FTAOnline

Deutsche Bank, la crisi di fiducia nelle banche entra in Europa

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
5 min

Deutsche Bank sotto attacco, panic selling nel bancario europeo, né gli Stati Uniti se la passano bene. Nonostante i travagli del passato DB è molto diversa da Credit Suisse, ma i numeri in sedute come questa contano poco

Deutsche Bank, la crisi di fiducia nelle banche entra in Europa

Nuovo venerdì nero dei mercati azionari con le banche di nuovo a trascinare al ribasso i maggiori indici guidate nella fuga a valle delle quotazioni dalle violente vendite che colpiscono Deutsche Bank. Il titolo della travagliata banca tedesca segna un crollo del 10,2% nel primo pomeriggio e passa di mano ad appena 8,38 euro dopo un affondo a 7,95 euro sui livelli di ottobre.

Di ragioni ce n’è tante e nessuna. Il rapido balzo delle quotazioni dei cds, i credit default swap che assicurano contro l’insolvenza creditizia sul debito del gruppo, ha aperto le porte alla fuga di valore e confermato al tempo stesso che la sfiducia nel settore bancaria entra ufficialmente in Europa, dopo la prima potente puntata sul Credit Suisse.

Deutsche Bank, alcuni paralleli con Credit Suisse…

Come il Credit Suisse, Deutsche Bank viene da anni di crisi e di discutibili pratiche e manovre finanziarie.

Come Credit Suisse, Deutsche Bank è una delle maggiori 30 banche del mondo, le sistemiche, le più controllate.

Inutile dire che tutti i maggiori ratio della banca tedesca, nonostante le difficili manovre degli ultimi anni, sono molto solidi sul fronte della patrimonializzazione e della liquidità.

C’è però un fil rouge che collega direttamente la tempesta di Credit Suisse a Deutsche Bank ed è il tema caldo dei bond e di una cattiva reputazione.

Proprio l’azzeramento di bond da 16 miliardi di franchi della banca svizzera, gli additional tier 1, ossia gli AT1 (un tipo di coco bond) aveva spaventato diversi operatori. Si trattava di titoli disegnati proprio per la conversione in capitale e l’assorbimento delle perdite in caso di crisi della banca emittente, ma la fusione di Credit Suisse con UBS aveva lasciato in piedi, seppur deprezzate, le azioni che normalmente in Europa e nel mondo sarebbero svalutate prima di un ricorso agli AT1 e invece sono state messe a servizio del concambio con l’acquirente UBS sebbene a prezzi molto bassi.

Tutto questo ha portato all’attenzione proprio il vasto mercato di bond AT1 in Europa, un mercato da circa 250 miliardi di euro.

Un mercato composto di titoli essenzialmente redditizi, ma sottoposti al rischio di svalutazione totale o parziale in caso di emergenza per la banca emittente, per questi stessi motivi quindi dei titoli rivolti a investitori professionali.

L’assicurazione contro il default, ossia un evento essenzialmente creditizio, delle banche era dunque destinata a salire nel perdurare della crisi di fiducia sul comparto bancario, anche spinta assai chiaramente più dal panico, che dall’analisi.

L’indice iBoxx $ Contingent Convertible Liquid Developed Market AT1 (8% Issuer Cap) che traccia questo settore il 23 marzo mostrava un balzo in un mese di oltre il 15%. Si tratta di un indice che comprende sia strumenti di capitale addizionale tier 1 che tier 2, ma è soprattutto il capitale primario che lo compone e che ha guidato la crescita enorme delle emissioni di bond di questo tipo più che triplicate in euro e dollari (ma il dollaro la fa da padrone anche per gli emittenti UE) tra il 2014 e il 2018.

Deutsche Bank-Credit Suisse, ci sono però anche grandi differenze

Ci sono però anche grandi differenze che saltano all’occhio subito tra il caso di Deutsche Bank e quello di Credit Suisse. La prima per esempio è che mentre la banca svizzera ha chiuso il 2022 con perdite da quasi 7,3 miliardi di franchi, Deutsche Bank ha chiuso il 2022 con un balzo dell’utile da 3,64 a 5,39 miliardi di euro (comprendendo anche le poste straordinarie).

I depositi della banca tedesca sono poi cresciuti da 603 a oltre 621 miliardi di euro l’anno scorso. Come noto nell’ultimo quarto del 2022 invece Credit Suisse ha registrato forti deflussi.

Si potrebbero ricordare i solidi requisiti patrimoniali (Liquidity Coverage Ratio cresciuto al 142%, TLAC al 32,2%, Common Equity Tier 1 Ratio al 13,4%, Net Stable Funding Ratio al 120%), ma molti di questi erano già solidi anche in Credit Suisse.

A fine dicembre 2022 Deutsche Bank aveva strumenti AT1 emessi per 8,6 miliardi di euro e strumenti AT2 per 9,6 miliardi. Il capitale primario puro il CET 1 capital era comunque già a 48,09 miliardi. Gli asset ponderati per il rischio RWA ammontavano a oltre 360 miliardi. Il gruppo aveva visto crescere nell’anno sia i margini di interesse, che le commissioni.

Il quadro delle banche UE

Se si guarda al portafoglio bancario, **un recente report di JP Morgan (**quello del 17 marzo sulle banche europee) calcolava le consistenze delle obbligazioni in portafoglio ai vari istituti.

Per Deutsche Bank si calcolavano 32 miliardi di euro di titoli AFS (Available for Sale), quelli che devono essere aggiornati ai valori di mercato subendo perdite per via del forte rialzo dei tassi d’interesse. I bond classificati come HTM (held to maturity) erano invece 15 miliardi. Il totale di 41 miliardi di euro arrivava ad appena il 7% dei depositi della banca.

Sostanzialmente l’impatto sul CET 1 di un calo dell’1% del valore dei bond AFS o degli HTM era ritenuto assolutamente sotto controllo e molti altri istituti erano più esposti di Deutsche Bank.

L’impatto maggiore sarebbe stato di 58 punti base di CET 1 (quindi lo 0,58% in meno) per il Credit Agricole, ma JP Morgan notava anche che il colosso francese sul portafoglio HTM aveva ben 132 punti base di CET 1 di guadagni non realizzati!

Il portafoglio di bond delle banche europee era in media del 20% appena dei depositi totali, contro il 70% circa della disastrata banca statunitense SVB.

Durante sedute di panic selling come queste sono numeri che contano poco, purtroppo, e il rischio che il settore bancario subisca il cattivo sentiment dei mercati di qua e di là dall’Atlantico rimane forte. Senza considerare che poi le restrizioni della politica monetaria passano anche da questo e che in molti da tempo sottolineano che i mercati azionari non hanno ancora scontato pienamente il rallentamento previsto dell’economia.