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Petrolio: le reazioni al bando del greggio russo

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Cali relativamente contenuti dei prezzi fanno da sfondo a un nuovo quadro. Cina, India e Turchia potrebbero rimpiazzare parte della domanda europea. Intanto l'Arabia Saudita gioca la sua partita. Il nuovo tetto del G7 ai prezzi cambia lo scenario e le incertezze si moltiplicano

Petrolio: le reazioni al bando del greggio russo

Petrolio in flessione sui mercati internazionali, dopo i cali di ieri, ma la reazione alla nuova stretta europea e del G7 sul greggio appare tutto sommato limitata. Ieri il WTI ha chiuso la seduta in calo del 3,8% a 76,93 dollari al barile e il Brent ha ceduto il 3,38% circa tornando a 82,68 dollari.

Sull’Ice il future sul Brent cede ancora l’1,3% e si riporta a 81,60 dollari al barile, in direzione di minimi di settembre. Anche il WTI, con il calo dell’1,36% a 75,88 dollari si dirige sui minimi dello stesso mese.

Le reazioni del greggio alle ultime novità sono quindi contenute e diversi osservatori ipotizzano una stabilizzazione nel breve termine, ma lo scenario appare per il petrolio incredibilmente complesso.

Petrolio: l’Europa si unisce allo stop di Stati Uniti e UK al greggio di Mosca

La scadenza attesa dai mercati era proprio ieri, il 5 dicembre, quando è scattato il bando europeo del petrolio russo via mare, probabilmente è la sanzione più dura decisa da Bruxelles ai danni di Mosca per la guerra in Ucraina.

Il Vecchio Continente si unisce così allo stop di Stati Uniti e Gran Bretagna al petrolio di Putin. Il prossimo 5 febbraio 2023 il bando europeo si estenderà anche ai prodotti petroliferi raffinati russi.

I mercati però aspettavano un’altra decisione collegata: quella sul tetto al prezzo del petrolio russo venduto a terzi. Il 2 dicembre il G7 e l’Australia hanno annunciato che questo limite al prezzo del petrolio sarebbe stato posto a un massimo di 60 dollari.

Un tetto molto discusso e condiviso con decisione unanime dall’Unione Europea, quindi dal Regno Unito, dal Canada, dal Giappone, dagli Stati Uniti e dall’Australia.

Questo limite pesa soprattutto perché vincola anche banche, compagnie di assicurazione e riassicurazione, compagnie di navigazione con sede nel G7 impegnate nel trasporto di petrolio russo verso Paesi terzi.

Il timore di sanzioni indirette e l’incertezza generale del quadro hanno condizionato gli operatori, anche se poi il prezzo finale, seppure distante dalle quotazioni attuali, a molti è parso quasi vantaggioso su alcuni mercati per la Russia costretta da tempo a vendere sottocosto i propri barili.

La Polonia e l’Estonia avrebbero ritenuto congruo un tetto a soli 30 dollari al barile, per penalizzare davvero Mosca avvicinando le quotazioni ai costi di produzione. A favore di quel livello si era espresso anche Robin Brooks, capo economista dell’americano Institute of International Finance. Ma le considerazioni da fare erano molteplici e tutti i Paesi hanno dovuto tenere conto di diversi fattori.

Petrolio, uno scenario in profondo cambiamento

La prima conseguenza delle decisioni del G7 potrebbe essere una concorrenza del petrolio russo con il petrolio saudita e mediorientale per i mercati della Cina e dell’India. La prima domanda che gli operatori si fanno infatti è: dove finiranno i barili di petrolio russi che ogni giorno l’Europa consuma?

Secondo l’IEA, l’agenzia internazionale dell’energia, fino allo scorso ottobre le esportazioni di petrolio russo nel mondo hanno subito un calo, ma non un tracollo: si attestavano nel mese a 7,7 milioni di barili, con un calo di soli 400 mila barili al giorno sui livelli pre-guerra.

L’export di greggio russo verso gli Stati membri UE è però diminuito di 1 milione di barili riducendosi a 1,5 milioni di barili al giorno e potrebbe in seguito essere calato ulteriormente.

Le esportazioni di greggio russo hanno però trovato un’alternativa in India, Cina e Turchia, che hanno tutte aumentato le proprie importazioni. Ci sono poi da considerare i “dark tanker”, le operazioni di vendita opache tramite navi usate soltanto per mascherare il traffico di greggio russo. Non è un caso che Cina e India abbiano ribadito che non si faranno condizionare dalle decisioni del G7.

L’Arabia Saudita proprio ieri ha tagliato il prezzo ufficiale di vendita del greggio diretto agli acquirenti asiatici ai minimi degli ultimi 10 mesi. D’altronde è proprio l’Arabia Saudita ormai il motore principale del cartello dell’Opec. L’ultima riunione, che ha anticipato di un giorno le decisioni dell’Unione Europea e del G7, è finita come previsto, con un nulla di fatto.

L’Opec+, che comprende anche la Russia e altri alleati, ha confermato gli attuali livelli produttivi e la maggior parte dei Paesi non riesce a mantenere gli obiettivi prefissati, per cui ancora una volta è proprio l’Arabia Saudita a guidare le danze e non le dispiacciono dei prezzi elevati mentre tutti parlano di futura elettrificazione dei mercati. Con espressione ufficiale, le decisioni del passato si sono dimostrate adeguate alla gestione dell’equilibrio dei mercati.

Quel che però emerge sullo sfondo del nuovo scenario è appunto una possibile concorrenza tra Riad e Mosca per la domanda di petrolio dei grandi consumatori orientali come Cina e India. Intanto l’Europa dovrà probabilmente comprare molto più greggio da Medioriente e Africa.

Petrolio, la Cina e i timori di recessione influiscono sui prezzi

Il quadro cinese appare tutt’altro che chiaro. La politica zero Covid è sostanzialmente confermata e anche se si sono avuti degli allentamenti dalle recenti strette in chiave anti-pandemica (dopo le forti e nuove proteste), molti temono nuove e dure misure di contenimento.

La domanda cinese e l’andamento della sua economia sono state un punto interrogativo in queste sedute e in questi mesi. Il Financial Times ha riportato che si allentano le restrizioni a Beijing, ma si teme per i casi che potrebbero insorgere nelle aree rurali.

C’è poi la paura della recessione su scala globale. I timori per l’inflazione dei costi energetici e i suoi impatti sull’economia sono tornati anche nel comunicato della Commissione Europea sulle ultime decisioni. Negli Stati Uniti intanto ci si chiede se le sanzioni del G7 non peseranno sui prezzi alla pompa di benzina, che sono un argomento politico importantissimo.

In questo contesto i limiti globali ai prezzi del greggio sembrano più una misura contro l’inflazione energetica, che una sanzione delle politiche di Mosca. Mentre la maggior parte degli osservatori si aspetta una recessione negli Stati Uniti e in Europa, almeno all’inizio dell’anno prossimo, anche gli operatori sul mercato del petrolio greggio si interrogano sulla domanda delle maggiori economie.

Anche questo, inevitabilmente, pesa sui prezzi.

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