Cina: nel 2023 Pil +5%, la Repubblica Popolare sceglie la prudenza
pubblicato:Obiettivi conservativi sulla crescita, il nuovo governo cercherà di fare leva su stabilità economica e occupazione per rilanciare l'economia e proseguire con le riforme strutturali
L’obiettivo di una crescita del Pil del 5% nel 2023 è coerente con l’attuale crescita potenziale dell’economia cinese e con le sue capacità in termini di risorse e di fattori produttivi a supporto dell’economia.
La 14esima Assemblea Nazionale del Popolo ieri si è aperta all’insegna della prudenza e diversi osservatori finanziari hanno letto come conservative le stime del governo uscente per l’anno in corso.
Il nuovo target del 5% è il più basso in oltre 30 anni, inferiore anche al 5,5% dello scorso 2022, quando però l’economia cinese si è arrestata su una crescita del 3% nettamente inferiore alle attese e pesantemente impattata dalle conseguenze della politica zero-Covid ormai abbandonata.
Cina, leva su occupazione e consumi per la stabilità
Più ambiziosi gli obiettivi di Beijing sull’occupazione che confermano la ricerca di stabilità economica ed espansione dei consumi.
Quest’anno il governo punta a creare circa 12 milioni di posti di lavoro nelle città, più degli 11 milioni annunciati lo scorso anno, nonostante i forti segnali di incertezza che continuano ad arrivare dal settore immobiliare.
Secondo le stime del governo, l’anno scorso sono già stati creati 12,06 milioni di posti di lavoro nelle città, con un tasso di disoccupazione urbano in calo al 5,5% mentre l’inflazione è cresciuta soltanto del 2%, un unicum tra le grandi economie sui cui però ha pesato la crisi economica affiancata alle politiche zero Covid. Quest’anno l’inflazione dovrebbe crescere al 3% circa, questo il nuovo obiettivo.
I dati dell’economia cinese restano comunque al centro dell’attenzione globale, anche perché, lo ha sottolineato a più riprese anche la presidente della Bce Christine Lagarde, dalla ripresa della Repubblica Popolare dipenderanno diverse variabili dell’economia mondiale e i valori di domanda e offerta di Beijing avranno sicuramente un peso anche sull’inflazione mondiale.
Basti pensare agli acquisti di gas o petrolio che potrebbero influenzare anche le nostre politiche energetiche e i prezzi globali.
Cina, il congresso ridisegnerà il governo
Ma l’attenzione degli osservatori sull’Assemblea Nazionale del Popolo deriva anche dalla consapevolezza che sarà lo strumento di un rinnovo del governo cinese, ovviamente nelle direzioni auspicate dal presidente Xi Jinping: riforme tecnologiche e finanziarie, “disciplina di partito”, rinnovo delle istituzioni pubbliche.
Il premier Li Keqiang lascerà l’incarico e il suo successore Li Qiang, un altro fedelissimo del presidente Xi, dovrà assicurare al gigante asiatico una navigazione più tranquilla di quella dello scorso anno.
Non si tratta comunque di una rivoluzione. Già un anno fa Li Keqiang aveva confermato per questo marzo la fine del proprio incarico. È premier dal 2013, questo marzo la sua premiership è in scadenza, costituzionalmente deve limitarsi a due mandati.
Si apre dunque una nuova opportunità per il remix dei vertici del governo sotto la guida di Li Qiang e l’ispirazione di Xi Jinping. Le sfide dei prossimi cinque anni non sono poche.
Bisogna riconquistare la fiducia dei mercati e delle imprese internazionali, domare le tensioni nel mercato interno, evitare errori pericolosi sul fronte dell’agitato contesto geopolitico.
E c’è la nuova sfida demografica: per la prima volta dagli anni Sessanta la popolazione cinese è diminuita l’anno scorso.
Sul fronte del lavoro, il nuovo governo dovrà rispondere ad alcune istanze ritenute imperative per la ripresa. Da qui il nuovo target di 12 milioni di posti nelle città.
Lo scorso dicembre il tasso di disoccupazione cinese tra i giovani (fascia d’età tra i 16 e i 24 anni) era del 16,7% nel contesto di un tasso di disoccupazione generale del 5,5% Nonostante il calo dai livelli precedenti è davvero troppo per la Repubblica Popolare.
Senza dubbio il nuovo governo dovrà domare la crisi dell’export e gestire dossier scottanti come l’Ucraina, Taiwan e la sovranità tecnologica, ma sarà soprattutto sul fronte della stabilità interna e della fiducia ai consumatori e all’economia domestica che il nuovo governo dovrà affrontare le sfide strutturali più difficili.