Usa, inflazione oltre le attese, ma Wall Street è ottimista

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
5 min

Crescono, ma non esplodono i prezzi a maggio negli Stati Uniti. L'inflazione PCE, la preferita dalla Fed fornisce indicazioni che il mercato prende con ottimismo. Ecco il quadro

Usa, inflazione oltre le attese, ma Wall Street è ottimista

Accelera ancora il rialzo l’euro sul dollaro e tocca quota 1,17535 un livello che riporta il calendario al settembre 2021.

I mercati elaborano a cavallo dell’Opening Bell di Wall Street i dati giunti dal Bureau of Economic Analysis (BEA) sulla inflazione PCE (Personal Consumption Expenditures) la preferita dalla Fed per decidere sui tassi d’interesse.

USA, l'inflazione preferita dalla Fed cresce, ma non esplode

A maggio negli Stati Uniti l’inflazione PCE generale si mantiene al 2,3%, sui livelli precedenti e sopra le attese degli analisti che si attendevano un piccolo raffreddamento al 2,2%

Ancora più rilevante l’indicazione dell’inflazione PCE “core”, quella sottostante depurata dei prezzi più volatili di cibo fresco ed energia, in questo caso si registra un aumento dal 2,6% al 2,7% contro un consensus di 2,6 punti percentuali soltanto e con una revisione al rialzo della lettura di aprile dal 2,5 al 2,6% appunto.

Si tratta quindi in tutti i casi di dati superiori alle attese e al target dei prezzi della Fed del 2%
Come noto, il presidente della Fed Jerome Powell ha difeso un approccio prudente all’ultimo meeting di qualche giorno fa e la mediana delle proiezioni dei membri del FOMC indicava un livello di tassi a fine 2025 del 3,9%, quindi la probabilità prevalente di due tagli del costo del denaro entro il termine di quest’anno. Considerando che i meeting rimanenti nel 2025 sono quattro (luglio, settembre, ottobre e dicembre), in pratica si tratterebbe di alternare pause e tagli nel resto dell’anno.

I volatili future sui Fed Fund sui quali è costruito lo strumento CME del FedWatch Tool danno ormai al 72,1% la probabilità di un primo taglio a settembre e al 53,9% quella di un ulteriore sforbiciata a fine ottobre. Per il meeting del 10 dicembre il calcolo probabilistico del CME è al 43,7% per il range 3,50-3,75% (che sconterebbe un terzo taglio), mentre il range 3,75-4,00% si pone al 36,4% delle probabilità. Forse un eccesso di ‘ottimismo’ degli operatori.

Powell ha dichiarato da poco al Senato voler verificare che i prezzi restino fermi sia a giugno, che a luglio prima di procedere con tagli ulteriori del costo del denaro. Gli osservatori sui dati di oggi si dividono fra chi evidenzia che l’inflazione è cresciuta più delle attese a maggio e chi invece afferma che comunque i prezzi sono ampiamente sotto controllo e che il paventato impulso inflazionistico dei dazi non si è ancora materializzato, per cui mantenere invariato il costo del denaro rischia di essere pregiudiziale.

Posizioni cui contribuisce non poco la crescente pressione di Trump sulla Fed, con insulti a Powell e con la minaccia di designare con 11 mesi di anticipo il suo successore che entrerà in carica nel maggio 2026.

Usa, Wall Street preferisce l'ottimismo

L’avvio di Wall Street dà sfogo all’ottimismo però e i maggiori indici mostrano dei rialzi corposi con S&P 500 e Nasdaq 100 su nuovi record, come da attese. Un copione trionfale che non ama troppo le sfumature. Eppure pochi giorni fa il dato sul Pil statunitense del primo trimestre è stato aggiornato al ribasso a un -0,5% e ha aumentato il rischio di una recessione tecnica durante quest’anno, anche se la maggior parte degli analisti dà per scontato per quest’anno un rallentamento e non una recessione dell’economia statunitense.

Oggi la BEA ha anche indicato che a maggio i redditi personali sono diminuiti di 109,6 miliardi di dollari (non succedeva da parecchi mesi) e che il reddito personale disponibile a stelle e strisce si è contratto di 125 miliardi di dollari. La variazione congiunturale (mese/mese) del reddito personale a maggio ha mostrato una contrazione dello 0,4% (consensus +0,3%) e la spesa personale è calata dello 0,1% (consensus 0,1%). Qualche scricchiolio insomma si sente, anche negli ultimi dati.

Usa, sui dazi oggi prevale un approccio positivo

I dazi in definitiva rimangono il perno di tutto il ragionamento. A maggio i prezzi sono cresciuti, ma non come temeva la maggior parte degli osservatori, quindi i dazi finora non mordono come poteva sembrare. Nelle ultime ore Trump ha poi affermato di aver raggiunto un’intesa sui dazi con la Cina (indicazione in parte confermata dal viceministro cinese al commercio Liao Min secondo quanto riportato da Xinhua News), di prevedere a breve un accordo con l’India e di essere ottimista anche su un positivo esito dei negoziati con l’Europa. Quest’ultimo angolo del tavolo negoziale è essenziale ovviamente da questa parte dell’Atlantico.

C’è la scadenza del prossimo 9 luglio per scongiurare una lievitazione dei dazi Usa sulle merci europee al 50%, ma ancora ieri la stessa portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt apriva a eventuali rinvii per un più sereno esito delle trattative.

La materia è comunitaria, quindi portata avanti dal commissario al Commercio Maroš Šefcovic e c’è sul tavolo la proposta del 10%, ma gli Stati Uniti premerebbero per una certa asimmetria di queste tasse. Potrebbero rimanere fuori dal perimetro i servizi USA di cui l’UE è grande importatrice, ci sarebbe poi il tema del prezzo maggiorato del gas statunitense importato e quello delle armi che con il nuovo accordo Nato saranno spesso importate dagli States.

Un moltiplicarsi di voci sfavorevoli che frenerebbe Parigi, ma non Berlino, più aperta a un accordo con Washington.

Il forte rafforzamento dell’euro sul dollaro Usa – ha guadagnato il 15% dalla fine di gennaio – complica ulteriormente il quadro. Di certo in queste ore Wall Street preferisce guardare questo complicato scenario con ottimismo.