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Petrolio in calo, i tagli dell'Opec+ ignorati dal mercato

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
4 min

Nuovi tagli alla produzione da 2,2 milioni di barili, ma il mercato li snobba: le posizioni sembrano divise e la domanda sembra andare da un'altra parte. Greggio e titoli petroliferi (Eni e Tenaris comprese) di nuovo in calo

Petrolio in calo, i tagli dell'Opec+ ignorati dal mercato

Nel primo pomeriggio il comparto petrolifero guida ancora la classifica dei ribassi di Piazza Affari con vendite decise su Eni (-2,09%), su Saipem (-1,99%) e su Tenaris (-1,65%).

È tutto il settore che perde terreno in queste ore. L’Euro Stoxx Oil & Gas segna un ribasso dell’1,96% e il petrolio subisce nuove vendite. Il future sul Brent segna un ribasso dello 0,76% a 78,28 dollari e il derivato sul WTI passa di mano a 73,49 dollari con un calo dello 0,78 per cento.

Nei fatti l’atteso meeting dell’Opec del 30 novembre non ha spinto al rialzo i prezzi internazionali del petrolio come da molti immaginato. Al contrario. I prezzi hanno ripreso a scendere e stanno scendendo ancora.

Petrolio, l’Opec+ annuncia tagli per 2,2 milioni di barili e l’ingresso del Brasile

Sul sito dell’Opec, che va inteso come cartello allargato alla Russia e ai suoi alleati, ossia nella formula Opec+. Sono presenti due comunicati in riferimento al meeting del 30 novembre.

Il primo riafferma i vecchi tagli, ma specifica dei livelli di produzione 2024 asseverati da fondi indipendenti (IHS, Wood Mackenzie e Rystad Energy) per Angola a 1,11 milioni di barili al giorno, Congo a 277.000 b/d e Nigeria a 1,5 milioni di barili.

Il secondo annuncia nuovi tagli volontari per 2,2 milioni di barili al giorno: Arabia Saudita (1 milione di barili al giorno); Iraq (223 mila barili al giorno); Emirati Arabi Uniti (163 mila barili al giorno); Kuwait (135 mila barili al giorno); Kazakistan (82 mila barili al giorno); Algeria (51 mila barili al giorno); e Oman (42 mila barili al giorno) a partire dal 1° gennaio fino alla fine di marzo 2024.

A questi tagli vanno aggiunti quelli della Federazione Russa di 500 mila barili al giorno per lo stesso periodo da ricavare dai livelli medi di esportazioni di maggio e giugno del 2023, e composti da 300 mila barili al giorno di greggio e 200 mila barili al giorno di prodotti raffinati.

Dopo marzo, per sostenere la stabilità del mercato, questi tagli volontari saranno ritirati gradualmente in base alle condizioni di mercato.

Una novità sostanziale giunge però a sorpresa dal meeting con la decisione del Brasile di entrare nel cartello, forse già da gennaio prossimo. Ma sembra che, come per il Messico, il nuovo membro non abbia tetti produttivi in essere, quindi la sua partecipazione al cartello potrebbe in pratica essere inutile, almeno all’inizio.

Petrolio, la reazione dei mercati è diffidente

Quindi un taglio da circa 2,2 milioni di barili al giorno, anche superiore alle attese, ma perché allora i mercati del greggio hanno ripreso a scendere?

Una spiegazione chiara non c’è in realtà. È piuttosto un coacervo di impressioni e fattori che giustifica la sostanziale sfiducia nell’azione dell’Opec+.

Innanzitutto questi tagli sono volontari. E dopo il rinvio del meeting di qualche giorno prima questo ha aggiunto sfiducia agli operatori sulla reale efficacia di questi interventi che per molti paesi produttori rischiano di creare buchi importanti nelle entrate fiscali.

Mancano i dettagli sulle quote di produzione di molti appartenenti all’Opec+ sottolineano diversi analisti e questo rende anche meno credibile questa intesa.
La mancanza di una piattaforma ufficiale e condivisa per tutti i Paesi produttori lascia immaginare che ci siano degli impegni un po’ vaghi sulla carta che potrebbero tradursi su livelli di produzione più generosi nei prossimi mesi, come in parte successo anche in passato.

Si coagula l’impressione di divisioni profonde in seno al cartello con spinte dall’Arabia Saudita che non riescono però a creare un fronte unico di azione, come in parte il mercato si aspettava.

 

Petrolio, il contesto rema contro

Ci sono poi tutti gli altri fattori di contesto che minacciano la credibilità dell’intesa. Si teme nel medio e lungo termine una domanda in calo con il rallentamento dell’economia statunitense e anche minori richieste dalla Cina. La domanda è ovviamente un fattore chiave delle quotazioni del petrolio e in più casi ha depresso le quotazioni del petrolio greggio indipendentemente dalle decisioni dell’Opec+. Si stanno inoltre manifestando gli effetti dell’efficientamento energetico e del contenimento delle risorse fossili, con impatti di lungo periodo sulla stessa domanda.

A questo si aggiunge la forte produzione statunitense, il secondo trimestre ha registrato una crescita importante che dovrebbe essere confermata anche nel terzo e questo minaccia il potere dell’Opec+.
Ci sono poi altri fattori importanti come il livello elevato delle scorte di idrocarburi e l’attesa di un inverno relativamente mite.

Tutti fattori che concordano nell’indicare una flessione della domanda e dei prezzi del petrolio e per ora, almeno sul mercato, sembra che l’Opec+ non sia riuscita a dare quella sterzata che sperava, forse perché divisa, forse perché il ciclo economico sta andando da un’altra parte.