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Usa: inversione farà rima con recessione?

di FTA Online News pubblicato:
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La curva dei rendimenti del Treasury americano ha mandato un brutto segnale, ma i dubbi restano molti. Recessione in vista?

Usa: inversione farà rima con recessione?

Pochi segnali sono ritenuti affidabili come quelli della curva dei rendimenti dei titoli di Stato Usa. Normalmente i mercati obbligazionari anticipano di misura l’andamento dei mercati azionari e dell’economia. Normalmente i rendimenti chiesti agli investimenti nei titoli di Stato crescono con il tempo, per l’ovvio motivo che prestare denaro per più tempo richiede più interessi.

Esistono però delle eccezioni e purtroppo negli anni si sono dimostrate molto affidabili.

Se gli investitori ritengono che l’economia peggiorerà in futuro o se un ciclo di rialzi dei tassi aumenta i rendimenti di medio periodo, la curva si può invertire e scontare tassi in calo nel tempo. È successo martedì 29 marzo 2022, per pochi secondi, ma poi è successo ancora. Il risultato è stato un brivido lungo la schiena di osservatori e analisti. Ancora in queste ore il rendimento dei titoli di Stato Usa (i Treasury) a due anni è del 2,428% contro il 2,422% del rendimento di quelli a 10 anni. Anche in questo caso si parla di spread, ma stavolta è la differenza fra i rendimenti a 2 e a 10 anni.

Dal 1978 a oggi, tutte e sei le recessioni dell’economia statunitense sono state anticipate da una inversione della curva dei rendimenti come quella che vediamo oggi. Anche quella del 2020 della pandemia. In media 22 mesi dopo il segnale l’economia a stelle e strisce è entrata in recessione (anche se le oscillazioni sono tra 6 e 36 mesi). Uno studio della Fed di San Francisco del 2018 calcola addirittura che, dal 1955 al 2018, ogni recessione è stata anticipata da un’inversione della curva dei rendimenti e che tutte le inversioni sono state seguite da una recessione con una sola eccezione (in cui vi fu un rallentamento dell’economia).

In poche parole l’anno prossimo l’economia degli Stati Uniti potrebbe non solo frenare, ma anche tornare indietro. Questo ovviamente si rifletterebbe sui mercati e sulle persone. Non solo negli States. Anni record di crescita dell’economia, dei mercati e dell’occupazione potrebbero insomma volgere presto al termine.

USA: il rischio recessione

Il problema è che ci troviamo in circostanze straordinarie e questo potrebbe alterare il gioco e confondere i segnali. L’economia Usa è già in rallentamento: la Fed ha tagliato le attese sul Pil 2022 dal 4 al 2,8% e Goldman Sachs di recente le ha tagliate all’1,75 per cento. Bill Dudley di Bloomberg si è spinto a dire che la recessione degli Stati Uniti è ormai inevitabile. La colpa sarebbe in gran parte della Fed, che ha aspettato troppo ad ammettere i pericoli di un’inflazione da record, bisognava stringere prima sulla politica monetaria.

Dopo il primo rialzo dei tassi dal 2018, l’esplodere dei prezzi costringerebbe ormai la Banca centrale a interventi sempre più duri e prolungati, una stretta necessaria e dolorosa che potrebbe frenare l’economia e avere delle conseguenze. Il teorema è affascinante e inquietante. Già negli anni ’70 il balzo dei prezzi del greggio portò gli Stati Uniti in stagflazione e costrinse la Fed di Paul Volcker ad alzare i tassi fino a spingere gli Stati Uniti in recessione per contrastare l’esplosione dei prezzi. Anni ’70, inflazione, stagflazione, balzo dei prezzi energetici sono anche il mantra di questi giorni in cui il rimbalzo dalla crisi della pandemia viene stoppato dalle conseguenze della guerra in Ucraina.

Lo scenario è preoccupante. In attesa di una recessione le imprese dovrebbero cominciare a tagliare i capex e i piani di assunzione. Le banche dovrebbero cominciare a prevedere un maggior rischio di fallimenti. La prospettiva di un “atterraggio duro” prevarrebbe su quella di uno “morbido”.

USA: ma c’è anche chi non ci crede

Le circostanze straordinarie di questa fase storica però spingono molti analisti a pesare con attenzione il segnale che giunge dall’inversione della curva dei tassi. Le contraddizioni non mancano. Innanzitutto la stessa curva dei rendimenti è alterata dalle politiche monetarie straordinarie ultraespansive degli ultimi anni.

Diversi osservatori affermano infatti che questa marea di liquidità scaricata sui mercati dalle banche centrali ha comportato da parte della Fed anche ingenti acquisti di bond, specialmente Treasury, che hanno compresso in maniera innaturale i rendimenti del decennale, alterando la sagoma della curva. Con un bilancio della Federal Reserve ormai volato a circa 9 trilioni di dollari, non è difficile immaginare che il prossimo avvio delle vendite possa portare a un rialzo dei tassi sulle scadenze più lunghe, con un riassestamento generale della curva dei rendimenti.

Attualmente il mercato complessivo dei titoli di Stato Usa vale circa 23 trilioni di dollari e il peso di anni di manovre di stimolo eccezionali potrebbe farsi sentire, eccome. Secondo alcuni analisti, i rendimenti del Treasury decennale sarebbero già al 3,6% senza gli acquisti di asset della Fed.

D’altronde, ha sottolineato Amundi, il più grande asset manager d’Europa, i fondamentali dei titoli ad alto rendimento, i livelli enormi del risparmio privato e i bassi tassi di default tra i junk bond sembrano suggerire fiducia sull’andamento dell’economia.

Altri osservatori vanno ancora di più sul tecnico e affermano che gli analisti guardano lo spread sbagliato. Bisognerebbe guardare allo spread fra i titoli a 3 mesi e quelli a 10 anni per capire come stanno le cose. E da questa prospettiva arrivano invece segnali opposti con una crescita del differenziale fra le scadenze più lunghe e le più brevi che promette un futuro roseo. L’opposto dello spread 2 anni/10 anni insomma. Ovviamente i rendimenti dei titoli a 3 mesi non possono scontare gli effetti dei rialzi dei tassi avviati dalla Fed: richiederanno alcuni mesi per avere efficacia.

D’altronde con una stretta monetaria consistente in vista (diciamo almeno 7 rialzi dei tassi della Fed soltanto nel 2022) è inevitabile che la struttura dei rendimenti di breve e medio periodo si corrobori. Con l’inflazione Usa sui massimi degli ultimi 40 anni, la rottura delle catene di approvvigionamento che mette in crisi economie e globalizzazione, la convalescenza da una lunga pandemia violata dai tamburi della guerra in Ucraina, è inevitabile il timore di conseguenze sul quadro generale, è comprensibile qualche pennellata di nero.

L’inversione della curva dei rendimenti come segnale anticipatore delle recessioni è praticamente considerata una regola. Ma ogni regola ha le sue eccezioni e questi sono anche tempi eccezionali. Servirà senz’altro un po’ di tempo per capire come stanno davvero le cose.

(Giovanni Digiacomo)