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BCE: un terremoto prevedibile ma non necessario

di FTA Online News pubblicato:
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L'inflazione montava da mesi, gli indicatori c'erano tutti, ma forse la comunicazione poteva essere più efficace. Così alla fine, più che Francoforte, decide il mercato.

BCE: un terremoto prevedibile ma non necessario

Cosa si è detto nel direttivo del dato record dell’inflazione di gennaio nell’Eurozona?

Ci sono più tensioni adesso ed è uno di quei casi in cui la chiamata a un intervento si fa più forte?

Il mercato poi sta scontando due rialzi nel 2022. Lei ha dichiarato che un incremento dei tassi quest’anno è altamente improbabile. Che ne pensate adesso?

Ribadite l’”l’altamente improbabile” o siete andati oltre?

A queste domande stringenti, quanto prevedibili, la presidente della Bce Christine Lagarde ha risposto con il terremoto. Un terremoto compito e calibrato, come nel suo stile, ma per niente arginato dal tono fermo di questo meeting.

BCE, la risposte di Christine Lagarde

“Sulla questione dei tassi: sapete, non prendo mai impegni senza condizioni ed è ancora più importante al momento starci molto attenti. Come ho detto, valuteremo con molta attenzione, ci baseremo sui dati, faremo questo lavoro a marzo. Penso che questo ci porterà all’analisi di quali Siano le cause dell’inflazione nel breve termine, quali quelle dell’inflazione nel medio termine, e come si orientano l’intero outlook e le proiezioni di medio termine. Senza dimenticare che continueremo a farlo sulla base della nostra forward guidance, che continueremo a osservare la sequenza che abbiamo concordato e che saremo graduali in ogni decisione che prenderemo al giusto momento sulla base dei dati”.

Insomma eventuali rialzi dei tassi, forse anche due quest’anno, quando fin qui era stato ritenuto improbabile anche un solo rialzo, non vengono esclusi e lo spill over della notizia sui mercati è rapido, impetuoso, capillare, persistente.

L’euro/dollaro s’impenna e sfonda con decisione la trendline discendente dai massimi dello scorso giugno, certo un’infrazione non da poco c’era stata già a gennaio con gli allunghi fino a 1,14828, ma i corsi di queste ore superano anche quei livelli (1,14837) partendo da molto più in basso. È presto per dirlo, ma potrebbe essere un rallentamento se non addirittura un’inversione del trend di apprezzamento del dollaro sull’euro. D’altronde se per la Fed sono scontati quest’anno tre o quattro rialzi dei tassi, per la Bce adesso si ragiona su uno o due aumenti, che anche in termini relativi sono tutta un’altra storia.

Come hanno reagito Bund e BTP

Sul fronte del debito sovrano lo scossone non è da meno, anzi. Un vero sell-off spazza via i prezzi e gonfia i rendimenti e gli spread. In queste ore il rendimento Bund tedesco vola allo 0,21% con un rialzo ulteriore odierno di 6 punti base. Lo yield del BTP decennale aumenta di altri 12 punti base e tocca l’1,73% con uno spread sul Bund di 152 punti base. Comunque la si prenda per Roma non è una bella notizia, il differenziale è cresciuto su livelli che non si vedevano dal 2020 e insieme alle reazioni del resto del sovereign periferico fa temere per una frammentazione.

Inoltre è una divaricazione che si costruisce su un balzo notevole del nostro rendimento: il premio al rischio italiano sul decennale è tornato anch’esso sul 2020, ma oggi siamo più indebitati e con una ripresa che, per quanto effervescente, è minata da strozzature e rincari che oggi già fiaccano le imprese e domani potrebbero fiaccare in consumi. Anche se questa primavera dovessimo tirare un sospiro di sollievo dalla pandemia, dovremo senz’altro rimanere all’erta su altri fronti.

A marzo si concentreranno anche le riflessioni della BCE. Il PEPP, già è stato deciso, terminerà. Il piano di acquisto di titoli APP verrà rivalutato, con elasticità senza dubbio, in quale direzione e con quali eventuali aggiustamenti non è ancora dato sapere. Infine i dati aggiornati sull’inflazione e l’economia faranno da guida alla citata riflessione sui tassi e la forward guidance (che poi è l’indicazione sulla loro evoluzione).

Possibili due rialzi dei tassi nel 2022?

Molti osservatori danno già per scontato che entro quest’anno ci siano due rialzi, cui se ne aggiungeranno almeno altri due nel 2023. I dati che l’Eurostat continua a sfornare non sono incoraggianti. Il primo e più grave, citato anche dalla Lagarde, è stato quello dell’altro ieri: il record dell’inflazione al 5,1% a gennaio. Certo, è quasi tutta energia, senza il suo apporto si scende a un’inflazione del 2,6%, togliendo anche il cibo si arriva al 2,5%, se escludiamo anche alcol e tabacco si scende al 2,3%; ma senza perdersi nell’eterno dualismo tra inflazione headline e core quello del rincaro dell’energia è un vento che soffia troppo forte e da troppo tempo per restare inascoltato.

Già sui prezzi alimentari inizia ad impattare e la minaccia che debordi sugli altri beni, ossia che diventi un rialzo più strutturale è sempre più concreta. La stessa Lagarde ha ammesso che l’inflazione è prevista ancora in crescita nel breve termine, prima di declinare entro la fine dell’anno. Il team di previsori professionali della BCE (SPF) ha ulteriormente alzato le stime e non poco. Nel 2022 si attende un’inflazione HICP (cioè armonizzata UE) del 3%, un rialzo di ben 1,1 punti percentuali sulle valutazioni dello scorso trimestre. Nel 2023 ci si dovrebbe normalizzare all’1,8% (vs. 1,7%) e nel 2024 all’1,9%.

Sul lungo termine (cioè nel 2026) si è già al target (più puntuale che simmetrico) del 2,0% Le stime sull’inflazione core sono cresciute di mezzo punto al 2,0% quest’anno e dello 0,2% all’1,8% nel 2023, mentre per il 2024 sono viste allineate all’inflazione headline all’1,9 per cento. La crescita del Pil è stata tagliata dal 4,5 al 4,2% quest’anno, ma l’anno prossimo dovrebbe invece crescere del 2,7% contro il 2,2% della stima precedente. Il tasso di disoccupazione scende al 7,2% dal 7,4% inizialmente previsto per il 2022 e scende al 6,9% (vs. 7,2%) nel 2023.

Ora perché la forward guidance sui tassi venga alzata e quindi si decida un rialzo e in che misura del costo del denaro servono tre criteri:

  • che l’inflazione raggiunga l’obiettivo simmetrico del 2% ben prima della fine dell’orizzonte di proiezione della BCE (tre anni)

  • che poi si mantenga in maniera durevole per il resto dell’orizzonte di proiezione temporale

  • che infine i progressi sul fronte dell’inflazione sottostante siano giudicati coerenti con l’obiettivo di una stabilizzazione dell’inflazione al 2% nel medio termine.

Il balzo delle stime e ancor di più dei dati provenienti dall’economia reale sembra correre verso queste condizioni. Ma quello che il mercato ha letto e cui ha reagito con vendite massicce sull’azionario, sull’obbligazionario e con acquisti sull’euro è stato qualcos’altro.

Se un giornalista chiede: “Il mercato sconta due rialzi dei tassi quest’anno: voi che fate, cambiate idea?” e la presidente della Bce non smentisce, non conferma, biascica un “valuteremo a marzo”, allora la situazione è critica.

Il re è nudo, il mercato ha deciso e l’Eurotower contro la quale nessun mercato può vincere visto che stampa denaro, ha già perso. Non si può dire con pertinace costanza l’inflazione è temporanea e poi mostrarsi allarmati e aprire così a un rialzo dei tassi. I mercati lo dicono da mesi che l’inflazione monta, che l’energia sta diventando alimentari, beni durevoli, potere di acquisto… la Bce forse dovrebbe guidare questo processo, non subirlo, quasi fosse l’ultima ad accorgersene.

Sarà graduale senz’altro, sarà forse anche inevitabile, sarà forse anche utile (almeno l’energia e le commodity costeranno meno se l’euro si apprezzerà). Sarà però anche una decisione che in molti avrebbero voluto presa a Francoforte.

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(Giovanni Digiacomo)