Campari in rialzo, ma servirà molto di più per invertire la tendenza
pubblicato:Titolo in crisi dal 2023, il nuovo CEO Hunt dovrà andare a caccia di risultati. La crisi globale del beverage non aiuta. A marzo si avranno i dati di tutto il 2024, ma il rallentamento del terzo trimestre non suggerisce niente di buono. Ecco lo scenario.

E’ una brutta espressione, ma per il grafico di Campari sembra difficile trovare di meglio: in caduta libera.
Il rally di queste ore del 4,07% a 5,366 euro dopo un massimo a 5,508 allevia poco infatti il saldo degli ultimi mesi (-11,1% in 3 mesi) e dell’ultimo anno (-47,33%).
Senza andare lontano anche i top di quota 5,508 sono stati respinti al ribasso dalla trendline discendente dai massimi del 13 dicembre e a 5,36 euro stanno lavorando i minimi del 23 gennaio.
Tre sedute di rimbalzo non fanno primavera insomma e serviranno ben altre conferme per stemperare l’allarme sul gruppo che, nonostante i terremoti della governance, da ormai più di un anno fatica a trovare una strada che non sia in discesa.
Il compito del nuovo CEO Simon Hunt è insomma formidabile. C’è ancora qualche settimana al banco di prova dei conti del 2024, l’approvazione è prevista per il prossimo 4 marzo, ma già dell’anno scorso si conoscono tre quarti e comunque l’ingresso del nuovo CEO non può aver cambiato i numeri già scritti dell’ultimo esercizio.
Né a dire il vero l’uscente Matteo Fantacchiotti, rimasto in carica per soli 5 mesi può aver danneggiato o ristrutturato il gruppo più di tanto.
Insomma la barca ha preso acqua quasi da sé, con costanza il livello è salito.
D’altronde il titolo è in calo dal luglio del 2023, né la Buriana è per lui soltanto, per fare due nomi quasi a caso Pernod Ricard nell’ultimo anno ha perso quasi il 37% e Diageo il 25,4% Anheuser-Bush ha perso il 15,5% Ma è un mal comune con non fa mezzo gaudio.
Campari, i dati dei nove mesi e qualche calcolo
I dati di Campari indicano nei primi nove mesi del 2024 una crescita delle vendite del 3,4% a 2,277 miliardi, ma un calo dell’utile ante imposte del 5% a 423 milioni. Anche se si prende l’utile ante imposte adjusted il -4,6% a 452,1 milioni non consola molto.
Oltretutto il trend è in peggioramento perché nel terzo trimestre i le vendite nette sono cresciute dell’1,36% e l’utile ante imposte è crollato del 20,37% Praticamente più di un quinto in fumo.
Ora facciamo qualche estrapolazione. Immaginiamo che il quarto trimestre sia andato come il resto dell’anno (il che è già una concessione visto il peggioramento del terzo quarto 2024): arriviamo a 3,036 miliardi di ricavi e 603 milioni sporchi di utile adjusted ante imposte. Immaginiamo che il tax rate sia lo stesso del 2023, il 4,59%, arriviamo a un utile 2024 di 575 milioni di euro.
Otteniamo così un EV/EBITDA di 11,6 e un P/E di 11,49x. Numeri meno generosi di quelli che troviamo su Reuters (P/E ordinario TTM a 18,59x e Forward P/E di 16,52).
Per un titolo del beverage che però in passato ha avuto multipli da settore del lusso sono comunque multipli relativamente piccoli, capaci di suggerire futuri apprezzamenti (se non fosse per quel grafico in caduta). Almeno il fatto che il P/E TTM sia inferiore al P/W Forward suggerisce l'attesa di una crescita degli utili (o di un calo dei prezzi).
Altre metriche sono più incoraggianti: il rapporto net debt/ebitda adjusted da 3,6x dello scorso settembre è davvero basso, da titolo molto sottovalutato.
C'è poi una forte patrimonializzazione con un rapporto debt/equity di 0,67x, il P/B a questi prezzi è davvero basso a 1,74, ossia circa 57 centesimi di patrimonio per ogni azione. Certo se bisogna anche ricordare che ci sono in bilancio 2,45 miliardi di avviamento, circa due terzi del patrimonio netto, ma questo è un altro calcolo ancora.
Tutto va ponderato, appunto, con il peggioramento del terzo trimestre.
Campari, geografie articolate
E poi si fa presto a dire lusso: due terzi dei ricavi di Campari vengono dai brand internazionali, il 26% da Aperol e il 10,8% da Campari, seguiti da Espolòn, Wild Turkey etc. Senza nulla togliere allo spritz, non è champagne, almeno in termini di redditività. Ovviamente sui volumi non c’è partita. Ora su 2,2 miliardi di euro di fatturato, Campari ne fa 958 milioni nelle Americhe e di questi 647 milioni solo negli Stati Uniti. Quasi il doppio del fatturato dell’Italia (363 mln) e molto più che in Germania (196 mln) e Francia (123 milioni). In tutta la regione Asia Pacifico Campari ha fatturato 147,6 milioni nei tre quarti del 2024. Le dinamiche sono sconnesse: +7,1% negli States, -5,7% in Italia, +5,7% in Germania, -4,8% in Francia, nell’Asia Pacifico un -10,3% (ma come visto pesa molto meno di quanto la Cina non pesi di solito – ma non sempre – per il settore lusso).
Così arriviamo ad oggi. Perché il titolo rimbalza, prosegue solo nel movimento avviato l’altro ieri?
Non troviamo grandi notizie… Pernod Ricard ha approvato dati in linea con quanto comunicato lo scorso 6 febbraio (vendite -6% nel semestre). La statunitense Dutch Bros ha fatto dei risultati fenomenali (ricavi trimestrali +34,9% e un EPS balzato da 0,04 a 0,07 dollari), ma fa frullati ed è piccolina. ThaiBev, la maggiore produttrice del settore beverage del Sud Est Asiatico, ha chiuso il trimestre al 21 dicembre con ricavi in crescita del 2,4% a 92,36 miliardi di baht. La componente spirits ha però segnato un -4,8% e l’ebitda corrispondente (parliamo per entrambi di una quota variabile tra il 30 e il 50% del totale) è calato del 12%. Pochi spunti insomma, ma oggi di certo il beverage mostra i muscoli.
Nel pomeriggio: Campari +4,03%, Diageo +2,95%, Anheuser +1,95%... un brindisi corale insomma a un periodo che rimane difficile.