Treasury a 10 anni: un bivio cruciale tra inversione rialzista e ritorno del trend disinflazionistico
pubblicato:Borse e bond USA dipendono dal prossimo breakout: una rottura del flag o del supporto chiave potrebbe cambiare radicalmente il sentiment di mercato

Mercati in equilibrio precario: tra Fed, BoJ, bond e carry trade
Gli indici statunitensi continuano a muoversi in un range ristretto, privi di catalizzatori chiari ma sostenuti da un sentiment ancora costruttivo. Gli investitori restano concentrati su due forze che guidano il mercato in questo momento:
(1) la politica monetaria USA, sempre più vicina a un nuovo taglio dei tassi, e
(2) il ritorno della volatilità sui rendimenti globali, in particolare in Giappone.
Stati Uniti: lavoro resiliente e Fed accomodante
Il mercato azionario americano rimane tonico grazie a una lettura sempre più dovish della Federal Reserve:
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Le probabilità di un taglio dei tassi da 25 punti base il 10 dicembre sono ormai prossime al 90%.
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Le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono scese a 191.000, minimo dal settembre 2022.
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Le aziende USA hanno annunciato 71.321 licenziamenti a novembre, ma su base mensile il dato rallenta rispetto al picco di ottobre.
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L’impatto dello shutdown federale ha ritardato i report occupazionali ufficiali, rendendo il mercato più sensibile del solito ai dati parziali (ADP, Challenger, jobless claims).
In questo contesto, l’S&P 500 ha oscillato per gran parte della seduta, per poi chiudere lievemente positivo: un movimento coerente con un mercato che vuole salire, ma non vuole esporsi troppo prima del verdetto della Fed.
Giappone: il vero terremoto è nei tassi, non in borsa
L’elemento più trascurato — ma potenzialmente decisivo — è quanto accade ai rendimenti giapponesi.
Il Japan Government Bond decennale è salito a 1,94%, massimo dal 2007.
Il governatore della BoJ, Kazuo Ueda, ha dichiarato che non è chiaro quante altre strette saranno necessarie.
Questo è un punto critico per un motivo molto specifico: il carry trade yen.
Perché il Giappone conta? Il ruolo del carry trade
Per oltre un decennio lo yen è stato la valuta di finanziamento del mondo:
tassi a zero → prendere a prestito in yen → investire in asset più redditizi (azioni USA, corporate bond, tech, criptovalute).
Se la BoJ alza i tassi, anche di poco:
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il costo del funding in yen aumenta, rendendo meno appetibili le strategie globali di carry trade;
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lo yen si rafforza, costringendo hedge fund e istituzionali a chiudere posizioni rischiose;
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il capitale tende a rientrare verso il Giappone, sottraendo liquidità ai mercati USA ed europei.
Non è un caso che nelle giornate in cui i rendimenti giapponesi salgono con forza, gli asset più sensibili al rischio — Nasdaq, semiconduttori, small cap — rallentano.
Bond USA: un rialzo “contenuto”, ma da monitorare
Il rendimento del Treasury decennale è risalito verso 4,11%, complice:
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la sorpresa positiva delle jobless claims;
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il rallentamento dei licenziamenti;
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la crescente percezione che un taglio Fed non sia l’inizio di un lungo ciclo accomodante, ma un intervento tecnico.
Il mercato obbligazionario sta diventando il vero termometro del sentiment globale:
un rialzo ordinato dei rendimenti è fisiologico,
un rialzo improvviso potrebbe riportare tensioni sui listini.
Analisi dei tassi USA a 10 anni
I rendimenti dei Treasury americani a 10 anni stanno attraversando una fase estremamente delicata, una sorta di crocevia tecnico e macroeconomico che potrebbe segnare i prossimi movimenti dei mercati globali.
Da mesi i tassi si muovono all’interno di un canale ribassista molto ordinato: massimi e minimi decrescenti hanno accompagnato la progressiva normalizzazione dei rendimenti, riflettendo l’idea – maturata nel mercato – che la Fed fosse ormai vicina alla fine del ciclo restrittivo e sempre più pronta ad allentare.
Questo scenario, però, non è così stabile come sembrava. Da settembre è emersa una struttura tecnica di consolidamento che potrebbe diventare un punto di svolta.
Le oscillazioni tra il 3,90% e il 4,15% hanno assunto la forma di un potenziale testa e spalle rialzista, una figura classica che spesso anticipa l’inversione di trend.
La neckline, appena inclinata verso il basso, passa nell’area del 4,15% – ed è esattamente lì che il mercato si sta giocando la partita.
Una rottura della neckline aprirebbe infatti lo spazio per un’accelerazione dei rendimenti verso livelli più alti, nell’ordine del 4,50-4,60%, compatibili con un contesto in cui la Fed non allenta così in fretta come molti prevedono.
Un movimento del genere non sarebbe un dettaglio tecnico, ma avrebbe ripercussioni dirette su azioni, valute e obbligazioni globali.
Rendimenti in risalita, soprattutto se guidati da un’inversione strutturale, tendono a pesare sui titoli growth e in particolare sul Nasdaq, molto sensibile ai tassi reali.
Allo stesso tempo, un ritorno dei Treasury verso il 4,60% rafforzerebbe il dollaro e metterebbe pressione sulle valute emergenti e sulle materie prime, oro compreso.
È il classico contesto in cui la liquidità globale si irrigidisce e gli asset rischiosi iniziano a ballare.
Per ora lo scenario rimane aperto, anche perché esiste un supporto che finora ha retto egregiamente: la fascia 3,90%. È una zona costruita lungo una trendline pluriennale che parte dal minimo del aprile 2023 e passa anche dal minimo di settembre 2024.
La difesa di quest’area da parte del mercato è stata evidente negli ultimi mesi: ogni volta che i rendimenti hanno provato a scendere sotto quei livelli, sono stati respinti con decisione. Su quei punti si gioca la credibilità del movimento ribassista di fondo.
Un cedimento deciso del 3,90% avrebbe infatti un significato opposto rispetto all’ipotesi di testa e spalle rialzista: indicherebbe che il mercato obbligazionario ritiene credibile un ciclo più rapido e più profondo di tagli da parte della Fed.
In uno scenario simile i rendimenti potrebbero tornare rapidamente verso il 3% e forse anche verso il 2,70%, con un’ondata di sollievo per l’azionario e un indebolimento del dollaro.
Sarebbe una lettura coerente con un deterioramento delle condizioni macro negli Stati Uniti, soprattutto sul mercato del lavoro.
Ci troviamo quindi davanti a un equilibrio molto fragile. Da un lato, un’inversione dei rendimenti metterebbe sotto pressione i listini azionari, in particolare quelli più sensibili ai multipli e al costo del capitale.
Dall’altro, un nuovo cedimento sotto i supporti chiave confermerebbe un contesto disinflazionistico e accomodante, favorevole ai mercati finanziari nel loro complesso.
In sintesi, i tassi a 10 anni stanno dicendo che qualcosa sta per cambiare. La direzione esatta non è ancora definita, ma i livelli tecnici sono chiarissimi: sopra il 4,15-4,20% il mercato punterà a rendimenti più alti; sotto 3,90% la tendenza ribassista riprenderà forza.
E, come sempre accade sui Treasury, non è “solo tecnica”: è un indicatore anticipatore del clima macro che ci aspetta nei prossimi mesi.
Il quadro generale: calma apparente, tensioni sotto la superficie
In sintesi:
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La Fed sostiene i mercati con un taglio quasi certo.
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Il mercato del lavoro USA invia segnali misti ma non recessivi.
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La BoJ sta piano piano smontando un decennio di ultra-accomodamento, con impatti globali enormi attraverso il carry trade.
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I rendimenti dei bond USA risalgono, ma senza minacciare il quadro generale… per ora.
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Le borse USA oscillano, segno che il mercato vuole stabilità prima della riunione del 10 dicembre.
Il messaggio implicito è chiaro:
la liquidità è ancora favorevole agli asset rischiosi, ma sta iniziando a cambiare forma e provenienza.