Tecnologia, l'incertezza pesa soprattutto in Europa
pubblicato:Chip UE ancora in panne, sia STM, che Infineon, che ASML soffrono. Pesano le incertezze dell'auto (per esempio Tesla) e i dazi USA. Washington intanto tira la cinghia sugli investimenti e con Trump l'industria registra già cambiamenti di peso

Si naviga a vista nel mondo dei semiconduttori. Il settore ha saputo catalizzato più di tutti l’attenzione per i megatrend dell’intelligenza artificiale e della transizione nel settore automobilistico e nella generazione energetica, ma rimane incastrato nelle incertezze della guerra commerciale statunitense e nelle contraddizioni della policy globale sui vari fronti del green.
Tecnologia, il SOX di Philadelphia invia segnali di debolezza
L’indice SOX di Philadelphia, ritenuto storicamente il principale indicatore statunitense e perciò mondiale dell’industria dei semiconduttori, ha segnato venerdì scorso un balzo del 3,16% a 4.629 punti, ma appena lo scorso 20 febbraio valeva più di 5300 punti, l’ETF di Invesco che lo traccia indica da quei top ai minimi di venerdì un calo di 17 punti percentuali in appena 12 sedute.
The Business Times, nota testata economica specializzata di base a Singapore, prevede oggi ulteriori ribassi ed elenca ancora una volta questioni geopolitiche e industriali in stretto legame, a puntare verso l’incertezza.
Downside risk insomma, in parte legati anche al deterioramento del quadro grafico dello stesso indice Sox, in parte ai motivi che ci stanno dietro. Anche il Nasdaq si è indebolito da quando la cinese DeepSeek ha messo in campo soluzioni competitive a una frazione dei costi dei big dell’intelligenza artificiale statunitense.
Il mercato non lo dimentica, ma gli operatori guardano anche a Nvidia, i limiti Usa alle esportazioni di tecnologia strategica in Cina potrebbero piegarne il giro d’affari e le forniture di TSMC da Taiwan sono ancora fondamentali per il big dei chip guidato da Jensen Huang.
C’è poi anche la questione dei dazi. Il sospetto che Nvidia triangoli verso la Cina alcune vendite impensierisce gli analisti per il timore di strette più dolorose da Washington e, anche se la stessa Taiwan Semiconductor Manufacturing ha promesso investimenti per 100 miliardi di dollari negli Stati Uniti in cinque impianti, pochi tecnici ritengono che si possano fare subito dei miracoli per la produzione di chip negli States.
Oltretutto Nvidia importa produzioni anche dal Messico e quindi rischia di finire di nuovo sotto dazio.
Non sono cose che si fanno in pochi mesi insomma e poi anche il disastro di Intel, che ha investito miliardi nella produzione di chip made in Usa e rischia il fallimento (dopo la defenestrazione del CEO) o lo spezzatino, sta lì a mettere in guardia il mercato.
Tecnologia, i tagli del budget Usa segneranno un ritiro dagli investimenti di Biden
Intendiamoci gli investimenti privati (nazionali o esteri che siano) fanno comunque Pil, ma le finanze statunitensi sono come noto allo stremo.
Anzi Trump ieri non ha smentito il rischio di una recessione Usa nel breve e secondo il GDPNow della Fed di Atlanta si potrebbe registrare un -2,4% del Pil Usa nel primo trimestre proprio per la corsa alle importazioni prima dei dazi, oltreché per la paralisi dei consumi interni in questa fase di incertezza.
Gli States dopo anni di deficit da economia di guerra devono stringere la cinghia per rimettere sotto controllo la spesa pubblica e soprattutto per attrarre ancora gli investimenti internazionali nel loro debito pubblico in una fase in cui non hanno tanti amici nel mondo. Secondo S&P Global anzi nel 2025 soltanto gli Stati Uniti aumenteranno la richiesta di finanziamenti a lungo periodo (ossia di Treasury, i loro BTP) di 200 miliardi di dollari alla cifra monstre di 4.874 miliardi di dollari, circa il 40% di tutte le emissioni di lungo termine del mondo.
Tensioni che introduciamo per spiegare perché anche alcuni investimenti in deficit dell’era Biden si avviino al tramonto, a partire proprio dal CHIPS Act da 52,7 miliardi di dollari introdotto (in realtà con sostegno bipartisan) nel 2022 e definito “orribile” da Trump. L’idea sarebbe che Washington non ha bisogno di mettere soldi per creare produzione di chip negli Stati Uniti, dovrebbero bastare i dazi a spingere gli investimenti domestici in tecnologia.
Al tempo stesso però per quei mega-investimenti di TSMC negli States, la Casa Bianca ha approntato finanziamenti pubblici per 6,6 miliardi di dollari.
Tecnologia, il ruolo di Musk a volte fa male al settore
A Trump comunque piace annunciare investimenti in produzioni tecnologiche USA, basti pensare a Stargate, il piano da 500 miliardi per l’AI che appena prima della “crisi” DeepSeek era stato messo in piedi con OpenAI, Oracle, Softbank e l’emiratino MGX, criticato da Musk, sembrava congelato dalle circostanze finché il Wall Street Journal non ha parlato di una possibile offerta di dello stesso Elon Musk da 97,4 miliardi di dollari per OpenAi, la casa di ChatGPT.
Una proposta sarcasticamente rigettata da Sam Altman, la guida storica di OpenAI: “Piuttosto se vuoi ti diamo 9,74 miliardi di dollari per Twitter”. È successo appena il 10 febbraio scorso, ma sembra un epoca.
Anche perché intanto la politica trumpiana (e i tagli ai dipendenti pubblici del nuovo DOGE targato Musk) pesano indirettamente sui titoli di Wall Street. E’ di pochi giorni fa un articolo del Wall Street Journal (una testata non molto vicina all’attuale amministrazione USA bisogna dire, nonostante il suo storico orientamento “conservatore”) in cui si descrive la crisi ormai conclamata di Tesla in concomitanza con l’approdo del fondatore alla politica. In pratica un sondaggio di Strategic Vision ancora nel 2022 diceva che il 22% dei potenziali acquirenti di auto avrebbe voluto decisamente una Tesla, sui livelli di auto di lusso come Mercedes o BMW , ma già la scorsa estate solo il 7%, secondo la stessa rivelazione voleva un’auto di Musk, più o meno come una Lincoln o una Dodge.
Nelle ultime settimane proteste in Europa e negli Stati Uniti contro il sostegno del fondatore ai partiti di estrema destra e contro il licenziamento di migliaia di dipendenti pubblici USA hanno preso di mira la Tesla stessa e questo si è tradotto non solo in un danno di immagine, ma anche in un calo delle consegne: un -1% già nel 2024 (il primo calo in 10 anni, mentre le auto elettriche crescevano del 25%) e una flessione del 7% negli Stati Uniti.
Le vendite di Tesla sarebbero diminuite del 2% nei primi due mesi del 2025 secondo le stime di Wards Intelligence.
Numeri concreti sono il -76,3% di vendite in Germania a febbraio e il -26% in Francia. Dietro non c’è solo la politica, ma anche la concorrenza di altri competitor (a partire dai cinesi, ma non solo).
La crisi della Tesla (in Borsa i suoi titoli dai massimi di dicembre hanno perso circa il 46% in poche settimane) riporta infatti anche all’elettronica europea.
STM paga dazio con l'auto elettrica (almeno per ora)
STM è tra i fornitori di chip delle Tesla e in molti hanno collegato la crisi delle sue forniture al comparto automotive a quella del gigante delle auto elettriche.
Per STM sono sfide anche le vendite di Apple, è un fornitore chiave degli iPhone, e di Samsung, e forse l’ultima ricerca dell’IDC di Boston che vede un recupero della telefonia mobile anticiperà spunti positivi, ma l’automotive resta basilare, ha coperto il 45% dei ricavi nel 2024. D'altronde su un'auto oggi, anche su un'auto diesel o benzina, ci sono circa 4 mila chip, quindi per le case di semiconduttori è un mercato irrinunciabile.
STM si è molto esposta sulla tecnologia al carburo di silicio per le auto elettriche di nuova generazione, ma già nel 2023, la Tesla diceva di volerne ridurre l’impiego, così l’anno scorso la casa franco-italiana del chip si è alleata con la cinese Geely Auto per la fornitura di inverter di trazione Mosfet Sic per le auto elettriche.
L’anno scorso però l’industria globale dell’auto elettrica (soprattutto quella europea e in parte appunto la Tesla) ha segnato il passo, nonostante siano stati venduti più di 10 milioni di veicoli tra ibride ed elettriche con un balzo del 14% sul 2023. Una trazione soprattutto cinese che nelle catene di fornitura si è vista poco. Almeno in quelle europee, vista la crisi dell’auto del Vecchio Continente alle prese con norme sfidanti, una domanda incerta o debole, sfide sui margini e la concorrenza.
Ora l’estensione di 3 anni dei limiti UE sulle emissioni di anidride carbonica da parte della Commissione Europea, dovrebbe alleggerire la pressione.
Per STM e per altri ancora però il primo trimestre di quest’anno e forse in parte il secondo, saranno ancora di passione, perché i magazzini degli acquirenti sono ancora pieni (la pressione sui dazi si è sentita) e perché anche l’industria fatica a ritrovare fiducia e investimenti.
Per STM sembra sia a rischio la guida di Jean-Marc Chery e voci incontrollate hanno parlato di 3.000 posti a rischio soltanto in Italia (l’azienda però ha smentito poi che i tagli eventuali del personale possano raggiungere il 6% del totale).
Altri come TSMC invece riescono a chiudere un mese di febbraio con un balzo delle vendite del 43,1% a 7,1 miliardi di euro in un mese, praticamente più della metà del giro d’affari annuale di STM in un solo mese.
Anche Nvidia riesce ad archiviare il 2024 con dati più che brillanti, sebbene poi il titolo abbia subito un ridimensionamento. In quel caso sono più i prezzi elevati, che la solidità del business, la fonte di incertezza.
In Europa invece il film è diverso: Infineon ha mostrato segnali di forte debolezza nelle ultime due settimane, mentre il gigante delle attrezzature per la produzione di chip ASML, un fornitore chiave della stessa TSMC, ha perso da luglio circa il 36% in Borsa.
A quanto pare la geopolitica viene fatta a Washington e Beijing, ma la paghiamo soprattutto in Europa.