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Gas e CO2, dalla Norvegia all’Olanda movimenti importanti

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
8 min

Var Energi (gruppo Eni) ed Equinor lasciano il progetto norvegese di cattura dell’anidride carbonica Barents Blue, subentra la spagnola Fertiberia, ma questo non salva Horisont dal crollo in Borsa.

Gas e CO2, dalla Norvegia all’Olanda movimenti importanti

Intanto E.On consolida la partecipata e i progetti e la Norvegia mette sul mercato nuove licenze di esplorazione dopo il boom dell’anno scorso. L’idea è: prima estrai il gas che genera CO2 e poi rimetti la CO2 nel pozzo, ma in Olanda è andata male… un bel giro insomma

C’è un certo movimento in Norvegia in questi giorni, clima permettendo. Come noto il Regno ha contribuito in maniera decisiva al distacco dell’Europa dalla Russia in termini energetici e diplomatici.

Nonostante una certa verve ambientalistica, infatti, il Paese europeo (mai entrato però nell’Eurozona, batte ancora la sua corona) da sempre basa le proprie economie su petrolio e gas, come gran parte degli Stati sul Baltico e l’Atlantico settentrionale.

La Norvegia è infatti il quarto esportatore mondiale di gas e sta guadagnando un sacco di soldi dalla crisi. Lo scorso dicembre il gas norvegese inviato via tubo all’Europa Continentale e al Regno Unito ha raggiunto il massimo degli ultimi 11 mesi.

L’NPD (la Direzione Petrolio della Norvegia) nei suoi dati preliminari ha stimato che complessivamente a dicembre c’era stata una produzione di 1,983 milioni di barili al giorno di petrolio equivalente, tra petrolio, GNL e condensato.

Nello stesso mese, in particolare erano state venduti ben 11,1 miliardi di metri cubi di gas. Di solito il gas norvegese via tubo ha raggiunto i terminal del Regno Unito, del Belgio, della Francia, dell’Olanda e della Germania, ma da novembre, con la crisi, ha abbordato anche la rete danese a Nybro da dove, tramite la nuova condotta da 10 miliardi di metri cubi l’anno Baltic Pipe, ha cominciato a raggiungere la Polonia. Insomma circuiti del gas sempre più caldi.

Gas, nuove licenze dalla Norvegia

Lo dimostra anche l’annuncio delle ultime aggiudicazioni di licenze da parte del Governo: appena mercoledì scorso il Ministro del Petrolio e dell’Energia ha proposto l’assegnazione di un nuovo ventaglio di licenze per gli idrocarburi l’APA 2023 licensing round.

Gli Apa sono le Awards in Predefined Areas, in pratica delle concessioni pubbliche per l’esplorazione di nuovi giacimenti. Si parla di 92 nuovi blocchi da aggiungere a Nord del Paese e di aree addizionali nel Mar di Norvegia e in quello di Barents.

A tutto gas insomma, ma non mancano le sfide, a partire da quelle infrastrutturali.

Norvegia, la Var Energi dell’Eni

Di questo è ben consapevole la nostra Eni che nel Mar di Barents è saldamente presente da decenni e opera con la controllata Var Energi quotata circa un anno fa a Oslo con un bel incasso che non ha ceduto il controllo (attualmente sul 63% in mano a Eni International BV).

Per i criteri del settore Var Energi è proprio una bella società. Nei primi nove mesi del 2022 ha registrato una produzione giornaliera di circa 222 mila barili di petrolio equivalente al giorno, 124,1 mila barili erano petrolio, 82.800 gas e 15.100 NGL. Ovviamente la tempesta dei prezzi del gas ha incoraggiato i risultati non poco.

Nei primi 9 mesi i ricavi dal greggio sono stati di 3,577 miliardi di dollari, quelli dalle vendite di gas di 3,54 miliardi di dollari e quelli da GNL 309 milioni di dollari, quindi valori simili fra liquidi e gas nonostante la forte discrepanza di volumi.

Le indicazioni sui costi di produzione al barile sono uniformate, un bel range di 12,5-13,5 dollari a barile di petrolio equivalente nei primi nove mesi del 2023 compreso il trasporto. Se si pensa che un barile di petrolio è stato venduto in media a 107,4 dollari e uno (equivalente) di gas a 172,3 dollari si capisce bene come si sia instaurata una bella macchina da profitto anche al momento brillante dei prezzi (erano di 70,4 dollari e 79,5 dollari al barile rispettivamente appena nel 2021).

E invece no. A guastare la festa è giunto un pesante impairment (ossia una svalutazione) da 573 milioni di dollari che ha portato in rosso di 30 milioni di dollari il terzo trimestre, anche se il saldo dell’utile dei nove mesi è rimasto positivo per 450 milioni di dollari (in crescita comunque sul 2021).

A essere tagliate soprattutto le valutazioni collegate al progetto Balder X che nel 2025 dovrebbe portare 63 mila boe al giorno ma ora prevede il primo olio soltanto nel terzo trimestre del 2024. Alla base di questo spostamento di calendario che ha comportato le revisioni di valore gli interventi sull’unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico Jotun.

La FPSO (Floating Production Storage and Offloading Unit) è il gergo tecnico che sic usa per queste navi ancorate a giacimenti e piattaforme essenziali in diversi contesti. Ma la FPSO più famosa di Var è senza dubbio Goliat, quando Eni la fece navigare attraverso mezzo mondo – per 63 giorni - per raggiungere i mari del Nord fu quasi un’epopea.

D’altronde nel suo genere è la più grande del mondo, pesa ben 64 mila tonnellate e ha un diametro di 107 metri. Ora è impiegata nell’area Barents Sea che occupa circa il 9% della produzione di Var.

Le altre tre aree sembrano hanno nomi adatti a una puntata del Signore degli Anelli o a un corridoio dell’Ikea (è svedese va bene, ma i suoni poi per noi sono incomprensibili sulle stesse note): Asgard, Tampen, Balder

Gas, Var Energi ed Equinor abbandonano il Barents Blue e il titolo Horisont non la prende bene

La novità del giorno riguarda proprio l’area del Mare di Barents dove alla fine Equinor, la ex Statoil ossia la compagnia petrolifera di Stato norvegese, e la stessa Var hanno abbandonato, con la scadenza dell’accordo fino al 31 gennaio 2023, il progetto Barents Blue attivato con Horisont Energy fin dal 2021.

Si tratta di un progetto imponente, in teoria il più grande impianto di ammoniaca blu del mondo, con una capacità di 3000 tonnellate l’anno cui si affianca una capacità di 600 tonnellate l’anno di idrogeno e un imponente sistema di cattura dell’anidride carbonica (fino a 2 milioni di tonnellate l’anno).

Alla base di tutto l’idea di ammassare la CO2 nel reservoir di Polaris in prossimità di Hammerfest nella Norvegia settentrionale.

Tutto a base di gas in parte proveniente anche da Alke e Goliat, quote per le quali si dovrà trovare un’altra soluzione.

La notizia però non sembra essere stata presa bene dagli azionisti di Horisont, anch’essa quotata a Oslo. Hanno tirato dentro il progetto gli spagnoli di Fertiberia (l’ammoniaca ha un grande impiego nella produzione dei fertilizzanti a base di azoto), ma il titolo di Horisont perde in queste ore un pesante 55,31% e si riporta a 16,96 corone. Livelli veramente bassi per un titolo che valeva più di 90 corone un anno fa.

Da allora però è cambiato tutto, a partire dalla proprietà, con l’acquisizione di un 25% del capitale da parte della tedesca E.On che è diventata il primo socio e guarda con interesse ai progetti di stoccaggio di CO2 ad Hammerfest dove dovrebbe realizzarsi il progetto Barents Blue.

La società è guidata dal fondatore norvegese Bjørgulf Eidesen (CEO e secondo socio con la sua Foniks Innovasjon al 22,6% circa), un ex Statoil, neanche a dirlo.

Ora come si evolveranno i rapporti di Horisont con Eni ed Equinor sul progetto Polaris non è chiaro, ma sembra che tutto sia una revisione.

Gas, ma i progetti di storage si moltiplicano

Che succede quindi? Proprio il rapporto con E.On potrebbe essere alla base delle nuove evoluzioni finanziarie e industriali che spingono Var ed Equinor a guardare altrove.

Appena lo scorso 30 novembre con la multiutility tedesca (ma è un colosso europeo molto presente anche in Italia) ha siglato una lettera di intenti con Horisont Energi per la fornitura di più di un milione di tonnellate di CO2 l’anno entro il 2030 con avvio delle operazioni dal 2027 e ulteriori incrementi successivi.

Il progetto Errai di Horisont Energi con Neptune Energy dovrebbe essere il cuore delle operazioni: potrebbe arrivare a immagazzinare dai 4 agli 8 milioni di tonnellate di anidride carbonica l’anno conservandoli, come per tutte queste operazioni sottoterra, ossia nei reservoir esausti dei giacimenti di gas. Previsto già un terminal apposito al porto di Rotterdam.

Progetti che sembrano fantascientifici pochi anni fa, ma sono consolidati, tanto che Neptune Energy ha già reimmesso CO2 nel giacimento a gas K12-B nel Mare del Nord dell’Olanda per 14 anni ed è partner del progetto simile sul giacimento Snohvit norvegese dal 2008.

Fanno sul serio insomma, solo che invece di nascondere la polvere sotto il tappeto la nascondono dentro miniere esaurite in fondo agli oceani.

Se sia la nuova strategia globale per bilanciare la produzione energetica a gas è difficile da dire.

Il caso olandese di Groningen e i nuovi investimenti della stessa Exxon: una partita di giro?

La stessa Olanda ha dovuto rinunciare al più grande giacimento europeo di gas (e uno dei maggiori del mondo) perché la sua estrazione causava terremoti. Il giacimento di Groningen, scoperto già nel 1959 da Exxon Mobil e Royal Dutch Shell, nel tempo aveva rovinato una regione di 350 miglia quadrate con circa 585 mila abitandi che prima generavano l’energia con il vento e poi, passando al gas, hanno registrato scenari biblici, con oltre mille scosse dalla metà degli anni Ottanta ad oggi, fino al diluvio di cause per danni che ha fatto fare un passo indietro persino alle compagnie petrolifere.

Alla fine NAM, la joint venture di Exxon e Royal Dutch Shell, ha calcolato di aver pagato dal 2012 danni per 2,7 miliardi di euro e ha deciso di vendere tutto.

È dello scorso settembre l’annuncio della cessione di asset per circa un miliardo di dollari. Ma a quel punto il governo olandese aveva già deciso di chiudere i rubinetti di Groningen. Così ci si orienta sulla cattura di anidride carbonica e la stessa Exxon sta lavorando in Olanda proprio con Neptune Energy e la compagnia statale olandese EBN alla reiniezione di CO2 al riuso dei giacimenti di gas per la cattura dell’anidride.

Un bel giro insomma. Sarà un circolo vizioso?