Inflazione Usa: il dato di aprile dice tanto, ma per i mercati forse troppo
pubblicato:Calo al 4,9%, era al 9,1% lo scorso luglio e il quadro sembra molto cambiato, ma le insidie nei prezzi non mancano e la pausa estiva della Fed potrebbe non essere il preludio a un’inversione di marcia. Intanto la stretta dell'ultimo anno lavora contro la crescita

L’inflazione è una questione politica. Non si tratta tanto di Gianna che difende il salario dall’inflazione o di Modigliani che tuona contro il punto unico della scala mobile.
Ma di come si tiene in piedi una società già profondamente divisa dal punto di vista salariale, sociale, culturale e più genericamente economico (ma non necessariamente politico) all’appuntamento con un’inflazione che non si vedeva dagli anni Ottanta.
Per questo le dinamiche dei prezzi vengono quasi ossessivamente monitorare, analizzate, scomposte da mesi. Perché si ha paura della bomba sociale che dietro l’angolo potrebbe materializzare l’irrisolto di questa fase fragile della storia dell’Ovest.
I dati Usa sull'inflazione di aprile
Ieri sono uscite le stime flash dell’inflazione a stelle e strisce e i mercati americani hanno festeggiato con molta cautela, mentre in Europa l’azionario prima accelerava e poi ripiegava in rosso.
L’inflazione Usa è scesa dal 5% al 4,9% (sotto le attese poste al 5,0% ancora). Mese su mese è balzata da un +0,1% di marzo a un +0,4% di aprile, ma in linea con il consensus degli analisti.
In definitiva un altro calo nel dato annuale e quindi un altro punto a favore di chi pensa che la Fed resti in pausa, magari sia a giugno che a luglio, per tornare dopo le vacanze, a settembre, a rivedere come vanno le cose. A decidere se magari di abbassare i tassi.
Mentre gli investitori compravano questo scenario, favorevole all’azionario, diversi analisti però storcevano il naso. Perché per come la si rigiri i conti ancora non tornano.
Diversi indicatori, a partire da quelli tratti dagli swap collegati ai meeting della Fed indicano ancora la possibilità di tagli dei tassi d’interesse entro quest’anno. C’è chi arriva a prevederne tre, ma in molti ne prevedono almeno uno entro la fine dell’anno.
Un articolo di Bloomberg uscito pochi giorni fa diceva che da indicazioni di questo tipo si dovrebbe trarre la conclusione di un taglio dei tassi in arrivo a luglio o persino a giugno.
Mentre con tutta evidenza questo sembra improbabile, a meno di un tracollo improvviso dell’economia statunitense, di un’ondata disastrosa sul suo sistema bancario, di un crollo del Pil.
Tutti eventi non proprio alle viste (per fortuna), almeno nell’intensità che dovrebbero avere per scuotere la Fed dalla sua stretta monetaria solo in pausa e decisamente non orientata (ancora) al ribasso.
Eppure una messe di analisti scommette che questa pausa possa durare. Che l’ultimo rialzo sia stato davvero l’ultimo del ciclo.
D’altronde la forza dei dati del lavoro Usa, dell’occupazione e del livello dei salari spingono inevitabilmente alla prudenza e ci sono anche dati negativi.
Inflazione Usa, tra i numeri il dato dei costi per l'abitazione
A smontare infatti la messe di dati partorita ieri dall’US Bureau of Labor Statistics si vede infatti che ci sono anche rimescolamenti nella dinamica del paniere poco rassicuranti.
Per esempio lo “Shelter”, il costo degli alloggi, che negli Stati Uniti è composto sì dal costo degli affitti per la residenza primaria, ma anche e soprattutto per due terzi circa dall’OER (Owner’s equivalent rent of residences) che in pratica estrapola i costi che i proprietari di casa sopporterebbero per affittare un immobile equivalente a quello che abitano.
Una sofisticata misura che però come detto pesa sul totale dello Shelter Index, che a sua volta ha coperto gran parte degli incrementi mensili dell’inflazione “core” (ossia al netto di alimentari ed energia) dello scorso mese di aprile.
Non solo, se si guarda alla variazione tendenziale (anno su anno), l’indice shelter ha mostrato una crescita dell’8,1% e ha coperto più del 60% dell’aumento annuale dell’inflazione complessiva.
Qualcuno calcola ormai l’”inflazione supercore” a posta, per tenere conto anche degli affitti.
Inflazione USA, la coda dei prezzi potrebbe spaventare i consumi nonostante la crescita dei salari
Insomma alloggi sempre più cari, più caro mangiare fuori (+8,6% in un anno, ma +0,4% sul mese di marzo contro il +0,6% del mese precedente), molto più caro spostarsi (in un anno i costi per i trasporti USA sono cresciuti dell’11%, ma ad aprile hanno mostro la prima flessione da molti mesi con un -0,2% su marzo).
Così prevedere un’inflazione tenace nonostante il -12,6% dei costi dell’energia in un anno (di cui -12,2% per la benzina), non è poi così difficile e il target del 2% dei prezzi, nonostante i cali sembra ancora lontano da questo 4,9% appena registrato.
Soprattutto se si considera che l’inflazione core è stata negli States del 5,5% ad aprile, in leggero calo dal 5,6% di marzo, ma su livelli già visti a febbraio. Comunque ben sopra il 4,9% dell'inflazione complessiva, quindi nella fase 2, quella di prezzi incorporati dall'economia reale.
A chi pensa che i tassi siano già avviati a un calo si potrebbero opporre anche i dot plot di marzo della Fed, un po’ datati forse ormai, ma ancora di riferimento. Alla fine dell’anno 10 "Fed Officials" su 18 vedevano i tassi al 5,25% appena raggiunto, solo uno immaginava un calo e altri 7 paventavano tassi più elevati.
Una visione nettamente diversa da quella (assai cangiante invero negli ultimi mesi) del famoso Fed Watch Tool che calcolando le probabilità di rialzi o ribassi sulla base dei future sui Fed Fund stima soltanto allo 0,2% la probabilità che il prossimo dicembre i tassi d’interesse siano nel range 4,75%-5,00% (quindi con un calo solo rispetto al livello attuale). Il 50,9% di probabilità è assegnato per quella data al 4,25-4,50%, quindi con ben tre ribassi.
Davvero una bella divergenza di prospettiva.
Ma l’inflazione come è detto si sta dimostrando estremamente appiccicosa e con i salari cresciuti del 4,4% a/a ad aprile, con ovvi effetti inflattivi anche questi da monitorare almeno nel medio periodo, le incertezze su allentamenti della politica monetaria saldamente restrittiva della Fed si moltiplicano.
Inflazione USA e tassi, la pausa della Fed
Vale la pena dopo la rapida stretta dell’ultimo anno fermarsi un attimo ad aspettare il manifestarsi economico della politica monetaria, la sua trasmissione all’economia reale sempre più evidente, come anche i casi delle banche regionali dimostrano e come dimostra il credit tightening in corso.
Ma per ora è solo un “tightening”, un restringimento degli standard creditizi, non un “crunch” e nessuno intravede uno shock tipo quello della Grande Crisi.
Servirà qualche mese per capire se basta così, se si può allentare la briglia o se l’inflazione si è appiccicata all’economia reale e bisogna ancora stringere. I mercati nel frattempo faranno di tutto, soprattutto monitoreranno i dati perché lo scenario è nuovo per molti versi.
A partire da quel 3,4% di disoccupazione Usa che non si vedeva dal 1969.
È il secondo rimbalzo che il mercato cerca di indovinare. La fuga dai depositi che potrebbe indebolire le banche (anche se per ora si scappa solo dai depositi non assicurati ossia oltre i 250 mila dollari), la domanda che dà segni di indebolimento, come il Pil (pure ancora saldamente positivo e lontano da una recessione).
C’è poi l’incertezza geopolitica e la pantomima del tetto al debito.
Tante incognite, più di quante il mercato attualmente sembra scontare.