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Rebus materie prime, dal petrolio al grano russo

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
5 min

I prezzi delle materie potrebbero salire, se scendono i tassi, a partire dal rame. La pensa così Goldman Sachs, ma ci sono tante incertezze e intanto i prezzi del grano scendono e Mosca potrebbe farne un'altra arma geopolitica

Rebus materie prime, dal petrolio al grano russo

I tagli dei tassi d’interesse della Fed statunitense potrebbero pompare di nuovo i prezzi delle materie prime. In un recentissimo report Goldman Sachs giunge a questa conclusione. Tassi più bassi rafforzerebbero notevolmente la domanda creando opportunità per un consolidamento delle scorte: conviene comprare le commodity, insomma, quando costano meno.

C’è poi l’effetto dollaro, se scende con i tassi, allora i prezzi delle materie prime dovrebbero seguirlo. La spinta al Pil in arrivo da un costo del denaro più basso dovrebbe poi incoraggiare la domanda e quindi anche la richiesta di materie prime, mentre per i produttori gli investimenti meno onerosi sarebbero più accessibili.

Secondo la banca americana sarebbero soprattutto i metalli, a partire dal rame, a riprezzarsi in un appetibile scenario di soft landing con rallentamento dei tassi e dell’inflazione mentre il Pil si mantiene solido. Soprattutto ci guadagnerebbero il rame e i metalli industriali che si avvantaggiano della crescita economica, meno l’oro e il petrolio, ancora meno il gas e i prodotti agricoli.

Materie prime, dall'oro al rame?

La base di partenza è d’altronde anche molto diversa: nell’ultimo anno l’oro ha guadagnato un corposo 11%, mentre l’acciaio ha perso l’11% del proprio valore. Il ferro ha segnato un -6,8% Il petrolio dopo varie altalene è lì, mentre il gas, complici il clima mite, l’abbondanza delle scorte e altri fattori, ha segnato un corposo ribasso di quasi un terzo del proprio valore, spingendo persino alcuni operatori USA a valutare una riduzione della produzione (mossa stile Opec, come ha evidenziato qualche osservatore). Il gas europeo, l’olandese TTF, in un anno ha addirittura perso il 53%, un sollievo dopo il decoupling dalla Russia, un forte segnale di stabilizzazione per l’economia europea non ancora forse scontato a sufficienza dai mercati.

Materie prime, se anche il grano fa (geo)politica

Ma sul fronte delle materie prime si registrano anche gravi minacce. Un report del Centro Studi Divulga riportato da Corriere e Sole 24 Ore fa il punto sul grano. L’anno scorso il grano duro russo per la pasta importato in Italia ha fatto un balzo del 1.164%, quella della Turchia un salto del 798%, significa che le importazioni si sono moltiplicate di 12 e 9 volte rispettivamente.

Certo ha pesato molto il calo della campagna canadese, protagonista da sempre del nostro import di grano duro che l’anno scorso ha fatto un -30% e ha registrato anche un duro impatto dalla crisi del Canale di Panama.

Ma se a luglio scorso su 1,1 milioni di tonnellate di grano duro un terzo veniva dalla Turchia e un terzo dalla Russia, signori abbiamo un problema. Anche perché, guarda caso, il balzo dell’import è avvenuto proprio mentre si raccoglieva il grano in Italia e si avviava la commercializzazione. I prezzi crollavano, i contadini entravano in crisi.

La paura è che Mosca voglia trasformare anche il grano e le altre materie prime agricole in un’arma geopolitica contro l’Europa, come già ha fatto in passato con il gas e come ha fatto in Africa con il grano tenero. Anche i balzi a tre cifre delle importazioni di grano, mais orzo e semi di girasole dall’Ucraina spaventano molto.

Materie prime, il grano russo e ucraino a basso costo spaventa

Le proteste europee dei trattori ne hanno fatto un caso politico e forse geopolitico. Se in questi giorni ancora gli agricoltori polacchi bloccano le importazioni di grano ucraino alla frontiera, non si può fare finta di niente. Parliamo del Paese che maggiormente ha supportato Kiev e ora scende in piazza contro i suoi prodotti agricoli a basso prezzo e contro le norme UE.

Della “misteriosa invasione del grano russo” si è occupato appunto anche il Corriere della Sera. La spiga di Mosca non è sotto sanzione europea. D’altronde il mondo occidentale si è servito del suo impatto sui prezzi per calmare l’inflazione, con il danno collaterale della mazzata sulle nostre produzioni locali, che a un certo punto, già sfiancate dal rally dei costi di produzione (a partire dal gasolio), sono scese in Piazza paralizzando mezza Europa.

L’anno scorso l’Italia ha importato 410 mila tonnellate di grano russo. Mosca e Ankara hanno doppiato i volumi del Canada nella seconda metà del 2023 e poi il Kazakhstan e altri Paesi sospettati di triangolare il grano russo. Il 70% del grano duro per la pasta italiano è però di produzione nazionale e se i prezzi di vendita crollano mentre i costi di produzione lievitano si crea una morsa che rischia di lasciarci senza fiato.

Fra speculazione e geopolitica della spiga si dibattono però anche molti altri. Ieri Reuters riportava che la Russia sta inviando 200 mila tonnellate di grano grati a sei Paesi africani: Somalia, Repubblica Centrafricana, Mali, Burkina Faso, Zimbabwe ed Eritrea. Putin lo aveva promesso proprio lo scorso luglio.

Secondo molti osservatori, le esportazioni di grano russo stanno pesando sui prezzi del mercato globale.

Il future sul grano del Chicago Mercantile Exchange, un riferimento del settore, erano balzati oltre i mille dollari con lo scoppio della guerra in Ucraina, ma da allora sono crollati e ora trattano sui 590 dollari (sono le quotazioni in bushel USA), già a ottobre Mosca era il principale indiziato per il ritorno delle quotazioni sui minimi degli ultimi tre anni. Le scadenze del 2024 e del 2025, lasciano pensare a un recupero dei prezzi solo alla fine di quest’anno.

Ancora la scorsa settimana però il prezzo del grano scendeva a 219 dollari a tonnellata, 5 dollari in meno in una settimana secondo IKAR. E la situazione è fluida, l’Egitto ha da poco comprato 180 mila tonnellate di grano ucraino e rumeno perché costava meno di quello russo.

Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, dopo il report di Divulga ha chiesto uno stop alle "importazioni sleali", accordi pluriennali sul prezzo tra agricoltori e pastifici:

"Al pari del grano canadese con il glifosato, anche l'ondata che arriva dalla Russia e dalla Turchia rappresenta una grande minaccia per i nostri produttori"

A Piazza Affari (e non solo), per chi voglia posizionarsi sul grano c’è l’ETC Wisdomtree Wheat (basato sul Bloomberg Sub Wheat TR USD americano): oggi vale 22,2 euro, ma nei giorni caldi dell’invasione russa in Ucraina aveva superato i 56 euro. Ora è tornato sui livelli dell’estate 2020 quindi conferma questa depressione globale dei prezzi.

Ancora una volta c’è il grosso rischio che la guerra tra Kiev e Mosca ferisca anche l’Europa.