USA, prove tecniche di cessate il fuoco sui dazi
pubblicato:La Casa Bianca punta a rasserenare il clima e trovare accordi per salvare aziende e consumatori americani dai danni delle tariffe di Trump

Si avvicina il giorno dei dazi, il 9 luglio, quando Trump darà - o dovrebbe dare - il via alle tariffe sulle importazioni negli USA. Intanto però la Casa Bianca sta concludendo accordi per limitare notevolmente l'impatto delle misure protezionistiche. Ieri è stata annunciato che le merci del Vietnam in arrivo negli States pagheranno solo il 20% contro il 46% indicato dal presidente americano nel Liberation Day di inizio aprile.
E non é tutto, dato che sono state rimosse le restrizioni alle esportazioni verso la Cina di software per gli sviluppatori di software per la progettazione di microchip e per i produttori di etano - gas utilizzato nel settore energia e nell'industria chimica - un chiaro segnale di distensione con Pechino per arrivare, in primis, ad annullare lo stop alle esportazioni di terre rare deciso dai cinesi come rappresaglia.
I danni della guerra dei dazi
Queste mosse confermano ciò che è ormai chiaro a quasi tutti - e lo era sin dall'inizio della vicenda - ovvero che la guerra dei dazi ha solo conseguenze negative, anche e forse soprattutto proprio per chi la guerra l'ha iniziata. Anzi, a pagare pegno saranno non Trump e il suo staff - per lo meno nell'immediato, vedremo a novembre 2028 con le elezioni - ma cittadini e imprese statunitensi.
L'economia non è un sistema chiuso e autosufficiente, tutt'altro. Quello che gli americani trovano e acquistano nei negozi - fisici e online - e negli scaffali dei supermercati viene prodotto utilizzando anche materie prime e semilavorati in portati. Un incremento dei prezzi di questi ultimi causato dai dazi si ripercuote ( aumentandoli) sui prezzi al consumo oppure (riducendoli) sui ricavi dei produttori e dei rivenditori, qualora questi ultimi decidessero di assorbire gli aumenti dei costi. O più probabilmente su entrambi, per spartire in parti più o meno uguali il "dolore".
Si spera che la vicenda si chiuda in tempi brevi
Al momento sembra prevalere la seconda via, almeno stando a una recente inchiesta di Reuters che ha chiesto ad alcune aziende americane che producono all'estero o utilizzano parti realizzate fuori dagli USA.
Molte di queste stanno assorbendo i costi - e quindi riducendo i propri ricavi - dato che risulta difficile compensare aumentando i prezzi finali: spesso si trovano di fronte al diniego da parte dei rivenditori che preferiscono ridurre la loro offerta di prodotti piuttosto che affrontare la delusione dei clienti e il rischio di riduzione della domanda - con conseguente sovraffollamento del magazzino.
La speranza di produttori e retailer è che la vicenda si chiuda in tempi brevi con accordi multilaterali e che si torni quindi alla normalità.