenere sott’occhio quasi quanto quelli che ieri dagli Stati Uniti hanno scosso i mercati globali.

Cina, il riassunto delle puntate precedenti

In un’analisi di ampio respiro Reuters evidenzia perché la persistenza della deflazione in Cina è un nuovo segnale di allarme. È utile come un riassunto delle puntate precedenti.

La Cina non ha preso bene la pandemia, la gelata di un Gigante come quello, ha scosso tutto il mondo e non da ultimo le catene globali di fornitura che si stanno ancora riprendendo.

Il pil cinese crollato al 2,2% nel 2020 era rimbalzato nel 2021 dell’8,1% lasciando sperare in una ripresa formidabile che avrebbe rilanciato l’economia globale. Ma la crisi immobiliare che vide nel caso di Evergrande l’emblema di crepe profonde apertesi nel modello di crescita di Xi Jinping rese effimera quella speranza e la soffocò in una serie di crisi ancora in corso. La crescita si rivelò di nuovo troppo fragile per un contesto impetuoso e difficile come quello della Repubblica Popolare, il 3% soltanto del 2022 conclamò la debacle e il 5% del 2023 è stato una rimonta ancora carica di incertezze e di punti interrogativi.
Come appunto quello sui prezzi.

Cina, le sfide davanti

Perché un’economia sana, come quella degli Stati Uniti, deve produrre inflazione e perché esauritosi il carburante degli investimenti immobiliari come ricetta per la crescita, il colosso cinese deve ancora trovare la nuova strategia nel contesto sfidante del boicottaggio statunitense sulle filiere e sulla tecnologia.

La vecchia e cara manifattura che ha proiettato la Cina nello status di seconda economia del mondo può essere una soluzione, ma solo se si raggiunge un equilibrio. Così la ricetta storica di Xi Jinping di una trasformazione della Cina da fabbrica del mondo a mercato del mondo, con l’accento spostato sui consumi invece che sulla produzione, si fa carica di insidie e contraddizioni.

Investire nella produzione per vendere all’estero (la domanda di beni cinesi non è mai crollata, sebbene minacciata dal reshoring e dai dazi occidentali) e nel mercato domestico richiede la capacità di competere, ma anche di consumare.

Così in questa fase i prezzi al consumo cinesi, proprio l’inflazione CPI di cui stiamo parlando, diventano un termometro rovente. Hanno smesso di calare per fortuna, ma i forti investimenti nella manifattura stanno già pesando molto sui prezzi alla produzione e minacciano gli altri panieri.

Oggi il Bureau cinese ha infatti pubblicato anche i dati IPP, dei prezzi alla produzione, e mostrano un calo annuale del 2,8% superiore al 2,7% precedente e molto elevato in valore assoluto. Dong Lijuan evidenzia che il -0,1% mensile è un miglioramento sul -0,2% precedente.

Ma è una vittoria di Pirro perché riverbera una vittoria ancora fragile sulla stagnazione della domanda. Su base annua i prezzi dei mezzi di produzione sono calati del 3,5% I prezzi calano del 5,8% nell’industria mineraria, del 2,9% in quella delle materie prime, del 3,6% nella trasformazione.

A monte della filiera insomma c’è ancora crisi e probabilmente, oltre alla sfiducia generale nell’economia e al pressing della disoccupazione (è salita al 5,3%), rialimenterà quella deflazione dei prezzi al consumo che trova una ragione importante in una generale debolezza dei consumi, anche al di là dei fattori stagionali imposti dalle festività sugli ultimi dati.

Il dubbio secondo alcuni osservatori è che la Cina non ha ancora ridirezionato il flusso dei finanziamenti pubblici dalla produzione al consumo e così si espone alle fragilità della propria economia che in questo momento ha bisogno di domanda.

È vero che gli investimenti diretti stranieri stanno rallentando e che la competizione tecnologica e produttiva sulle maggiori filiere strategiche mondiali è fiera, più fiera che mai, ma è anche vero che questo assetto boicotta implicitamente la politica monetaria cinese. Perché la politica monetaria accomodante di Beijing tesa al supporto del rilancio economico stride con la deflazione diffusa di cui abbiamo parlato.

È forse necessario per risanare le ferite della crisi immobiliare che non sono ancora del tutto guarite, ma i dati di oggi testimoniano che c’è ancora molta strada da fare.

I segnali positivi per l’economia cinese nelle ultime settimane sono giunti, Citi ha alzato le previsioni di crescita del Pil al 5% e Nomura dal 4 al 4,2%. Sono giunti diversi dati positivi dall’export, alla produzione industriale, alle vendite al dettaglio. Dati che hanno lasciato sperare in una ripresa in accelerazione in diversi giorni, ma non oggi.