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Iren: bilancio di un 2022 complicato, ma il mercato apprezza

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
4 min

L’anno appena concluso ha comportato diverse sfide, dai costi e ricavi energetici, alla siccità che ha pesato sui margini, alla cessazione della produzione di certificati di efficienza energetica per quanto concerne l’impianto di Torino Nord. Cresce anche il debito, in un clima di tassi in rialzo, ma lo guidano investimenti che cresceranno ancora in futuro e che promettono margini importanti

Iren: bilancio di un 2022 complicato, ma il mercato apprezza

Nell’ultimo anno Iren ha fatto decisamente peggio dell’indice Ftse Italia Utenze, ma non è certo stato un anno semplice per le società dei servizi che hanno dovuto fronteggiare un rialzo dei tassi d’interesse senza precedenti nell’Eurozona per entità e rapidità.

Certamente molte di queste società hanno potuto incassare molto dal boom dei costi energetici solamente parzialmente limitato dalla tassazione degli extraprofitti, ma il contesto che si è generato, anche in base alla geografia di asset e attività specifici dei singoli gruppi (rivenditori di energia o anche generatori, per esempio, gestori di servizi ambientali o meno, idrico etc.), è sicuramente complesso presenta un mix articolato di rischi e opportunità.

Con questa premessa il recupero odierno di Iren in Borsa dopo i dati di bilancio e la presentazione del piano industriale può sicuramente fornire indicazioni che non solo riguardano una delle maggiori utility italiane attiva in un territorio strategico economicamente per l’intero Paese (e con ramificazioni economiche in diverse regioni), ma anche un indizio importante dello stato di salute di un intero settore.

Iren: ricavi su, utili giù

La complessità del quadro si può riassumere nei dati di Iren con due segnali opposti: il boom dei ricavi 2022 del 58,7% oltre i 7,86 miliardi di euro e il crollo degli utili del 25,4% a 226 milioni.

Senza conoscere il business in oggetto una dinamica del genere in un gruppo anonimo si potrebbe leggere come un balzo del circolante netto in affanno dietro al giro d’affari impetuoso o come una (collegabile) esplosione dei costi di produzioni che abbia abbattuto i margini. Entrambe le interpretazioni però nel caso di Iren, nel 2022, sarebbero però in larga parte sbagliate.

Iren, un impatto climatico

E’ vero, l’ebitda è cresciuto soltanto del 3,8% (a 1,054 mld), a fronte del balzo dei ricavi di quasi il 60%, ma la natura di questa dinamica è da collegare a fattori molto specifici.

Il comunicato di oggi spiega infatti che nonostante il citato boom dei prezzi di energia elettrica e gas che il delicato bilanciamento fra conseguenze positive (margini della produzione elettrica e del calore, corrispettivi per il capacity market e crediti d’imposta sui costi energetici) e negative (margini della vendita di energia elettrica in significativa flessione) è stato praticamente annullato da questioni regolatorie di primo piano e danni smaccatamente attribuibili al cambiamento climatico.

Sul fronte regolatorio si è registrato un forte impatto dalla cessazione della produzione di certificati di efficienza energetica per quanto concerne l’impianto di Torino Nord e dalla forte riduzione dei margini sul mercato dei servizi di dispacciamento.

Sul fronte “climatico”, in pratica la grave siccità e le temperature elevate hanno segato la produzione idroelettrica che normalmente avrebbe invece prodotto margini importanti. A cascata, si perdoni il gioco di parole, sono stati prodotti meno certificati verdi dalle centrali idroelettriche ed è anche stato venduto meno calore per il riscaldamento.

Un impatto climatico non da poco: l’energia elettrica prodotta nel 2022 è stata di appena 7.593 GWh, con un crollo del 17,2% sul 2021.

L’energia idroelettrica prodotta è calata del 35,9% a 772,3 GWh. Quindi l’energia elettrica prodotto è calata soprattutto, appunto, per la siccità.

Ma non solo, perché anche il termoelettrico ha prodotto il 29,1% in meno, ossia 1.658 GWh, soprattutto a causa di un guasto alla turbina dell’impianto di Turbigo. Non proprio un anno fortunato insomma.

Se già questo sembra complesso, in realtà nel dettaglio ci sono ulteriori complicazioni normative, che però, come sempre, sono fondamentali per i business regolati.

In questo contesto sfidante il debito finanziario netto ha fatto un salto del 15,2% a 3,347 miliardi di euro e si confronta ora con un patrimonio di 3,19 miliardi di euro. Il debt/equity quindi è a 1,04, superiore all’unità ma non certo troppo elevato nella media di un settore tradizionalmente molto indebitato.

Fra l’altro la dinamica del debito è soprattutto attribuita dalla società guidata dall’ad Gianni Armani da investimenti record ad 1,485 miliardi di euro in crescita del 55,5% in un anno.: sono per 898 investimenti tecnici, per 310 milioni m&a soprattutto nel fotovoltaico (e in particolare in Puglia e nel Sud Italia), ma anche nel gas di Sei Toscana e nell’idrico di SAP in Liguria; per 277 milioni di euro riguardano l’efficientamento energetico.

Prospettive insomma. Che il piano industriale al 2030 dettaglia.

Iren, il piano industriale

Nei prossimi 8 anni Iren vuole investire 10,5 miliardi di euro, ben 200 milioni in più del piano precedente. In particolare la società intende raggiungere una capacità rinnovabile di ben 3,6 GW anche tramite 400 MW di comunità energetiche.

In soldoni i target sono di un ebitda di 1,87 mld nel 2030 con un CAGR del 7% e una PFN/Ebitda di appena 2,7x a fine piano (oggi è a 3,17 circa).

L’utile dovrebbe raggiungere i 460 milioni nel 2030.

Confermato un pay-out ratio del 50-60% in materia di dividendi.

Anche in termini sociali (ma insieme a quelli ambientali si tratta di tematiche sempre di primo piano nelle utility), si prevede un balzo, con ben 3.200 ingressi entro il 2030.

Intanto però anche le sfide del presente, non sono da poco.