Iran, sempre più colpite le infrastrutture energetiche
pubblicato:Nel Golfo persico bloccato il maggior giacimento del gas del mondo. Anche in Israele stop a raffinerie e giacimenti. Il pericolo politico dei prezzi dell'energia cresce anche per gli Stati Uniti

Al G7 del Canada il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha sottolineato di volere andare oltre un semplice “cessate il fuoco”, di volere qualcosa di più “una fine, una vera fine, non un cessate il fuoco”.
Su Truth 15 ore fa il presidente Usa postava “L’Iran avrebbe dovuto firmare l’’accordo’ che gli avevo detto di siglare. Che vergogna, che spreco di vite umane. Abbiamo semplicemente affermato che l’Iran non può avere un’arma nucleare. L’ho detto e ripetuto. Tutti dovrebbero immediatamente evacuare Teheran”.
Iran, i piani di Israele rischiano di forzare Washington?
In realtà il conflitto aperto tra Israele e Iran sembra andare ben al di là dei piani americani e delle sue previsioni.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha rapidamente trasformato l’obiettivo delle operazioni in Iran dalla distruzione del potenziale nucleare del Paese che avrebbe forse potuto essere impiegato nella produzione di armi nucleari e dall’eliminazione dei vertici militari di Teheran a un più completo piano di abbattimento del regime degli ayatollah.
In questo contesto Netanhyahu non è esclusa l’uccisione dell’86enne Ali Khamenei l’attuale guida suprema, che secondo alcune indiscrezioni in questa fase di attacco, la più difficile forse del conflitto tra i due Paesi negli ultimi 50 anni, starebbe valutando di lasciare il Paese per mettersi in salvo dagli attacchi che in pochi giorni hanno decimato la guida militare iraniana.
Va comunque ricordato che da venerdì a oggi, secondo stime aggiornate del Time of Israel l’Iran, circa 90 milioni di abitanti a fronte dei circa 9 milioni di abitanti di Israele, avrebbe lanciato contro il paese di Benjamin Netanyahu qualcosa come 350 missili.
L’escalation è insomma sempre più grave, nonostante le petizioni di principio del G7 non poteva essere in questa fase un punto forte di aggregazione della comunità internazionale per il semplice fatto che l’Amministrazione Trump non crede nel concetto di comunità internazionale e non ne incoraggia le istituzioni relative, ma preferisce rimandare tutto ai rapporti interpersonali e bilaterali in cui può spingere al massimo la posizione negoziale forte degli Stati Uniti.
Iran, dal conflitto un rischio per i prezzi globali dell'energia
I pericoli politici dell’escalation mediorientale che in pratica sembra aggravarsi con il procedere delle ore non risparmiano però Washington. Trump si è impegnato nel tirare fuori gli Stati Uniti dalle guerre in corso e nel bloccarle, ma non ha ottenuto risultati concreti né in Ucraina, né a Gaza. Anzi negli ultimi giorni il conflitto diretto di Israele con l’Iran, un’evoluzione dei contrasti cinquantennali tra i due Paesi collegati anche agli attentati del 7 ottobre, potrebbe essere letto come un terzo nuovo fronte.
Il rischio diretto però per Washington rischia di essere ancora più grave e collegato ai prezzi dell’energia che Trump non ha nascosto di volere tenere bassi. Bassi prezzi dell’energia e del petrolio a livello internazionale sono la precondizione di un calo dell’inflazione che è tra gli obiettivi dichiarati più importanti della Trump economy e sono anche la condizione perché la Fed davvero pensi di tagliare i tassi d’interesse.
Parliamo di un’amministrazione che ha trasformato - probabilmente a ragione - in questione politica il prezzo delle uova per la colazione degli americani. Segnatamente peraltro i prezzi dopo diverse rivendicazioni sono scesi davvero a 4,548 dollari la dozzina a fronte dei 5,9 di febbraio.
Ma se il prezzo delle uova può essere un problema, figuriamoci il prezzo del petrolio e per Washington un prolungato conflitto Israele-Iran rappresenta un rischio per i prezzi mondiali del petrolio, nonostante la produzione “spare” dell’Opec o la nuova capacità Usa. Soprattutto se, come è emerso negli ultimi giorni gli attacchi di Teheran e di Tel Aviv non risparmiano più le infrastrutture energetiche come parso in un primo momento.
Medioriente: colpite sempre più infrastrutture energetiche in Iran e in Israele
È vero l’Iran non ha bloccato lo stretto di Hormuz finora, come temuto dagli analisti finanziari fin dai primi attacchi. Quell’”infrastruttura strategica” che ospita ogni giorno un quinto del petrolio che va per mare in tutto il mondo per ora sembra integra. Ma non è detto che duri, anzi. I media internazionali hanno riportato che il giacimento di gas iraniano South Pars condiviso con il Qatar, il maggiore giacimento di gas del mondo, è stato colpito. Si tratta produzione situata proprio nel Golfo Persico, quindi nelle stesse acque che poi passano dallo stretto di Hormuz. Israele ha colpito anche il deposito di carburanti di Shahran e quello di Shahr Rey.
Nonostante le sanzioni l’Iran è ancora il terzo maggior produttore dell’Opec con 3,3 milioni di barili di petrolio al giorno e altri 1,3 milioni di barili di condensato e altro, circa il 4,5% delle forniture mondiali, ossia una capacità che può sentirsi sui prezzi se interrotta bruscamente.
In termini di riserve di gas naturale l’Iran è il secondo Paese al mondo dopo la Russia. Per gli stessi motivi però le infrastrutture e la produzione energetica iraniana sono basilari per la tenuta economica del Paese e rischiano di essere visti come un obiettivo militare appetibile.
Anche le infrastrutture energetiche di Israele sono finite nel mirino: delle due raffinerie del Paese, la quella di Haifa ha dovuto interrompere la produzione per gli attacchi missilistici iraniani. Dei due giacimenti offshore del Paese, ben due venerdì erano stati fermati, quello strategico del Leviatano gestito da Shell e quello di Karish gestito da Energean (funzionerebbe ancora il terzo, quello di Tamar).
In questo caso i numeri non hanno una dimensione globale, ma potrebbero averne una locale, in quanto, secondo quanto riportato da Reuters il 15-20% del gas egiziano proviene da Israele.
Con tutti questi stop alla produzione, all’immagazzinamento o alla distribuzione di energia nei due Paesi siamo sicuri che a breve non si registrino degli impatti sui prezzi globali dell’energia? I prezzi del WTI che in queste ore riprende la via dei rialzi con un +2,66% a 73,68 dollari al barile e quelli del Brent che guadagna il 2,84% a 75,31 dollari sembrano oggi restituire importanza a queste preoccupazioni. Non siamo sui massimi di venerdì, ma il rischio geopolitico è senz’altro aumentato.
Di certo se in un paio di giorni con prezzi quasi stabili emerge già la richiesta di Assoutenti di un intervento a Mister Prezzi contro l'ennesima palese speculazione sui listini di benzina e gasolio, i rischi nel medio termine diventano terribilmente prossimi anche per le famiglie italiane.