Terre rare, ecco perché sono finite al centro dei negoziati USA-Cina

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Dopo la stretta della Repubblica Popolare, diverse filiere sono entrate in crisi, non solo l'automotive, ma anche la difesa. Adesso è fondamentale ristabilire i flussi, ma la Cina potrebbe volere alzare la posta

Terre rare, ecco perché sono finite al centro dei negoziati USA-Cina

Al secondo giorno di trattative a Londra fra i delegati degli Stati Uniti e i rappresentanti cinesi si materializza sempre più concretamente la posizione negoziale di forza della Cina, mentre emergono gli impatti sulle catene di approvvigionamento globali della decisione di Beijing di limitare in maniera consistente le esportazioni delle cosiddette terre rare, ossia i minerali metallici critici per un numero imponente di industrie.

Sono anni che tutte le economie avanzate ragionano sulla dipendenza da queste materie prime essenziali per l’elettronica, ma le pressioni commerciali di Trump sono riuscite a materializzare un pericolo che da anni altri player cercano di gestire e misurare.

L’Unione Europea ha cominciato a lavorare a una lista di materie prime critiche già nel 2008 e ne ha mappato dipendenza e rilevanza con costanza negli ultimi anni.
Questo non ha impedito ovviamente che ancora il rapporto Draghi denunciasse la dipendenza europea da filiere di estrazione e lavorazione di alcune materie prime essenzialmente esterne all’Europa, a partire proprio da varie terre rare ‘pesanti’ impiegate per esempio per le turbine eoliche offshore o nei magneti permanenti dalle svariate applicazioni.

Terre rare, la stretta cinese da aprile in poi

Ad aprile nel montare delle tensioni sui dazi, quando Cina e Stati Uniti hanno portato alla tripla cifra le tariffe reciproche e le contromisure, la Repubblica Popolare ha cominciato a imporre delle restrizioni proprio su alcune terre rare pesanti e su diversi magneti.

La Cina controlla quasi il 70% dell’estrazione mineraria delle maggiori terre rare e più del 90% della produzione raffinata, secondo la stessa Agenzia Internazionale dell’Energia, per cui il suo freno all’export ha cominciato rapidamente a logorare le filiere globali di diverse industrie.

Lo scorso 10 maggio la Ford ha annunciato uno stop nell’impianto di Chicago a causa della mancanza di materie prime critiche per la produzione dei sistemi frenanti.
In realtà tutti e tre i big dell’auto a stelle e strisce, Ford, General Motors e la Chrysler di Stellantis hanno iniziato ad avvertire la pressione crescente della carenza di materiali critici nelle scorse settimane.
Anche quando gli impianti producevano a pieno regime, i segnali di allarme si moltiplicavano dalla filiera.
Anche case spiccatamente europee come Mercedes-Benz o BMW hanno avvertito una crescente pressione.

Per questo quando mercoledì scorso il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic ha stretto un accordo con la controparte cinese per chiarire il prima possibile la questione delle forniture europee di materie prime il mercato ha tirato il fiato.

D’altronde un altro importantissimo impiego delle terre rare è ovviamente nell’industria della difesa alla quale sono in parte appese (a torto o a ragione) le prospettive economiche del Vecchio Continente.
Per questo quando il ministro del Commercio cinese sabato ha aperto a un “green channel” per le terre rare all’Europa, la notizia è stata immediatamente rilanciata da vari osservatori economici.

Così come quando la scorsa settimana è emerso che i tre big delle quattro ruote statunitensi avevano ottenute delle licenze per l’importazione di terre rare, anche se forse valide per soltanto sei mesi.

Proprio il nuovo sistema di licenze alle esportazioni di terre rare della Repubblica Popolare è finito nel mirino dei mercati che hanno paventato una crisi degli approvvigionamenti simile a quella disastrosa seguita alla pandemia di Covid 19. Gli Stati Uniti hanno affermato che con i nuovi vincoli la Cina stava violando la tregua di 90 giorni sui dazi decisa a maggio proprio per favorire i negoziati.

Oggi le terre rare sono impiegate in moltissimi prodotti, dagli specchietti laterali alle case audio, dalla pulizia dei vetri, compresi quelli dei cellulari ai tergicristalli, solo per restare nel settore auto.
Ora alcune case stanno sviluppando alcune soluzioni per ridurre questa forte dipendenza, ma ci vorranno alcuni anni per la produzione di massa.

Terre rare, gli Stati Uniti auspicano uno sblocco dei flussi

Dell’importanza strategica delle terre rare è ben consapevole Donald Trump che non ne ha mai fatto un mistero e ha siglato un accordo con Kiev su queste risorse ben prima della cessazione delle ostilità con la Russia (che continuano).

Angolari in questo contesto le parole del direttore del consiglio economico nazionali statunitense Kevin Hassett. Si tratta del maggiore organo di consulenza economica della Casa Bianca. Hassett ha dichiarato alla Casa Bianca: “Le nostre aspettative sono che… subito dopo la stretta di mano ogni controllo all’export dagli Stati Uniti sia allentato e che le terre rare siano rilasciate in quantità, così che si possa tornare a negoziare sui dettagli”.

D'altronde lo stesso presidente Xi Jinping di recente ha chiesto una soluzione “win-win” per i negoziati commerciali tra Cina e Stati Uniti.

La Repubblica Popolare cinese ha una situazione economica ancora molto fragile, con una deflazione che conferma un forte debolezza della domanda e richiama alla memoria la grave crisi immobiliare degli ultimi anni.
A maggio i prezzi alla produzione cinesi sono calati del 3,3% Ma gli ultimi dati di ieri sulla bilancia commerciale mostrano comunque un saldo in crescita del 7,32% a 103,22 miliardi di dollari a maggio, con un import ancora in calo del 3,4% che conferma la debolezza della domanda interna cinese, ma anche con un export che balza del 4,8% nonostante il crollo delle esportazioni verso gli Stati Uniti del 34,5% nel mese.

La Cina sembra insomma saper rimpiazzare il mercato Usa con sorprendente facilità. Di fronte ai segnali di panico di diverse industrie occidentali per la carenza di terre rare potrebbe però essere tentata di alzare la posta nei negoziati con Washington.

C’è il rischio insomma che Trump, lungi dal sistemare le cose con i partner più riottosi, abbia liberato il genio nella lampada. Ai danni anche dell’Europa.

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