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Tassa Banche, impatto ridotto con le ultime misure

di Giovanni Digiacomopubblicato:

Gioco delle parti, la neonata tassa sulle banche scivola a 1,9 mld con l'ultima evoluzione, il credito recupera a Milano, le accuse persistono. Provvedimenti troppo mutevoli per una materia tanto importante, ma anche il governo ha le sue ragioni

Tassa Banche, impatto ridotto con le ultime misure

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Banche in netto ma assolutamente parziale recupero dopo il sell off di ieri. Fineco riprende un 7,48%, Unicredit un 4,2%, Banco BPM un +4,3%, MPS un 3,2% e Intesa un 2,8%.

È l’effetto balletto sulla nuova tassa annunciata e contemporaneamente cambiata dal governo. Di certo spostati ieri a mezzogiorno di extramargini dal 3 al 5% e oltre e dal 6 al 10% e oltre si è alleggerito l’impatto (ma questo ieri pomeriggio non ha alleviato le vendite) e poi è giunta pure una nota del Tesoro che ha limitato comunque l’impatto allo 0,1% del totale dell’attivo. C’è confusione insomma, su una questione miliardaria.

Tassa sulle banche, le stime di UBS sull'ultimo provvedimento

UBS stima in circa 1,9 miliardi di euro l’impatto complessivo con il nuovo tetto allo 0,1% degli attivi. La banca svizzera prevede una erosione degli utili delle banche maggiori di Piazza Affari compresa tra il 6% di Unicredit e un 15-16% massimo di Banco BPM. Impatto duro anche per Mediobanca e Intesa Sanpaolo con un 9-12% di erosione degli utili a metà del range complessivo.

Un impatto notevole, a due cifre in molti casi sull’utile atteso per i gruppi nel 2023 (o nei rari casi su quello accumulato nel 2022), ma un impatto comunque controllabile a fronte della crescita media dei margini di interesse, che – va ricordato – sono stati del 20% per Intesa e Unicredit lo scorso anno e a due cifre anche per tutti gli altri. A questo va aggiunto che quest’anno i margini di interesse cresceranno ancora di più: il balzo tra 2021 e 2023, questo il calcolo del provvedimento, è previsto tra il 35% di Mediobanca e il 252% di Banca Generali, con un livello oltre il 70% tra Intesa e Unicredit secondo le stime di UBS.

Va infatti ancora ricordato che la logica del provvedimento salva in partenza per tutti un aumento del 10% del margine d’interesse tra il 2023 e il 2021 (o tra il 2022 e il 2021) e quindi tassa al 40% soltanto la quota di margine di interesse oltre quel profitto garantito.

Il tetto allo 0,1% degli attivi ha comunque – sempre secondo le stime di UBS - l’effetto di ridurre non poco l’impatto della manovra con una media per le banche tra il 5 e il 9% dell'utile atteso contro il 20-27% delle stime precedenti.  Qualche punto percentuale - middle o high single digit poco conta – è ben diverso da una quinto o un quarto degli utili.

Davvero insomma una riduzione notevole nel giro di 24 ore in cui si è – come visto – rivoltato il provvedimento in più direzioni.

Tassa sulle banche, il lato politico della questione

La manovra è un carattere chiaramente economico e politico e la volontà del governo nel portarla avanti appare compatta e trova coerenza con i diversi tentativi di moral suasion verso gli istituti condotti negli ultimi mesi.

Dopo 9 miliardi di capitalizzazione borsistica bruciati ieri dalle banche, ma in parte ripresi oggi, qualche interrogativo, qualche accusa, qualche recriminazione era lecita, anche perché appunto una manovra tanto importante è stata presentata nel peggiore dei modi, con bozze riviste in corso d’opera almeno due volte.

Qualcuno ha infatti definito squinternato questo modo di procedere. Ma delle diverse accuse al provvedimento che sono state mosse, alcune vanno quantomeno ridimensionate.

Banche, un intervento legittimo

Il governo è stato accusato di cambiare le regole del gioco a partita in corso. E’ un’accusa giunta anche con le sfortunate tasse sugli extraprofitti dei gruppi energetici. Il ragionamento è tipico dei mercati finanziari: se cambi sempre le leggi, gli imprenditori non possono programmare gli investimenti e quindi fuggono dal tuo mercato perché è inaffidabile. Ma visto che i rialzi dei tassi e l’allarme per gli sprovveduti del tasso variabile sono sorti solo nell’ultimo anno, quando sarebbe dovuto intervenire il governo?

Il gioco è sempre in corso e le regole ogni tanto vanno cambiate perché gli interessi generali di un Paese possono tenere solo in parte conto delle attese dei mercati, ma devono necessariamente rispondere a una platea di interessi ben più ampia.

Se c’è necessità lo Stato interviene dove può e crede per tutelare gli interessi generali, soprattutto se si tratta di una riforma una tantum nata da circostanze straordinarie come il più violento e rapido rialzo dei tassi dell’ultima generazione.

Su questo fronte un’altra critica più sottile è questa: spostando parte dei profitti bancari sulle famiglie che hanno scelto un mutuo a tasso variabile il governo si mostra ingiusto. Si tratta di famiglie che hanno pagato meno i mutui incassando un rischio maggiore, se ora il loro rischio si materializza in una forte crescita del mutuo è giusto che paghino. In fondo gli altri hanno pagato di più per avere le garanzie che oggi li proteggono.

Ragionamento ineccepibile per molti versi, come quando diversi piccoli risparmiatori hanno perso tutto o quasi con le banche regionali in semifallimento. Ma la giustizia va sempre applicata cum grano salis e senza indulgenza si rischiano turpitudini.

In un Paese a bassissima alfabetizzazione finanziaria come l’Italia pretendere un perfetto funzionamento del mercato sarebbe meno che realistico.

Dove era il libero mercato quando si spendevano molti più miliardi per salvare MPS o Alitalia con denaro pubblico?
Dove era mentre in trent’anni i salari flettevano, caso mondiale più unico che raro, per assorbire le incapacità di un sistema produttivo poco competitivo?

Dove era il mercato, soprattutto, mentre schizzavano gli interessi attivi e rimanevano ferme le remunerazioni dei depositi sui conti corrente? Su questo fronte, che è esattamente di mercato, le inefficienze del sistema sono mancate e ai salariati o autonomi è toccato solo una erosione del potere d’acquisto reale senza che scattassero i teorici adeguamenti di mercato, sul fronte dei salari e sul fronte della remunerazione dei depositi.

Anche la Bce, inascoltata su questo fronte, ha denunciato questa stortura sul fronte della remunerazione della liquidità

Meno di due miliardi ridurranno soltanto una quota di utili bancari in forte e garantita crescita e forse potranno alleviare disagi sociali di famiglie reali sicuramente imprudenti nella scelta del mutuo, ma da non abbandonare.

Se infatti si parla di fasce di reddito a rischio, va ricordato che siamo anche nell’anno del taglio del Reddito di cittadinanza e le istanze sociali vanno prese nella massima considerazione anche perché le famiglie più fragili sono già minacciate da incrementi a due cifre persino nel settore alimentare.

Gli accordi con l’ABI su rinegoziazioni dei mutui, passaggio dal fisso al variabile e quant’altro sono pregevoli, ma non hanno scoraggiato enormi sacche di disagio che comunque non hanno potuto praticamente accedere a vantaggi limitati.

Si dirà che è il mercato, ma la funzione redistributiva dello Stato è tra le sue ragion d’essere e viviamo un’epoca in cui vanno contrastati gli eccessi in tutte le direzioni, perché le disuguglianze crescenti sono uno dei maggiori problemi dell’Italia e non solo.

Banche: tassa sugli extraprofitti, i ricatti

Ci sono poi le velate minacce che i banchieri già mettono a punto mentre negoziano con successo sconti d’imposta. Le banche potrebbero alzare i tassi richiesti al mercato per rifarsi di quanto pagato con le nuove imposte. Rischio credit crunch insomma. Fermo restando che già lo fanno con generosi spread calcolati sopra i tassi di provvista e della banca centrale, qui il mercato funziona veramente e la contrazione della domanda di credito è già più che presente, ma non sarà certamente la nuova imposta a cambiare le regole.

Il barometro CRIF ha già registrato un crollo del 22,4% delle richieste di mutui nel primo semestre del 2023.
Le compravendite sono già crollate del 2,7% nei primi due mesi dell’anno.

Il mercato e la domanda sono già in contrazione, ma le banche non si spingeranno troppo oltre, per un semplice motivo: dai prestiti e in particolare dai mutui guadagnano e traggono, soprattutto in questa fase, gran parte dei loro profitti, quindi non ci rinunceranno per ripicca.

Così come per ripicca non smetteranno di comprare titoli di Stato italiani: rendono troppo e la domanda comunque li sostituirebbe.

Le banche hanno mille leve finanziarie già dimostratesi formidabili nelle giravolte del provvedimento sulla nuova tassa nelle ultime 24 ore. Difficile che ricorrano agli unici strumenti che aggiungerebbero danno al danno.

Quanto a dividendi e obiettivi finanziari, l’impatto della nuova misura potrebbe portare a delle revisioni, anche se per ora non se ne vedono.

Detto questo sicuramente a settembre si ridiscuterà tutto e questa una tantum, se resterà in piedi, sarà appunto un contributo straordinario richiesto in circostanze straordinarie.

Si può essere duri e reclamare rigide regole di mercato, ma allora lo si faccia a 360 gradi parlando anche di salari reali e remunerazione dei depositi. Senza dimenticare mai, che la sovranità di uno Stato deve rimanere integra a garanzia di tutti quanti, mercati compresi.