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UBS: dove si fermerà la BCE?

di FTA Online News pubblicato:
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Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer di UBS WM Italy, UBS Europe SE, Succursale Italia, ha così analizzato le prospettive sulla politica monetaria della Bce nel consueto approfondimento settimanale.

"La scorsa settimana è stata scandita dai commenti delle banche centrali e in particolare di alcuni tra i principali esponenti della Banca centrale europea (BCE). Va detto che le indicazioni fornite non sono state sempre concordanti, anzi da diverse latitudini e longitudini sono venuti suggerimenti diversi sul prossimo percorso delle decisioni di politica monetaria.

Tra pochi giorni, giovedì, la BCE annuncerà il prossimo rialzo dei tassi. Con tutta probabilità, come già indicato dalla Presidente Christine Lagarde due mesi fa, si tratterà del terzo rialzo da mezzo punto percentuale, accompagnato da commenti che apriranno la strada a ulteriori rialzi per via di un'inflazione «core», vale a dire depurata del costo dell'energia, che si mantiene superiore ai desiderata della BCE.

Negli ultimi due mesi i rendimenti del mercato obbligazionario sono stati estremamente volatili. Prima l'inflazione è scesa più rapidamente del previsto, comprimendo i rendimenti, ma poi diversi dati economici superiori alle aspettative hanno fatto pensare alla necessità di ulteriori rialzi. In questo momento il mercato si aspetta che la BCE porti i tassi al 4%, mezzo punto percentuale al di sopra del livello atteso un mese fa.

D'altra parte, la riunione di marzo coinciderà con la presentazione delle nuove stime economiche della BCE, che dovrebbero recepire gli ultimi dati, inclusa la discesa dei prezzi del gas. La speranza è che l'istituto non segua un approccio dogmatico, ma si basi invece sugli ultimi dati economici come la Federal Reserve, che proprio per questo ha coniato il termine «data dependent» (dipendente dai dati). Ci aspettiamo che l'aumento dei tassi di giovedì sia seguito da uno analogo in maggio e da un rialzo più contenuto a giugno, per portare i tassi al 3,75%. Non è però affatto impossibile che la BCE si spinga oltre; molto dipenderà dall'evoluzione di economia e inflazione nelle prossime settimane e dalle negoziazioni in seno alla BCE.

Le dichiarazioni delle banche centrali devono anche essere contestualizzate. Esse influiscono sull'andamento della curva dei tassi d'interesse e quindi sui tassi a lungo termine. Dichiarazioni accomodanti diluirebbero l'impatto delle attuali politiche monetarie restrittive e la banca centrale deve quindi mantenere ufficialmente la propria linea. Inoltre, i tassi d'interesse più elevati con un certo ritardo temporale frenano i settori ad alta intensità di capitale e leva finanziaria, tra i quali spiccano immobiliare e costruzioni. Tipicamente questo avviene 6-12 mesi dopo i primi rialzi dei tassi, quindi l'impatto dei rialzi già operati deve ancora manifestarsi appieno a livello economico – anche se la percezione è che alcuni mercati immobiliari nel nord Europa stiano già attraversando una fase di sofferenza.

Tuttavia, esiste il rischio di aumenti dei tassi esagerati in un contesto d'inflazione in discesa e probabilmente è tra quelli più sotto osservazione da parte degli investitori: se un anno fa i mercati si preoccupavano dell'inflazione, oggi si preoccupano invece delle banche centrali.

I titoli di Stato non hanno risentito particolarmente di queste preoccupazioni perché il contesto attuale in realtà favorisce la riduzione dei rapporti d'indebitamento: i rendimenti più alti incidono sul costo d'indebitamento solo per il nuovo debito emesso, mentre il denominatore del rapporto d'indebitamento è il PIL nominale, che incorpora buona parte dell'inflazione.

In questo contesto continuiamo a preferire i titoli value, cioè le azioni di società che producono buoni flussi di cassa e presentano valutazioni contenute. Nel campo obbligazionario preferiamo i titoli di buona qualità, soprattutto i corporate bond investment grade e alcuni titoli di Stato. L'inasprimento degli standard di prestito e il rallentamento della crescita suggeriscono un rischio di default più elevato e, di conseguenza, riteniamo che il segmento high yield sia più vulnerabile".

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