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Russia verso il default, i casi di Unicredit e Intesa Sanpaolo

di FTA Online News pubblicato:
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Oggi per Mosca una scadenza che potrebbe avviare il fallimento, pesanti conseguenze per tutti. Intanto le banche si ritirano, Intesa Sanpaolo pubblica le esposizioni russe e Unicredit valuta i rischi.

Russia verso il default, i casi di Unicredit e Intesa Sanpaolo

Oggi potrebbe scattare il conto alla rovescia per il default della Russia, un evento dagli effetti devastanti e imprecisati non soltanto per Mosca, ma anche per imprese nazionali e internazionali, con effetti tutti da misurare sui mercati globali. Scadono oggi infatti i pagamenti da 117 milioni di dollari collegati a due eurobond denominati nella valuta statunitense e se la Russia non onorerà i pagamenti sarà avviato il processo per il default, ma con dei distinguo.

Innanzitutto va precisato che il mancato pagamento degli interessi farebbe scattare un periodo di grazia di 30 giorni” che potrebbe rinviare al 15 aprile il redde rationem con i mercati.

C’è poi il timore che Mosca decida di rimborsare il proprio debito nella svalutatissima moneta del rublo, violando comunque gli accordi. Il ministro delle Finanze russo Anton Siluanov ha dichiarato domenica di ritenere “assolutamente giusto” che Mosca paghi il proprio debito sovrano con i rubli finché le sanzioni occidentali congelano circa 300 miliardi di dollari di riserve in valuta estera nel Paese.

Russia, cresce l’isolamento finanziario

Dopo il taglio al livello di junk bond del debito pubblico russo, l’isolamento finanziario del Paese e la stretta delle sanzioni occidentali pochi rimangono ottimisti. Il default sarebbe comunque un caso storico. La maggior parte degli analisti ricorda quello del 1998, quando si registrò un primo “evento”, ma soltanto sul debito domestico. Per vedere un fallimento in valuta estera della Russia bisogna tornare indietro fino alla rivoluzione bolscevica del 1917. Non a caso fioccano i tentativi di confronto del potenziale default russo con quelli più recenti visti in Venezuela e in Argentina, terremoti che però potrebbero avere effetti assai più limitati di quello che si intravede all’orizzonte.

I mercati sono sostanzialmente impreparati perché la guerra in Ucraina ha sconvolto il gioco molto rapidamente: fino a poche settimane un default dell’economia russa, che incassava miliardi ogni anno dall’Occidente con la vendita di gas e materie prime, sembrava impensabile.

Il merito di credito “investment grade”, perduto soltanto dopo lo scoppio delle ostilità, aveva permesso a fondi pensioni e investitori istituzionali di tutto il mondo di esporsi sul mercato russo.
Adesso il default potrebbe scatenare un’ondata di insolvenze su un debito in valuta straniera stimato nell’ordine di 150 miliardi di dollari tra esposizione dello Stato e di colossi privati come Gazprom, Sberbank o Lukoil.

Potrebbero scottarsi le dita giganti finanziari Usa come BlackRock e Pimco, ma Bloomberg cita anche Ashmore Group, Capital Group e Fidelity. Lo scorso 8 marzo l’agenzia Fitch, tagliando il rating del Paese a C, aveva affermato che il default del debito sovrano russo era imminente.

Il terremoto finanziario sarebbe però gestibile, le maggiori conseguenze potrebbero venire dalle materie prime, dagli interscambi essenziali su gas e metalli indispensabili per le nostre produzioni. La stretta farebbe male anche a noi. Intanto i maggiori operatori internazionali prendono le distanze e isolano il Paese. Toyota e Volkswagen hanno deciso di bloccare la produzione di auto in Russia e sono soltanto le ultime di una lunga fila di investitori e industrie in fuga. Anche l’Italia ha cominciato ad arretrare.

Russia, il caso di Unicredit

Per l’Italia non è facile, legami profondi sono in gioco: le due maggiori banche, Unicredit e Intesa Sanpaolo, sono tra più esposte in Europa al mercato russo insieme a SocGen e Raiffeisen. Ogni mossa va dunque pesata con cura. La morsa delle sanzioni però stringe.

Unicredit per prima ha comunicato al mercato l’esposizione alla Russia. Ha ricordato lo scorso 8 marzo di essere presente nel Paese dal 2005. Ieri l’amministratore delegato Andrea Orcel ha ammesso di valutare l’uscita dal Paese. Non è una decisione presa, ma la possibilità è sul tavolo. In Russia a fine 2021 Unicredit aveva una posizione creditoria di 7,8 miliardi di euro finanziata però in loco. A rischio sarebbe soprattutto il patrimonio netto da 2,5 miliardi di euro di Unicredit Bank Russia che potrebbe essere ceduta. Ci sono poi le esposizioni prevalenti verso multinazionali russe in euro e in dollari (oil&gas, trasporti, metalli, prodotti chimici), 1500 imprese clienti, altre 1250 società UE che fanno affari nel Paese.

C’è in gioco il destino dei circa 4 mila dipendenti della settantina di filiali russe. La guerra spinge verso un’uscita che pare sempre più inevitabile, ma ci saranno delle conseguenze. Il gruppo ha stimato un potenziale impatto di 200 punti base sul CET1 ratio (al 15,03% nel 2021), il ratio patrimoniale più importante non dovrebbe insomma scendere sotto il 13% e dovrebbe ancora consentire il pagamento del dividendo sul 2021 da 1,2 miliardi di euro. Non si dovrebbe neanche bloccare il buyback da 2,58 miliardi di euro, la condizione è ancora che il CET1 Ratio non scenda sotto il pro forma di fine 2021 e resti sopra il 13%, ma su questo fronte aleggia qualche incertezza in più tra gli osservatori.

D’altronde dallo scoppio della guerra il 24 febbraio al successivo 7 marzo Unicredit ha perso in Borsa più del 40% del proprio valore e solo dopo i chiarimenti sulle proprie esposizioni ha avviato un recupero che ha premiato la trasparenza del gruppo. Da 13 euro il titolo è scivolato fino a 7,75 e oggi torna oltre i 10,27 euro.

Russia: Intesa Sanpaolo pubblica l’esposizione

L’altra grande banca italiana presente in Russia è Intesa Sanpaolo, che nei giorni di più duro calo è arrivata a lasciare al mercato circa un terzo del proprio valore, salvo poi recuperare terreno. Dai 2,07 euro l’azione è scivolata su minimi a 1,68 per poi riportarsi oggi sopra i 2,14 euro, un terremoto senza dubbio ma su scala minore di quello di Unicredit. Proprio oggi la banca guidata dall’ad Carlo Messina ha infine deciso di comunicare la propria esposizione verso la Russia.

Sulla base della Dichiarazione di Versailles e del “REPowerEU” ha indicato crediti verso clientela e banche delle controllate locali per 1,1 miliardi di euro e del resto del gruppo per circa 4 miliardi di euro (al netto delle garanzie ECA). Non si tratta di numeri troppo distanti da quelli indicati stamane dal Corriere della Sera in esposizioni russe per 5,5 miliardi di euro.

Intesa controlla in Russia 28 filiali con circa 980 persone ed è attiva nel manufatturiero, nei servizi, nella distribuzione, nell’estrazione e altro ancora da quasi 50 anni con un ruolo attivo nell’interscambio con l’Italia. A differenza di Unicredit, Intesa è anche presente in Ucraina con Pravex Bank, circa 45 filiali, 780 persone e 300 milioni di euro di attivo totale.

Russia, in ritirata anche GS, JP Morgan, Citi e Deutsche Bank

La fuga bancaria dalla Russia sembra inesorabile con il procedere del conflitto. Goldman Sachs ha già annunciato qualche giorno fa l’intenzione di lasciare, JP Morgan ha annunciato la disattivazione delle attività nel Paese con le nuove sanzioni.

Per Citigroup la situazione è molto più complicata: il gruppo ha circa 3 mila dipendenti nel Paese e quasi 10 miliardi di dollari di esposizione. Il blog del colosso bancario USA aggiorna di continuo il mercato sulla situazione e Edward Skyler, vicepresidente esecutivo agli affari pubblici globali, ha da poco confermato una valutazione urgente e completa delle attività nel Paese, se l’uscita dal ramo consumer era già programmata, ora si valuta l’uscita dagli altri business, ma ci vorrà tempo, anche perché l’assistenza a multinazionali in uscita dal Paese è spesso complessa.

Lo stesso si può dire per un’altra grossa banca, la tedesca Deutsche Bank, che ha condannato l’attacco all’Ucraina e avviato l’uscita dal Paese, ma deve gestire rapporti con colossi non russi a loro volta in ritiro. Di recente Deutsche Bank aveva parlato di esposizioni molto limitate alla Russia e all’Ucraina (€ 1,4 mld lordi nel primo caso, € 0,6 mld nel secondo), ma c’è anche da gestire il centro tecnologico russo di Deutsche Bank: circa 1.500 dipendenti, il 5% appena dello staff complessivo tecnologico globale, ma non poco.

(Giovanni Digiacomo)