TIM in calo, Vivendi svaluta le quote e scende in trincea
pubblicato:Il dossier sembra destinato a una svolta con le due offerte non vincolanti per la rete, ma la società ha abituato i mercati al nulla di fatto, anche se stavolta a metterci la faccia è anche il governo

Dossier TIM in movimento, ma forse anche no. Ieri le dichiarazioni di Arnaud de Puyfontaine sono state l’ultima seminovità di un carteggio che sarebbe stucchevole se non fosse tremendamente importante per il futuro digitale del Paese e per i 42.341 dipendenti a fine settembre 2022 (senza considerare i 9.565 all’estero che saranno probabilmente indirettamente coinvolti dalle scelte strategiche sulla rete).
Tim, la mossa di Vivendi
In pratica Vivendi, primo azionista di TIM con poco meno del 24% del capitale, ha deciso di adeguare al fair value le quote incassando in bilancio una perdita da 1,34 miliardi di euro e riportando dunque i prezzi di carico alla fine del 2022: 0,2163 euro per azione, persino meno dei corsi di oggi che trattano TIM a 31,21 centesimi (-0,73%).
Le altre due dichiarazioni di merito in realtà non aggiungono niente di nuovo: le valutazioni che circolano sul mercato non rispecchiano il valore della rete, siamo disponibili a collaborare con il governo italiano per trovare la migliore.
Anzi sul rapporto del governo de Puyfontaine ha affermato che la scorsa settimana sono arrivati importanti segnali che gli fanno sperare la possibilità di aprire un capitolo nuovo.
TIM, le offerte premono
In realtà questa affermazione è un po’ vaga, infatti la scorsa settimana il governo ha deliberato l’esercizio del golden power, ma su un dossier ormai estraneo a TIM, quello di Inwit.
Tuttavia il tema è rilevante, perché KKR, che ha avanzato un’offerta non vincolante per la rete di TIM valutandola, secondo i rumors, 20 miliardi di euro ha fra i suoi maggiori ostacoli proprio il rischio che si materializzi un niet del governo che può opporsi a terremoti proprietari su asset strategici come appunto la rete di TIM.
A complicare un dossier che è gonfio di ricorsi e conflitti e contraddizioni c’è la considerazione che KKR, che già controlla il 37,5% di Fibercop e lo ha pagato 1,8 miliardi di euro, è un fondo statunitense, quindi extraeuropeo, e che nel suo consiglio di amministrazione siede Xavier Niel, il patron/ceo di Iliad, uno dei maggiori concorrenti italiani di TIM.
KKR nella rete di TIM è quindi già presente, ma solo in Fibercop, ossia la rete secondaria di TIM (sia in rame che in fibra e non ancora la rete primaria a quanto risulta); mentre la sua nuova offerta non vincolante annunciata il 2 febbraio e prorogata fino al 24 marzo, coinvolge anche il resto della rete fissa compresa Sparkle, la rete internazionale che è un bene strategico italiano ed europeo.
La cosiddetta Netco, la rete di TIM in parole povere, fa gola però anche ad altri, compresi CDP e Maquarie che controllano anche Open Fiber, a sua volta uno dei maggiori competitor di TIM sulla rete fissa sebbene finora in grandi difficoltà nel tappare i buchi digital gap italiano nelle aree a minor successo di mercato (le aree bianche).
In Open Fiber, che dovrebbe con la Netco di Tim creare la famosa rete unica, pardon “nazionale”, CDP ha il 60% e Macquarie Asset Management ha un 40% che le è costato nel 2021 2,12 miliardi di euro.
Entrambe ora hanno presentato un’offerta per la Netco di Tim che – si dice – valuti la rete di Telecom Italia 18 miliardi di euro.
I due miliardi di differenza, potenziale, derivano dal fatto l’offerta di KKR avrebbe valutato la NetCo 18 miliardi, ma con un earn-out di altri 2 miliardi nel caso in cui si fosse proceduto alla realizzazione della rete unica.
Tim, retroscena
Fra l’altro le evoluzioni delle ultime settimane sono, si dice, il frutto di un conflitto proprio tra KKR da un lato e CDP/Macquarie dall’altro. Il problema sarebbe stato la potenziale criticità di Antitrust in capo a CDP e alla sua Open Fiber che, in caso di fusione, porterebbe sicuramente alla necessità di vendere almeno gli asset nelle aree di sovrapposizione, che poi sono le redditizie “aree nere”, che varrebbero circa 2 miliardi di euro.
La vendita delle aree nere avrebbe in realtà già una coda di potenziali interessati (circolati nomi come Unidata, Intred, F2I etc.).
CDP di certo si trova nella scomoda posizione di azionista di maggioranza di Open Fiber e azionista di minoranza della sua concorrente TIM, con quasi il 10% che impone anche la prossima riunione di domani del comitato sulle operazioni con parti correlate in merito alla nuova offerta.
Oltretutto essendo CDP un soggetto controllato indirettamente dallo Stato c'è anche il problema non da poco di fare digerire tutto a Bruxelles come un'operazione di mercato. Questione ancor più rilevante se si considera che il PNRR è per metà digitalizzazione che dovrebbe passare anche da investimenti nella rete.
Per il resto le due proposte sono molto diverse, sempre secondo quanto trapelato, in termini di composizione di debito e valutazione di Sparkle.
Hanno però una cosa in comune, accerchiano Vivendi che le boccia entrambe e chiederebbe di valutare la Netco almeno 31 miliardi di euro. Una cifra troppo lontana dalle valutazioni degli offerenti (e onestamente anche del mercato).
A questo punto però il socio francese deve scendere in trincea.
L’uscita dal board e la svalutazione miliardaria delle quote di TIM regala nuove opportunità di battaglia, anche se il terzo del capitale che potrebbe fare da minoranza di blocco in un’assemblea generale è troppo distante dal suo 24% scarso.
Finirà a carte bollate?
Difficile da dirsi, anche perché in questi anni TIM ha abituato il mercato a infiniti e inconcludenti teoremi sulla rete.
Questa volta il governo ci ha messo la faccia promettendo una soluzione entro lo scorso dicembre che ancora latita. C’era già in campo un memorandum con CDP poi stracciato, adesso, con due offerti non vincolanti che si concludono entro fine mese è probabile che il board (privo ormai dei rappresentanti di Vivendi) debba deliberare in materia e rinviare la decisione a un’assemblea straordinaria.
Dopo tutti questi anni di dibattito sulla rete di TIM però il condizionale è d’obbligo.