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Mercati, a che punto è il panico?

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
5 min

L’operazione Credit Suisse-UBS ha spaventato i mercati nelle prime ore, ma l’Europa adesso tenta una reazione.
Il petrolio in forte calo racconta anche un’altra storia (tutta cinese).
Il clima risk-off comunque rimane. Paura e incertezza si consolidano nei mercati

Mercati, a che punto è il panico?

Ancora paura sui mercati. L’acquisizione forzosa di Credit Suisse da parte di UBS per solo 3 miliardi di franchi in un’operazione carta contro carta fortemente voluta dalle autorità svizzere e dalle banche centrali del Vecchio e del Nuovo Continente tranquillizza solo parzialmente gli operatori.

Dopo un avvio in netta perdita, i maggiori indici azionari europei però ritornano in territorio positivo, e questo è già un buon segnale, anche se dopo l’altalena degli ultimi giorni, la prudenza resta d’obbligo. A metà seduta il Dax recupera lo 0,73% e il Cac 40 lo 0,94% Restano sottotono i future Usa.

La situazione rimane però tesissima e l’incertezza cresce. A Zurigo, dopo l’annuncio di ieri sera, UBS perde il 4,7% e si riporta a 16,34 franchi, Credit Suisse cede un altro 60,12% e si riporta a 0,742 franchi. È già nettamente sotto gli 0,76 franchi a cui era valutata fino a ieri sera dalla fresca operazione con UBS; ma è un’operazione carta contro carta con 22,48 azioni di Credit Suisse per ogni azione di UBS: in termini di rapporto, ai corsi attuali, siamo a 22,02 azioni CS contro una di UBS, non troppo lontani da quanto deciso.

Di certo il nervosismo persiste.

Il Ftse Italia Banche solo a metà seduta recupera un parziale rialzo (+0,09%) a 10248 punti, ma in avvio aveva toccato i 9.661, tornando praticamente sui valori dei primi dell’anno.

L’Euro Stoxx Banks perde un altro 1,85%, ma anch’esso ha registrato un brutto affondo in avvio.

A Milano le banche recuperano parte delle perdite delle prime battute, ma la tensione persiste: Bper -1,3%, Unicredit -0,16%, Banco BPM +0,59%, Intesa +0,55%

Mercati, petrolio osservato speciale

Un’altra dinamica rilevante è però da guardare oggi nei mercati: quella del prezzo del petrolio.

L’affondo delle quotazioni del greggio porta vendite anche nel comparto energetico.

In queste ore non a caso Saipem (-1,53%), Eni (-0,43%) e Tenaris (-0,45%) sono tra i peggiori titoli di Piazza Affari.

Il future sul WTI cede l’1,63% a 65,65 dollari al barile e il derivato sul Brent perde l’1,52% a 71,86 dollari. Entrambi segnavano ribassi dell’ordine del 3% in avvio.

In un’altra seduta si sarebbe posto l’accento soltanto sulla crisi bancaria. L’incertezza dei mercati si traduce sempre in incertezza sulla futura domanda di petrolio e l’oil è un barometro sensibile della fiducia, almeno quanto il comparto bancario. Senza dubbio è un ragionamento corretto, ma c’è dell’altro.

Oggi è un programma la visita del presidente cinese Xi Jinping a Mosca, la prima dallo scoppio della guerra in Ucraina. Finora la Cina ha mantenuto le distanze e, pur condannando le sanzioni occidentali, non ha fornito armi alla Russia.

La Cina ha inoltre firmato da poco l’accordo storico di pace tra Iran e Arabia Saudita: un successo diplomatico globale granitico che le dà una posizione di vantaggio enorme al tavolo tutto da costruire tra Kiev e Mosca.

Proprio il petrolio è un fil rouge di tutto questo armeggio diplomatico. La Cina, da sempre affamata di materie prime, è il maggiore acquirente di un po’ tutto il greggio del Medioriente e della Russia.

Reuters proprio oggi riporta che a gennaio e febbraio di quest’anno la Russia ha superato l’Arabia Saudita come primo fornitore di petrolio della Repubblica Popolare. Circa 15,68 milioni di tonnellate di greggio nei due mesi secondo i dazi cinesi. Il petrolio russo fornito alla Cina è balzato del 23,8% rispetto a un anno fa, a causa delle sanzioni europee e occidentali.

Come noto si tratta di petrolio a forte sconto, venduto in Cina per aggirare le sanzioni e questo ovviamente non può che pesare sulle quotazioni globali. Più petrolio a un prezzo più basso.

Fra l’altro la Cina è un acquirente strategico anche del greggio dell’Arabia Saudita, suo secondo supplier con 13,9 milioni di barili nel primo bimestre 2023, e dell’Iran, che non ha un peso paragonabile nell’interscambio cinese, ma ha nella Cina e nell’India i suoi maggiori mercati di sbocco da quando è colpito dalle sanzioni statunitensi.

Con queste crisi insomma la Cina sta facendo affari d’oro, come diversi produttori di armi. Il conflitto ucraino ha però causato anche molti danni e i crescenti pericoli di un suo allargamento non possono essere ignorati.

Mercati, il nervosismo resta palpabile e la fuga dal rischio decisa

La coerenza del clima risk-off di questi giorni non può però essere ignorata. L’operazione sul Credit Suisse ha comportato l’acquisizione in fretta e in furia di una delle 30 banche sistemiche globali, con il sostegno delle massime autorità monetarie.

Il BTP decennale italiano che fa da riferimento allo spread (4,40% maggio 2033) era sceso sotto i 99 euro a inizio mese e ora vale 103,6 euro.

Il Bund corrispondente a inizio marzo valeva meno di 97 euro ed è arrivato a sfiorare i 102 euro. E intanto i rendimenti sono scesi rapidamente nonostante gli aumenti dei tassi d’interesse (con complicazioni per le banche centrali).

Semplice panico e paura che strappavano gli investimenti all’azionario e li parcheggiavano per sicurezza sul debito pubblico.

L’indice della paura VIX è tornato rapidamente sopra i 26 punti. L’oro ha fatto una puntata rapida sopra i 2000 dollari l’oncia. I mercati sono insomma molto spaventati.

Le banche, quelle europee e quelle americane, saranno pure molto più sicure e capitalizzate di quanto non fossero nel 2008, ma intanto SVB, Credit Suisse, First Republic e altre sono entrate rapidamente in crisi. Gli indici azionari hanno rapidamente ripiegato al ribasso di qua e di là dall’Atlantico e l’impressione è che, finché il quadro non sarà molto più chiaro, in molti resteranno alla finestra per vedere come va a finire.