Pil USA, l’economia americana cresce più delle attese
pubblicato:PIL Usa: dati ancora migliori delle attese, ma intanto il governo prepara licenziamenti di massa nella pubblica amministrazione in vista del pericolo la prossima settimana di un nuovo shutdown

Altro che recessione. Il secondo trimestre degli Stati Uniti ha registro un Pil in prima lettura in crescita del 3,0%, in seconda lettura del 3,3% e nella terza lettura odierna del 3,8% decisamente meglio del consensus fisso sul dato della seconda lettura e decisamente meglio del 3,0% inizialmente stimato dal Bureau of Economic Analysis, l’agenzia del Dipartimento del Commercio Usa che pubblica questi dati.
Va però detto che il calo del primo trimestre del Pil USA è stato leggermente rivisto al ribasso dal -0,5% al -0,6% Poco male, anzi benissimo.
Pil Usa, le componenti che vanno meglio
I maggiori apporti alla crescita del Prodotto interno lordo a stelle e strisce vengono da Finanza/Assicurazioni (+0,7% di apporto), dall’Informazione (+0,66%), dalla manifattura di beni voluttuari (0,65%), dai servizi professionali (0,50%), dalla manifattura di beni durevoli (+0,46%). Molto male sono invece andati il commercio al dettaglio (-0,54%), il prodotto del Governo Federale (-0,33%) e le utility (-0,24%).
L’inflazione trimestrale PCE (non quella mensile di agosto in uscita domani, sempre molto attenzionata perché è quella di riferimento della FED) è cresciuta del 2,1% e quella core (senza energia e alimentari freschi) è al 2,6%. Livelli non proprio da sforbiciate imperiose dei tassi, ma la pressione pervicace della Casa Bianca sembra ormai il convitato di pietra delle riunioni della Fed e il mercato valuta con crescente probabilità la perdita dell’autonomia della banca centrale e il rischio che venga abbandonato un approccio dipendente dai dati per un meno chiaro approccio espansivo a tutti i costi.
L’indice dei prezzi degli acquisti interni lordi che misura le variazioni dei prezzi dei beni e dei servizi finali acquistati dai residenti a stelle e strisce è stato rivisto al rialzo dall’1,8% della seconda lettura al 2,0% secondo alcuni osservatori indicherebbe la salute della domanda interna negli States.
In soldoni i profitti dalla produzione attuale, che calcolano i profitti aziendali (comprendendo la valutazione del magazzino e le correzioni del consumo di capitale - capital consumption adjustments) sono cresciuti di 6,8 miliardi di dollari nel secondo trimestre, però, un dato inferiore alla seconda lettura che vedeva l’aumento a 58,7 miliardi.
Usa, il lavoro invia segnali di forza e anche gli ordini
In contemporanea oggi sono giunti anche altri dati salutari sul mondo del lavoro, a partire dal calo delle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione da 232 mila a 218 mila unità (consensus 233 mila).
Sul fronte dei consumi sono poi arrivati i dati preliminari di agosto sugli ordinativi di beni durevoli che sono passati da un -2,7% di luglio a un +2,9% a fronte di un consensus posto a -0,3%
Wall Street sottotono, la Casa Bianca paventa un nuovo shutdown
Wall Street non festeggia: S&P 500 -0,42%, Nasdaq 100 -0,52% e DJIA -0,11% Sicuramente non invia segnali di stabilità la notizia che la Casa Bianca ha chiesto alle agenzie federali ieri di prepararsi a piani di licenziamento massiccio durante un possibile government shutdown la prossima settimana.
Si tratterebbe di una doccia fredda rispetto ai licenziamenti temporanei del passato, questa volta il governo minaccia licenziamenti permanenti e coinvolgerebbe i programmi di Social Security, il Medicare, i sussidi per i veterani, le operazioni militari, il law enforcement, l’attuazione delle misure su immigrazione e dazi e di quelle sulla protezione dei confini e il traffico aereo, secondo quanto dichiarato da una fonte all’OMB (Office of Management and Budget) a Politico.
Alla base della crisi ancora una volta un’impasse tra Democratici e Repubblicani sui finanziamenti a Capitol Hill ancora a ridosso della fine dell’anno fiscale il prossimo 30 settembre. Alcune misure tampone passate alla Camera sono state fermate dai Democratici al Senato, un semplice rinvio fino al 21 novembre, ma che, bloccato, lascia di nuovo la patata bollente al Congresso.
Anche questa volta potrebbe alla fine sgonfiarsi tutto, come accade da anni con gli shutdown governativi Usa, ma c’è chi teme che, come per la durate dei licenziamenti, questa volta la ferita occupazionale possa essere più profonda e soprattutto più duratura che nel passato.