USA: crescita forte, lavoro in affanno. L’economia corre ma non crea occupazione

di Alessandro Magagnoli pubblicato:
5 min

Mercato del lavoro Usa in modalità “low hire, low fire”: disoccupazione in aumento e Fed costretta alla cautela sui tassi

USA: crescita forte, lavoro in affanno. L’economia corre ma non crea occupazione
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Segnali contrastanti dal mercato del lavoro Usa

Il mercato del lavoro statunitense continua a inviare segnali contrastanti, rafforzando l’idea di un’economia che resta solida sul piano della crescita, ma sempre più sbilanciata e selettiva sul fronte occupazionale.

L’ultimo dato sulle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione, scese inaspettatamente a 214.000 unità, conferma che i licenziamenti rimangono contenuti. Le imprese, in sostanza, non stanno tagliando in modo aggressivo la forza lavoro, segnale tipico di un’economia che non è in recessione.

Allo stesso tempo, però, l’aumento delle richieste continue a quasi 1,92 milioni indica che chi perde il lavoro impiega più tempo a rientrare nel mercato.

È il riflesso di un mercato del lavoro che gli economisti definiscono ormai da mesi come “low hire, low fire”: poche assunzioni, pochi licenziamenti, ma una dinamica complessivamente fiacca.

Questo quadro è coerente con un tasso di disoccupazione salito al 4,6%, il livello più alto degli ultimi quattro anni, anche se parzialmente influenzato da fattori tecnici legati al lungo shutdown federale.

Il settore privato mostra una tenuta relativa

La fotografia occupazionale di ottobre e novembre è particolarmente eloquente: 105.000 posti persi a ottobre e solo 64.000 creati a novembre.

Il settore privato mostra una tenuta relativa, mentre il settore pubblico paga il prezzo della ristrutturazione dell’amministrazione federale e delle politiche di riduzione dell’organico, con oltre 270.000 posti pubblici persi dall’inizio dell’anno.

Il risultato è un mercato del lavoro che non collassa, ma che non genera sufficiente nuova occupazione per assorbire chi entra o rientra nella forza lavoro.

Il Pil corre, ma il lavoro rallenta

Ed è qui che emerge il primo grande paradosso del ciclo attuale: il Pil corre, ma il lavoro rallenta. Nel terzo trimestre del 2025 l’economia statunitense ha registrato una crescita annualizzata del +4,3%, ben oltre le attese.

Una performance che, a prima vista, racconta di un’economia robusta. Ma scavando sotto la superficie, il quadro diventa più complesso: la crescita è trainata da poche componenti molto forti, mentre altre mostrano segnali di affaticamento.

Il motore principale resta la spesa delle famiglie

Il motore principale resta la spesa delle famiglie, in particolare sui servizi. Sanità, farmaci su prescrizione e viaggi internazionali hanno fornito un contributo decisivo.

Tuttavia, questa spesa non è omogenea: emerge una crescita a due velocità, con le fasce più abbienti che continuano a spendere sostenute dall’effetto-ricchezza dei mercati finanziari, mentre i consumatori a reddito medio-basso mostrano maggiore prudenza, compressi dal caro-prezzi.

Questo squilibrio rende la domanda più fragile nel medio periodo. Se la crescita dipende sempre più da una minoranza di consumatori, basta un cambiamento del sentiment o un nuovo shock sui costi per raffreddare rapidamente l’attività.

Consumatori ed economia reale procedono su binari diversi

La fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan mostra un lieve miglioramento, salendo a 52,9 punti dai 51,1 di novembre. Il dato segnala un cauto aumento dell’ottimismo sulle prospettive future, anche se il livello resta storicamente basso e riflette una percezione ancora fragile della situazione economica attuale.

Di segno opposto l’indagine del Conference Board, che evidenzia un peggioramento del sentiment: l’indice è sceso a 89,1 punti dai 92,9 di novembre, indicando un raffreddamento della fiducia e una maggiore prudenza da parte dei consumatori, soprattutto sulle condizioni economiche nei prossimi mesi.

Sul fronte dell’attività economica, i PMI confermano una fase di rallentamento. L’indice manifatturiero ISM è sceso a 51,8 punti (da 52,2), mentre il PMI dei servizi è calato a 52,9 (da 54,1). Entrambi restano sopra la soglia di 50, che separa espansione e contrazione, ma indicano una crescita più moderata a fine anno.

Un segnale più incoraggiante arriva dalle aspettative di inflazione, in diminuzione: quelle a un anno sono scese al 4,2% dal 4,5%, mentre le attese a cinque anni sono calate al 3,2%.

Questo suggerisce un parziale allentamento delle pressioni inflazionistiche percepite dai consumatori.

In sintesi, dicembre fotografa un’economia statunitense che rallenta ma non si ferma, con un sentiment dei consumatori diviso tra prudenza e lieve miglioramento delle aspettative, e con un’inflazione attesa in graduale moderazione.

L’inflazione core nel trimestre è tornata a salire

A rendere il quadro ancora più delicato c’è l’inflazione core, che nel trimestre è tornata a salire, erodendo i redditi reali e complicando le scelte di politica monetaria.

La Federal Reserve si muove infatti su un crinale stretto. Da un lato ha già tagliato i tassi tre volte per sostenere un mercato del lavoro in raffreddamento; dall’altro segnala cautela, perché l’inflazione non è ancora domata e la crescita resta sorprendentemente forte.

Non a caso, i responsabili monetari attendono maggiore chiarezza dai prossimi dati prima di impegnarsi in nuovi tagli nel breve termine.

Cambiamento strutturale in corso, nel breve ci sarà da soffrire

Un altro elemento chiave è la produttività. Parte della crescita del Pil sembra arrivare dall’aumento dell’efficienza, favorito da investimenti in tecnologia e dall’adozione sempre più diffusa dell’intelligenza artificiale.

Questo spiega perché molte imprese riescano ad aumentare la produzione senza assumere in modo proporzionale. È un cambiamento strutturale potenzialmente positivo, ma che nel breve accentua la sensazione di un mercato del lavoro meno dinamico.

Anche gli investimenti mostrano un quadro misto: bene i macchinari e l’automazione, più deboli edilizia e settori sensibili ai tassi. Sul fronte estero, il contributo delle esportazioni nette è positivo, ma in parte legato a una riduzione delle importazioni, che non sempre è un segnale di forza strutturale.

L’economia americana entra nel 2026 con una notevole resilienza, ma anche con rischi evidenti

In sintesi, l’economia americana entra nel 2026 con una notevole resilienza, ma anche con rischi evidenti. La crescita sorprende, ma è diseguale; il Pil accelera, ma l’occupazione fatica; la produttività migliora, ma comprime la domanda di lavoro.

Per i mercati e per la Fed, la vera sfida dei prossimi mesi sarà capire se questa combinazione rappresenti l’inizio di un nuovo equilibrio più efficiente oppure una fase transitoria destinata a normalizzarsi quando la spinta dei consumi e dell’effetto-ricchezza perderà intensità.

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