Dazi USA, l’Europa si prepara al peggio
pubblicato:Previsioni più cupe sulle trattative con Washington, si moltiplicano le previsioni di impatti più severi sull'economia continentale

Il terzo fine settimana di luglio è stato per la maggior parte delle cronache economiche europee di dura presa d’atto di uno scenario probabilmente più negativo del previsto. L’ultimo round negoziale del Commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic non ha portato i risultati sperati e anzi ha lasciato il posto a un peggioramento delle stime.
Probabilmente i tassi universali del 10% tra Bruxelles e Washington sono una chimera e Donald Trump vuole di più: un’asticella tra il 15% e il 20% diventa più probabile in vista della scadenza del prossimo 1° agosto, quando senza un’intesa l’Europa rischia un rincaro generale delle tariffe Usa al 30%
Dazi Usa, Confindustria teme un impatto dello 0,8% del Pil italiano
Attualmente siamo al 10% di dazi Usa generali, cui si aggiungono tariffe specifiche del 50% su acciaio e alluminio e del 25% su autoveicoli e componenti. Ma i segnali puntano a un peggioramento. Oggi la Congiuntura flash dell’Ufficio Studi di Confindustria prova a fare qualche stima e ricorda che nell’attuale scenario internazionale c’è anche il pericolo che i nuovi dazi Usa si estendano a farmaceutici, ai minerali critici, ai semiconduttori, al legname, all’aerospaziale.
Lo stesso Trump ha minacciato a più riprese pesanti rincari dei dazi anche per questi settori. Secondo le stime di Confindustria, se si materializzassero dei dazi universali sull’Europa al 30% e il cambio euro/dollaro rimanesse sui livelli attuali, l’export italiano di beni negli Stati Uniti potrebbe perdere ben 38 miliardi di euro di beni, ossia il 58% di tutti i beni venduti negli States e il 6% del totale dell’export italiano.
A far paura non solo gli impatti diretti della zavorra doganale USA, ma anche i nuovi vantaggi competitivi di altri Paesi meno colpiti, anche se alcuni beni italiani rimangono insostituibili nel lungo periodo.
Confindustria è ottimista sulla capacità di reazione di lungo periodo delle nostre industrie, ma nel medio termine paventa un impatto pesante: circa lo 0,8% del Pil nel 2027 rispetto al caso base senza dazi, con un calo dell’export italiano totale del 4% e degli investimenti in macchinari e impianti dell’1%.
Dazi Usa, Allianz stima che si potrebbe perdere l’1% del Pil UE
Christian Schulz, capo economista di Allianz, calcola un impatto di eventuali dazi al 30% in un punto percentuale del Pil europeo nel periodo di due anni. Secondo l’analista del colosso assicurativo europeo ci sono ancora dei margini per un negoziato con Donald Trump, ma l’Europa dovrebbe accettare delle concessioni se non vuole accusare un duro colpo alle proprie esportazioni.
Gli Stati Uniti coprono circa un quinto di tutto l’export europeo: già i dazi reciproci attuali, quelli al 10% al netto delle tariffe su acciaio e auto, colpiscono esportazioni pari al 2,6% del Pil europeo del 2023.
Tutte molto esposte le grandi economie europee: senza scomodare il 9,8% del Pil irlandese (collegato all’export Usa per ragioni fiscali), la Germania ha un 3,1% del Pil nell’export a stelle e strisce, l’Italia ha il 2,8%, la Francia l’1,5% e la Spagna l’1,2 per cento.
Secondo Allianz, il nuovo scalino doganale colpirebbe dapprima i bilanci societari, quindi i loro margini. Soltanto in un secondo momento i nuovi oneri verrebbero trasferiti ai lavoratori (con una minore crescita dei salari, con eventuali tagli occupazionali).
All’Europa, secondo Allianz, in mancanza di eventuali contromisure resterebbe la via di un rafforzamento della domanda interna, tramite tassi più bassi e lo stimolo fiscale.
Nel lungo periodo però occorrerebbero riforme strutturali UE per ridurre la dipendenza dagli States.
Sul fronte monetario, secondo Allianz l’impatto dei dazi potrebbe comprimere ancora le attese sui tassi d’interesse, ma al contempo l’espansione fiscale potrebbe alzare i rendimenti di lungo termine.
Ma c’è anche ha attese peggiori come Goldman Sachs che teme un impatto dell’1,2% del Pil europeo entro il 2026 da nuovi dazi statunitensi che si potrebbero consolidare al 26% In questo scenario NS Partners, per esempio, vede delle opportunità nelle infrastrutture.
Il peggioramento dello scenario è stato assorbito anche dall’ETR di Fitch, l’US Effective Tariff Rate, uno dei tanti strumenti di monitoraggio dei dazi, che ha alzato l’asticella dal 14,1% al 19,4%, se il prossimo 1° agosto si materializzeranno i rincari previsti per adesso.
Dazi Usa, timori anche per diversi settori che oggi sono esenti
L’Atlantic Council ha aggiornato i propri strumenti creando una grafica sui mercati oggi esenti dai dazi di Trump: ben 593 miliardi di dollari dal farmaceutico, 228 miliardi dal petrolio greggio e raffinato, 62 dai semiconduttori, 50 dagli smartphone, 26 dall’industria e così via.
In molti casi però – come anticipato – Trump ha già anticipato l’intenzione di tornare sul tema in futuro. A frenare nuove tariffe impetuose su settori come il farmaceutico o i microprocessori non sono però certamente le conseguenze sul Pil degli alleati, ma i timori di un impatto sulle filiere nazionali USA o su servizi essenziali per i cittadini/elettori a stelle e strisce.