FTAOnline

Spread ancora in calo, siamo sui livelli del 2021

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
6 min

La corsa del rendimento tedesco è stata più rapida di quella dei titoli di Stato italiani. Ci sono fragilità di Berlino e segnali di solidità dell'Italia, ma non basta il differenziale a cancellare un costo del debito comunque elevato per l'Italia e un quadro generale ancora carico di luci e ombre

Spread ancora in calo, siamo sui livelli del 2021

È forse una buona notizia per la coesione europea, ma può essere letta anche come un segnale della debolezza tedesca o addirittura una indicazione fuorviante per l’analisi della condizione italiana, di certo il calo dello spread sui livelli del 2021 attira sempre di più l’attenzione dei mercati. In queste ore siamo a 126 punti base, ma abbiamo toccato i 116 punti base, ossia un costo del nostro debito decennale dell’1,16% in più di quello tedesco.

Spread, ma cosa è poi il differenziale? E fino a che punto è importante?

Questo è lo spread, prendi il rendimento del BTP decennale del periodo (in questo momento quello al marzo 2034 con cedola 4,2%) e lo confronti con il Bund tedesco della stessa durata a 10 anni (in questo momento quello al 15 febbraio 2034 con cedola 2,20%): siccome i prezzi variano ogni momento con le compravendite, variano anche i rendimenti sul mercato e chiaramente se un rendimento è alto vuol dire che il mercato si fida di meno e vuole essere pagato di più per comprare, mentre se un titolo è considerato solido il rendimento chiesto è più basso – si chiama infatti premio al rischio.

Spread, quando faceva politica e faceva paura

La solita relazione inversa insomma fra rischio e rendimento, ma in chiave debito pubblico, quindi politica e geopolitica come la crisi del debito sovrano europeo di qualche hanno fa ha dimostrato portando proprio sull’Italia gli effetti più devastanti di una sfiducia che ha fatto vacillare l’euro e con il gonfiarsi degli spread ha portato Mario Draghi, allora a capo della Bce, a sfoderare il suo famoso “whatever it takes”.

Tempi che sembrano lontanissimi oggi. Era il novembre del 2011 quando lo spread arrivava a toccare i 575 punti base, ossia il rendimento sui titoli di Stato italiani erano più cari di quelli tedeschi del 5,75% mentre il rendimento in valore assoluto dei decennali arrivava al 7,4%

In pratica c'era uno sganciamento tra la fiducia su Berlino e quella sull'Italia che era abissale e faceva temere che non potessero stare più insieme sotto la stessa moneta. Soprattutto se si temeva che l'Italia facesse default, ossia che la sfiducia si trasformasse nell'impossibilità di Roma di finanziarsi sul mercato con la conseguenza di un fallimento o meglio di un'intervento straordinario anche internazionale sulle finanze pubbliche che non aveva binari chiari da percorrere.

Quel che successe dopo, dal governo Monti all’austerity in poi è ormai storia, una storia forse non ancora condivisa, ma un’altra epoca, si spera. Anche perché poi tutto il quadro normativo macroeconomico e finanziario è cambiato e si è strutturato in maniera allora impensabile.

Spread, oggi il quadro è molto diverso

Oggi è tutto diverso e anche se l’Italia ha un debito/Pil molto più alto di allora (per gentile lasciato della pandemia e del superbonus siamo al 137% circa contro il 119,7% del 2011), il malato d’Europa è piuttosto la Germania che l’Italia, almeno in termini di crescita.

Certo parliamo di un Paese che ha un debito/Pil del 64,8% contro il livello monstre dell’Italia, ma anche contro il 111,8% della Francia e il 129% degli Stati Uniti.

Un livello che consentirebbe ampie manovre fiscali espansive a Berlino, ma che incontra ancora resistenze politiche e culturali importanti nonostante una crescita in affanno che minaccia tutto il Vecchio Continente a catena.

Nel quarto trimestre del 2023 la Germania ha segnato un calo dello 0,3% sul trimestre precedente dopo due 0,0% di fila e un +0,1% nel primo quarto dell’anno scorso. Su base annua il periodo ottobre-dicembre 2023 ha mostrato un calo dello 0,2%, e già c’era stato prima un -0,3% a/a

In confronto il +0,5% dell’Italia a fine 2023 rispetto a un anno prima sembrava un gran risultato. Anche se certo non era il +0,7% della Francia o il +2,2% del Portogallo o ancora il +2% della Spagna.

La crescita in Europa paradossalmente in questa fase è trascinata dal Meridione, con tutte le sue contraddizioni, ma con chiarezza nei numeri. A fine anno l’Irlanda ha registrato un -4,8% del Pil sul dato di un anno prima, dopo un anno di trimestri in continuo peggioramento congiunturale.

Anche l’Austria ha segnato un -1,3% a/a nell’ultimo quarto di un anno difficile e la Repubblica Ceca e la Lettonia.

Per l’Eurozona nel suo complesso un timido +0,1% non fa certo primavera, ma le posizioni sul fronte del Pil sono invertite rispetto a qualche anno fa.

Un rallentamento della Germania, magari dovuto a incertezze fiscali, geopolitiche e di approvvigionamento energetico, inevitabilmente trascinerebbe il resto dell’Europa e questo sta in parte già succedendo, ma per fortuna qualche timido segnale di ripresa già balugina a Berlino.

Spread in calo, ma il costo del debito resta alto

Ma restiamo all’Italia e al nostro spread. In pratica per i conti pubblici lo spread dice poco o nulla, essendo appunto un confronto tra due rendimenti, quelli sì concretamente importanti. In queste ore il rendimento del BTP decennale italiano è del 3,67% ed è quello che conta perché per ogni nuova asta dei decennali sarà quello il parametro dei collocamenti ossia verosimilmente il livello di interesse che lo Stato pagherà sul BTP.

Oltretutto nella classifica dei rendimenti europei la Germania rimane comunque la prima senza dubbio. Anche se i tempi dei rendimenti negativi che riducevano il debito pubblico sono andati, in ogni caso ancora oggi Berlino ha i rendimenti più bassi di tutti: il 2,44% in queste ore. Quello dei titoli europei è 54 punti base più su al 2,98%, la Francia ha un 2,88%, la Spagna un 3,24%, ma sono davvero pochi quelli che pagano più dell’Italia.

C’è appunto la Repubblica Ceca che è al 3,84%, c’è l’Ungheria che ha un pesante 6,5% e basta.

Anche la Grecia con il suo 3,25% a 10 anni paga meno sul debito di noi.

D’altronde in termini di debito/Pil tra le grandi economie ci batte soltanto il Giappone e con il nostro deficit del 7,2% nel 2023 abbiamo ribadito la nostra capacità di spesa.

Poi arrivano però anche segnali positivi. Per esempio stamattina il debito pubblico italiano di gennaio diffuso dalla Banca d’Italia ha mostrato un raro calo a 2.848,7 miliardi di euro, piccole variazioni, appena lo scorso agosto era più basso, ma sicuramente un segnale positivo.

Qualcuno potrebbe anche obiettare che persino gli Stati Uniti pagano più di noi, il Treasury decennale in queste ore ha un rendimento del 4,27% contro appunto il nostro 3,68%, ma loro hanno un Pil che cresce del 3,2%, un debito Pil al 129% un’economia gigantesca anche rispetto a tutta l’Europa.

Sono tutte cose che contano, ma in generale l’Italia sta confermando una solidità inattesa e spuntata dalla pandemia in poi, guadagnando fiducia nei mercati, come mostrano anche i titoli azionari e i rendimenti. Non mancano le insidie e le fragilità però.

A fare il quadro, insomma, non basta un spread.