La bolla dell’AI scricchiola: 1.000 miliardi bruciati in una settimana

di Alessandro Magagnoli pubblicato:
7 min

Dal caso Nvidia ai segnali di Burry: il mercato inizia a dubitare della sostenibilità del super-ciclo dell’intelligenza artificiale

La bolla dell’AI scricchiola: 1.000 miliardi bruciati in una settimana
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Il vento dell’AI che per due anni ha gonfiato le vele di Wall Street sta cambiando direzione. Per la prima volta dall’inizio della corsa all’intelligenza artificiale, si intravede una crepa nella narrativa dell’ascesa infinita. E la reazione è stata brutale: in una sola settimana, le società simbolo della rivoluzione AI hanno perso oltre 1.000 miliardi di dollari di capitalizzazione. Una frustata collettiva che ha riportato molti investitori con i piedi per terra.

I nomi sono quelli che fino a ieri rappresentavano l’epicentro del nuovo Rinascimento tecnologico:
Palantir cede oltre il 13%
Nvidia sfiora un -9%
Oracle -7,8%
• perfino Meta, reduce da trimestri trionfali, frena la sua corsa
• fa eccezione Amazon, che chiude con un leggero progresso

Sul totale, il Nasdaq brucia quasi il 4% ed è la seconda peggiore settimana dell’anno, superata solo dalle tensioni post “Liberation Day” di aprile.

La domanda che si diffonde tra gli investitori è tanto semplice quanto spietata: l’AI è già sopravvalutata?

L’euforia si incrina: i conti non tornano

Tutto parte dalle trimestrali dei Big Tech. Alphabet, Amazon, Meta e Microsoft hanno messo sul tavolo un dato impressionante: 112 miliardi di dollari di investimenti nel solo terzo trimestre. Su base annua, il settore supererà i 400 miliardi in capex dedicati all’AI.

Nvidia, Meta, OpenAI, Oracle, Amazon e Google stanno costruendo data center e comprando chip come se il futuro dipendesse unicamente dalla potenza di calcolo. E forse è così. Ma il punto è un altro: i ricavi non stanno crescendo con la stessa velocità.

Florian Ielpo (Lombard Odier) lo dice senza giri di parole:
«Le spese AI sono enormi, spesso finanziate a debito, e ricordano la frenesia del 2000».

Gli investitori retail, che fino a ieri compravano qualsiasi ribasso, questa volta non stanno intervenendo. È un segnale psicologico importante: l’entusiasmo automatico si sta spegnendo.

Nvidia e Palantir: i simboli della vulnerabilità

Nvidia resta il caso più emblematico. Per qualche giorno è stato il titolo più capitalizzato al mondo, con 5.000 miliardi di market cap. Poi, in pochi giorni, ne ha persi 350.

Pesa tutto:
• i nuovi chip Blackwell bloccati verso la Cina
• la concorrenza dei modelli “low cost” cinesi come Kimi K2 e DeepSeek R1
• l’affermazione infelice di Jensen Huang («La Cina vincerà l’AI») poi corretta in fretta

E poi c’è Palantir: dopo un rally da +135% da inizio anno, basta un soffio negativo per mandare il titolo in caduta.

Non sorprende che perfino Michael Burry, l’uomo del “Big Short”, abbia piazzato opzioni ribassiste proprio su Nvidia e Palantir. Un segnale che fa rumore.

La voce di Wall Street: “Arriva una correzione”

Non si tratta più solo di analisti prudenti. I CEO di Goldman Sachs e Morgan Stanley hanno parlato apertamente di una possibile correzione del 10-20% nei prossimi 12 mesi. Non un crollo. Ma una normalizzazione inevitabile dopo un anno di valutazioni tiratissime.

Jack Ablin (Cresset Capital) sintetizza lo stato d’animo del mercato:
«Il minimo segnale negativo viene amplificato. Le buone notizie non bastano più».

OpenAI: il gigante dai piedi d’argilla?

Paradossalmente, proprio OpenAI – il cuore della rivoluzione – sta mandando segnali contrastanti. La CFO Sarah Friar ha parlato della possibilità di garanzie federali sui prestiti per sostenere l’espansione. Una frase che ha agitato più di un osservatore. Gli impegni totali della società arrivano a 1.400 miliardi di dollari, con accordi incrociati su chip e cloud che coinvolgono Nvidia, AMD, Broadcom, Microsoft, Google e Amazon.

Sam Altman ha chiesto addirittura che il credito d’imposta del CHIPS Act venga esteso alla produzione di server AI, data center e componenti di rete. È una cascata di richieste che lascia intuire un dato semplice: la corsa ai chip sta diventando insostenibile senza supporto pubblico.

E i portafogli FTA? Ancora rialzisti, ma…

Nel monitoraggio FTAOnline sui titoli FANG+ il clima è cambiato:
• quasi tutti i titoli restano in segnali di acquisto
• ma aumenta la tensione tecnica sui singoli strumenti
• i rialzi accumulati da inizio anno restano forti, ma la volatilità è salita a livelli preoccupanti

In altre parole: trend ancora positivo, ma più fragile.

I portafogli FTAOnline: ancora rialzisti, ma con tensioni crescenti sotto la superficie

Mentre il mercato inizia a mettere in discussione la sostenibilità della corsa AI, un punto di osservazione privilegiato arriva proprio dai portafogli FTAOnline dedicati ai titoli tecnologici e, in particolare, al paniere FANG+.

Guardando i segnali operativi, la struttura resta formalmente rialzista:
• la maggior parte dei titoli mantiene segnali di acquisto attivo,
• i rendimenti accumulati nelle ultime settimane restano ampiamente positivi,
• e il portafoglio nel complesso mostra una performance superiore rispetto all’indice di riferimento.

Ma sotto la superficie il quadro sta cambiando. E in modo visibile.

Performance molto elevate… e quindi più fragili

Diversi titoli hanno corso parecchio:

  • Palantir: +89% sul segnale attivo, +135% da inizio anno

  • Broadcom: +71% sul segnale, +50% YtD

  • Alphabet: +59%

  • Tesla: +30%

  • QQQ3, l’ETF a leva 3 sul Nasdaq 100 usato nel portafoglio, +65%

Sono numeri eccezionali, ma proprio per questo rendono il campo di gioco più scivoloso. Valutazioni estese significa che ogni soffio di volatilità si amplifica, e gli stop vanno monitorati con maggiore attenzione.

Le prime crepe nei singoli titoli

Alcuni big iniziano a mostrare debolezza relativa:

  • Netflix segna un -10% sul segnale attivo

  • Meta, Microsoft, ServiceNow sono in area “Neutral”, segno di equilibrio instabile

  • Nvidia resta formalmente in acquisto, ma con margini di guadagno ormai ridotti e volatilità crescente

  • CrowdStrike, dopo un rally esplosivo, ha rallentato in modo brusco

Questo mix crea un portafoglio che continua a salire, ma perde omogeneità. Prima erano tutti “tirati dalla stessa parte”. Adesso emergono divergenze tra leader e follower.

Si allarga la distanza rispetto ai fondamentali

In molti casi, il rendimento dei titoli ha superato di gran lunga la crescita degli utili. È un segnale tipico delle fasi avanzate dei trend.

E questo, nel portafoglio, si vede molto chiaramente:

  • i titoli con le performance migliori non sono necessariamente quelli che hanno pubblicato le migliori trimestrali,

  • ciò significa che la componente psicologica e narrativa è ormai dominante.

È una condizione gestibile, ma richiede più vigilanza.

Siamo ancora in un trend rialzista pieno.
Ma il comportamento dei singoli titoli e l’aumento della volatilità raccontano che il mercato si trova in una fase di transizione, non più di euforia lineare.

È il classico punto della storia in cui i trend forti non finiscono, ma cambiano ritmo.
E chi gestisce un portafoglio – come FTA – deve iniziare a prepararsi a condizioni meno indulgenti.

In sintesi

Il portafoglio FTAOnline resta solido, brillante e ben posizionato, ma sta iniziando a mostrare i segnali tipici dell’età avanzata di un trend:

  • accelerazioni meno uniformi

  • volatilità più alta

  • divergenze interne

  • maggiore dipendenza dal sentiment macro

Non è il preludio a un’inversione, ma a una fase dove disciplina, gestione del rischio e lettura della volatilità diventano fondamentali quanto (se non più) dei segnali puramente trend-following.

Siamo davanti a una bolla?

Non siamo ai tempi delle dot-com. Le big tech hanno utili, liquidità e modelli di business consolidati. Ma la psicologia della bolla c’è tutta:
• paura di restare indietro
• investimenti spinti da narrativa più che da ROI
• valutazioni estreme
• concorrenza globale che corre più veloce del previsto
• esposizione crescente ai tassi e al costo del capitale

È possibile che sia solo una pausa nel trend. Ma è altrettanto possibile che il mercato stia iniziando a chiedere prove concrete, non più promesse.

La battuta finale è semplice:
l’AI non è una bolla. Ma le aspettative, forse sì.

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