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Petrolio ancora sopra i 100 dollari, allarme su domanda e offerta

di FTA Online News pubblicato:
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Prezzi del petrolio di nuovo in recupero e di nuovo sopra i 100 dollari al barile. Diverse le novità internazionali per il greggio che, come sempre, riveste un ruolo importante di termometro delle tensioni geopolitiche internazionali e dell’economia globale.

Petrolio ancora sopra i 100 dollari, allarme su domanda e offerta

Certamente i quasi 140 dollari al barile di WTI di inizio marzo restano ancora lontani, ma gli squilibri sui mercati internazionali diventano ogni giorno più evidenti.

E al centro della partita rimane la Russia. L’allarme è stato lanciato dal segretario generale dell’OPEC Mohammad Barkindo ieri: “Potremmo perdere potenzialmente più di 7 milioni di barili al giorno di petrolio russo e di altri idrocarburi liquidi a causa delle attuali e future sanzioni o di altri interventi volontari”. “Considerando l’attuale previsione sulla domanda, sarebbe quasi impossibile rimpiazzare una perdita di volumi di queste dimensioni”, ha aggiunto.

Petrolio: se viene a mancare il greggio russo

In pratica sul fronte dell’offerta rischiano di mancare oltre 7 milioni di barili al giorno a fronte di una domanda mondiale stimata oltre i 100,5 milioni quest’anno dall’Opec. Le sanzioni hanno però già convinto molte compagnie petrolifere internazionali a tagliare i ponti con la Russia e i grandi trader indipendenti privati come Vitol, Trafigura e Glencore stanno cercando di sfilarsi dai contratti di consegna di lungo termine siglati in passato e che ancora li vincolano ad acquisti e consegne mensili o giornalieri.

Proprio ieri Vitol ha annunciato di volere interrompere completamente gli scambi di petrolio e prodotti petroliferi con la Russia entro la fine di quest’anno. Sembra che abbia pesato anche una lettera di Zelensky indirizzata proprio a Vitol, Glencore, Trafigura e Gunvor che hanno continuato finora a lavorare con Mosca.

Petrolio, la domanda però è rivista in calo

Il report mensile di ieri dell’Opec prevede nel 2022 una domanda mondiale di petrolio in crescita crescere a 100,5 milioni di barili al giorno di petrolio dai 96,82 milioni di barili del 2021, circa 3,7 milioni di barili in più. In realtà però la stima sulla crescita della domanda di petrolio è stata tagliata di circa 480 mila barili al giorno rispetto alle previsioni precedenti. Perché? Conseguenze della guerra in Ucraina, crescente inflazione e recrudescenza della pandemia in Cina fanno a gara per fiaccare l’economia e quindi le previsioni sul greggio.

Anche in tempi di transizione energetica, la domanda di petrolio è ancora un termometro fondamentale dell’economia. Basti pensare al più grande importatore mondiale, la Cina. Secondo i calcoli dell’Opec nel 2021 gli Stati Uniti hanno registrato una domanda di 19,93 milioni di barili di greggio e la Cina una di 14,56 milioni di barili. Con la differenza che la Cina il petrolio lo deve comprare quasi tutto all’estero e quindi il peso delle importazioni cinesi di petrolio influenzano fortemente il mercato globale.

Non può dunque che preoccupare la notizia che a marzo queste importazioni siano calate del 14% rispetto al marzo del 2021, a circa 10,06 milioni di barili al giorno di media. Tutto in un periodo in cui le tensioni con Washington sono ravvivate anche da pressioni molto specifiche, come l’esclusione del colosso petrolifero cinese CNOOC da Wall Street spingono l’azienda a una quotazione da 4,41 miliardi di dollari a Shanghai. D’altronde la Cina starebbe continuando a comprare petrolio russo in quantità

Complessivamente il mondo che ne viene fuori è sempre più polarizzato e incerto. La ripresa economica in atto è sempre più segata dall’inflazione che parte dai prezzi dell’energia (il gas, ma anche il petrolio) e passa anche dalla pandemia che in Cina ha spinto la municipalità di Shanghai, afflitta da oltre 25 mila nuovi casi al giorno, a nuove dure restrizioni, con effetti sulle supply chain globali.

Petrolio, inflazione e interruzioni delle catene di approvvigionamento continuano insomma a danneggiare l’economia e la guerra in Ucraina aggiunge il suo contributo.

(Giovanni Digiacomo)