Euro/Dollaro ancora all'attenzione, pressioni sulle società europee

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
6 min

Il rafforzamento della moneta unica sul biglietto verde assorbe la riallocazione di flussi importanti in Europa, ma rischia anche di danneggiare l'economia e le imprese

Euro/Dollaro ancora all'attenzione, pressioni sulle società europee

Ancora sotto pressione il biglietto verde. Nonostante il ripiegamento del cambio euro/dollaro dai massimi di inizio mese a quota 1,18295, e il calo in queste ore del rapporto EUR/USD a 1,17 con un -0,13%, il quadro di medio periodo rimane molto preoccupante.

Euro/Dollaro, segnali tecnici molto preoccupanti

Ad aprile il cambio EUR/USD ha superato la trendline di lunghissimo periodo discendente dai massimi del 2008 a 1,6038 e ha inviato un segnale tecnico vigoroso e difficile da ignorare.

Anzi il superamento del 61,8% di ritracciamento di tutto il movimento fatto tra i top del 2021 a 1,23489 e i minimi del 2022 a 0,95055 nello stesso periodo suggerisce un ritorno in tempi relativamente rapidi proprio all’origine del movimento, sopra 1,234 appunto.

Sarebbe un problema grave per noi europei.

Lo stesso vicepresidente della Banca centrale europea Luis de Guindos ha gettato acqua sul fuoco affermando che un rialzo anche fino a 1,20 euro per dollaro sarebbe “perfettamente accettabile”: in negativo significa che oltre quei livelli sorgerebbero dei problemi: “Un valore superiore sarebbe molto più complicato” e se il cambio eur/usd punta lì allora ci sono nuvole nere all'orizzonte...

Euro forte, per Goldman Sachs è lo spostamento di investimenti azionari dagli Stati Uniti all'Europa

La BCE non ha tra i proprio obiettivi il livello di cambio ed è in prossimità del termine del ciclo di politica monetaria ribassista un po’ precipitosa che ha portato il livello dei tassi dal 4,5% del settembre 2023 al 2,15% dello scorso 11 giugno.

Oltre alla divaricazione con il dollaro e la FED, l’attuale livello dei tassi, con i dati dell’inflazione europea sostanzialmente sugli obiettivi, deve scongiurare l’overshooting, quindi probabilmente nel resto dell’anno non ci sarà spazio che per un altro taglio del costo del denaro nell’Eurozona.

L’euro ha guadagnato nelle ultime settimane la fiducia degli investitori internazionali in fuga dall’imprevedibile situazione degli Stati Uniti in questa seconda Amministrazione Trump, ma ovviamente è ancora presto per parlare di de-dollarizzazione strictu sensu e sarebbe probabilmente più appropriato parlare di diversificazione dei portafogli dagli eccessi della contrazione USA del tempo dell’eccezionalità americana.

In un suo report di ieri Goldman Sachs ammette che i recenti movimenti valutari con il rafforzamento imperioso dell’euro sul dollaro (il cambio EUR/USD si è apprezzato del 15% da febbraio a oggi) sono stati la conseguenza di deflussi dagli asset statunitensi. Il passo indietro dal dollaro ha incoraggiato proprio quelle valute che hanno ospitato le maggiori riallocazioni dei capitale fuori dal biglietto verde: euro in primis, ma anche corona norvegese, corona svedese e sterlina, mentre altre currency hanno perso quota come le valute di Canada e Neozelanda o lo yen giapponese.

Riposizionamenti di mercato e portafoglio hanno chiaramente influenzato anche i cambi, ma con dei distinguo: secondo le rilevazioni di GS sul cambio EUR/USD di recente hanno pesato più le vendite di azioni americane da parte degli europei, che gli investimenti statunitensi nel Vecchio Continente.

Ovviamente il differenziale dai tassi ha un peso, ma questa fase ha proprio nei cambi una delle sue anomalie maggiori perché con tassi d’interesse della BCE al 2,15% e tassi della Fed statunitense al 4,25%-4,50% il quadro dovrebbe essere esattamente all’opposto: un dollaro molto forte e un euro più debole e invece no, salta una delle maggiori relazioni di mercato, quella tra valute e tassi d’interesse.

È già successo nel 2017 quando gli Stati Uniti fronteggiarono il twin deficit, il doppio disavanzo di budget e di conto corrente. È però innegabile che il trend di lungo periodo della dedollarizzazione abbia un suo collegato peso. Come nel 2017 acquisti di asset azionari europei incoraggiano le performance della moneta unica, ma in fondo la stessa Goldman Sachs non si spiega perché questa debolezza del dollaro che abbia rotto il suo modello BEER (Behavioral Equilibrium Exchange Rate) di valutazione dei movimenti valutari e ritiene di conseguenza che si tratti di un fenomeno destinato a rallentare, almeno che la Fed non applichi dei tagli dei tassi d’interesse più precoci e profondi delle attese. Ipotesi peraltro non peregrina a fronte dei dati dell’inflazione Usa e dell’economia a stelle e strisce.

Euro forte, rischi per l'economia europea e per le imprese UE

Alla fine però tutte queste contraddizioni dovranno trovare un punto di caduta. Un euro così forte ha un impatto potenzialmente enorme sull’interscambio tra Europa e Stati Uniti e accentua l’impatto dei dazi di Trump. Lo ha spiegato bene il numero uno di Confindustria Emanuele Orsini ricordando che con dazi anche ai minimi del 10% e questa svalutazione della moneta unica rischiamo in Italia una bastonata da 20 miliardi e 118 mila occupati in meno: due fattori preoccupanti e convergenti. Se i costi dell’energia e delle importazioni calano con l’apprezzamento dell’euro, i rischi per la competitività dell’export europeo che è stato un traino della crescita recente dell’Eurozona montano.

Sicuramente il ciclo economico in formazione con investimenti domestici tedeschi di dimensioni storicamente elevate e la prevedibile emissione record di titoli di Stato a Berlino influenzeranno tutto lo scenario prossimo non meno delle bizze di Washington, ma in pratica l’euro ha già raggiunto livelli di allarme.

Se ne è già accorta anche Bank of America in uno studio sull’impatto dell’euro forte sugli utili societari delle società dello Stoxx 600. Gli analisti hanno già ridotto le stime sugli utili societari europei citando tra le ragioni l’apprezzamento della valuta e l’aumento delle barriere commerciali.

Dall’inizio di aprile le attese su una crescita degli utili per azione per il 2025 e per il 2026 sono state già ridotte di circa il 5%

Secondo Bofa, nel secondo trimestre si potrebbe registrare un calo degli utili per azione del 3% a/a

Né i multipli in questi giorni appaiono particolarmente confortanti: l'Euro Stoxx 600 mostra un P/E trailing di 18,6x che nel Forward flette a 15,1x (inclusi i negativi), ma potrebbe assorbire dei rallentamenti, né può essere definito particolarmente a sconto. E' vero che l'S&P 500 mostra un P/E di 29,4x, ma non sono comunque livelli da regalo agli investitori e scontano inoltre un quadro carico di rischi.

La minore domanda di prodotti europei resi più cari da un euro troppo apprezzato fa parte ovviamente del menù.

Di certo anche l’equilibrio tra valute e flussi commerciali sembra sempre di più un giocattolo rotto che deve mettere insieme i timori per i conti pubblici USA e gli impatti dei dazi con la persistenza solidità dell’economia a stelle e strisce e le minacce vecchie e nuove dall’economia dell’Eurozona. Per ora l’Europa vive un buon momento di fiducia tra gli investitori, ma un euro troppo forte potrebbe guastare la portata.