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Petrolio in calo, diverse incognite comprimono i prezzi in attesa del bando UE

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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La paura della recessione frena i prezzi, la questione cinese aumenta le incertezze. Intanto i prezzi indicano cali in vista e l’Opec+ non accenna cambiare passo. L’UE però si divide sul tetto al prezzo del petrolio di Mosca, a una settimana soltanto dallo scatto del bando nel Vecchio Continente

Petrolio in calo, diverse incognite comprimono i prezzi in attesa del bando UE

Prospettive nere per il petrolio. Sia i future sul Brent, che quelli sul WTI sono in backwardation sulle scadenze da fino a metà 2024. Significa che comprare il future su un barile di Brent con scadenza al giugno 2024 costa 76,91 dollari contro gli 81,22 dollari di adesso, significa un  potenziale downside del 5,6% che sul greggio è un abisso (e sulle scadenze più lontane le attese del mercato sono ancora minori).

Il Brent copre circa due terzi del prezzo globale del petrolio, ma anche per il WTI ($ 74,37 b, -1,91%) il quadro di attese al ribasso non appare sostanzialmente diverso e gli imputati sul banco sono essenzialmente due.

Petrolio: sui prezzi la paura di una recessione, ma non solo

I timori persistenti di una prossima recessione negli Stati Uniti e in Europa, con conseguente calo della domanda, e la paura della rinnovata politica zero Covid cinese ormai esplosa anche in proteste interne, pesano come macigni sui prezzi del petrolio.

La Cina potrebbe frenare pesantemente: è il secondo consumatore del mondo di petrolio dopo gli Stati Uniti (circa 12,79 milioni di barili al giorno contro 19,68 milioni) e anche a Washington, come detto, attendono una crisi. Ci sono quindi diverse criticità demand-side cui si potrebbero accostare altri fattori che il quadro generale inevitabilmente compone intorno alla domanda di energia.

Il primo è il dollaro forte (in queste ore di timore il biglietto verde torna a giocare il ruolo di safe haven mentre anche lo yuan cinese si svaluta nei suoi confronti): come noto, il dollaro forte tende a comprimere le quotazioni del petrolio greggio espresse appunto in dollari.

La seconda è la Russia e il bando Ue al suo greggio che dovrebbe scattare dal prossimo 5 dicembre, dunque tra una settimana.

Il giorno prima, il 4 dicembre, è infine atteso il meeting dell’Opec+; ma lo scorso 26 novembre il rappresentante iracheno ha dichiarato che la coalizione dei produttori tenta di scongiurare un declino del prezzo, quindi le ipotesi di un aumento della produzione dopo il taglio di due milioni di barili concordato a ottobre e avviato a novembre, sembrano aliene dalle ipotesi di un consesso che ribadisce i timori per la recessione e l’importanza del bilanciamento dei mercati, mettendo in secondo piano i rischi di carenza di offerta che potrebbero derivare dal bando al petrolio russo.

Petrolio: il bando UE e la questione del tetto al prezzo che divide

Il bando europeo riguarda soltanto il petrolio portato in Europa via mare, ma gli Stati Uniti e il G7 stanno facendo pressione per l’imposizione anche di un tetto al prezzo (price cap). Si tratta di un tetto che varrebbe su scala globale quindi potenzialmente su ogni nave che trasporta petrolio russo nel mondo.

Circola l’ipotesi di un tetto da porre a 65-70 dollari al barile, che sarebbe sostanzialmente in linea con gli sconti che il petrolio russo già subisce nei mercati asiatici per trovare una valvola di sfogo. Si tratterebbe dunque per diversi osservatori di un prezzo in linea con alcune parti del mercato.

La necessità di un tetto al greggio russo trasportato nel mondo, un tetto che diventerebbe vincolante per tutte le flotte e le compagnie di assicurazione e riassicurazione con sede nel mondo occidentale, sta però dividendo l’Europa.

La stessa Ucraina ha chiesto di imporre un taglio più duro, nel range dei 30-40 dollari, al petrolio di Mosca.
Nel Vecchio Continente la Polonia ha ancora la linea più intransigente e appoggia le ipotesi tetti i più bassi possibili al petrolio russo. Con lei ci sarebbero Lituania ed Estonia, mentre Cipro, Grecia e Malta – più direttamente interessate dal trasporto marittimo del greggio russo – chiedono prezzi più elevati, compensazioni per i danni economici che subiranno e un tempo più lungo per l’applicazione dei tagli.

La questione del prezzo del petrolio dunque divide come quella del prezzo del gas, ma i tempi sono decisamente più ridotti in vista della scadenza del 5 dicembre.

Petrolio, sanzioni che avranno un peso (e non solo su Mosca)

Sarebbe del 75-85% circa la quota di petrolio russo esportata tramite tanker e si suppone che questo bando possa danneggiare fortemente le entrate di Mosca togliendole risorse da impiegare nella guerra a Kiev.

Un passaggio chiave delle nuove misure è il divieto di servizi di shipping e persino di assicurazione e riassicurazione dei carichi di petrolio russo in giro per il mondo, con la sola eccezione di quelli inferiori al price cap in discussione (ovunque vadano).

Il sesto pacchetto di sanzioni Ue alla Russia, che incorpora il bando al petrolio marittimo di Mosca, è stato deciso a giugno e prevede da febbraio un bando aggiuntivo dei prodotti petroliferi russi, ma le decisioni Ue sono state ulteriormente rafforzate con il nuovo pacchetto di sanzioni UE contro Mosca il 6 ottobre scorso che prevede un tetto al prezzo relativo al trasporto di greggio russo verso Paesi terzi e ulteriori restrizioni anche sui prodotti petroliferi russi. Dove debba essere posta l'asticella è però - appunto - oggetto di fiero dibattito ancora in queste ore.

La ratio è ancora una volta scongiurare o rallentare l’afflusso risorse occidentali alle casse russe impegnate nella guerra, ma il divieto sui servizi anche assicurativi consente di spostare sulle flotte del G7 e sulle compagnie occidentali che assicurano i carichi la pressione, con un impatto più diretto e minori rischi di aggiramento delle sanzioni.

Tutte misure che hanno, come detto, conseguenze economiche anche nei Paesi occidentali che ospitano le compagnie finanziarie e marittime che fanno affari con il trasporto del petrolio russo.

Questo illumina anche le perduranti difficoltà nel raggiungere un accordo condiviso a pochi giorni dallo scatto del bando. L’incontro dei rappresentanti Ue sul tema previsto per venerdì scorso è infatti stato cancellato praticamente all’ultimo momento ed è slittato a questa settimana, mentre le posizioni restano divise ed aumenta la pressione di Stati Uniti e G7.

La questione non è politicamente e tecnicamente semplice e l’appello a un’ampia coalizione di sostegno alle nuove misure restrittive, ma forse per questi stessi motivi un accordo in tempi rapidi su un tetto chiaro ai prezzi dovrà essere raggiunto rapidamente, anche per permettere all’industria di adeguarsi e per restituire credibilità all’operato occidentale ed europeo.