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Bce, dati sul costo del lavoro in crescita ma il taglio a giugno è deciso

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
6 min

Da luglio in poi ancora scarsa visibilità, troppe le incognite, anche se le condizioni ci sono. Intanto la ripresa dell'economia dell'Eurozona si consolida

Bce, dati sul costo del lavoro in crescita ma il taglio a giugno è deciso

Doveva essere l’indicatore decisivo per i prossimi tagli della Bce, ma alla fine l’indice della variazione dei salari contrattualizzati del Vecchio Continente è stato superato dagli eventi e dalle parole degli stessi membri del direttivo. Stamane è stata pubblicata la variazione dei salari negoziati della BCE nel primo trimestre del 2024: è pari al 4,69%, una crescita superiore al 4,45% del quarto trimestre del 2023 e inferiore al record del 4,7% del terzo trimestre dell’anno scorso. Un dato che in altri contesti sarebbe stato ben più preoccupante per i mercati ma che oggi passa quasi in secondo piano.

BCE, il taglio di giugno già deciso (dopo si vedrà)

La giornata si è infatti aperta con l’intervista a un quotidiano austriaco del vicepresidente della Bce Luis de Guindos che ha sostanzialmente confermato il taglio dei tassi di un quarto di punto (0,25%) al prossimo meeting del 6 giugno.

Per le mosse successive è ancora presto, ma quella manovra è ormai un dato acquisito, anche se la Fed frena su possibili interventi, anche se alcune componenti dell’inflazione rimangono appiccicose anche qua, come il livello dell’inflazione dei servizi al 3,7% contro il 2,4% generale che lascia invece raccontare il percorso di compressione dei prezzi dai massimi oltre il 10% del recente passato.

BCE, le condizioni per il taglio ci sono

Fino a ieri Christophe Kamps, vicedirettore generale alla politica monetaria della Bce, ricordava che la funzione di reazione della Bce è ancorata sulle tre variabili principali delle proiezioni sull’inflazione, della dinamica dell’inflazione sottostante e della forza della trasmissione della politica monetaria.

1) Le previsioni sull’inflazione dello staff macroeconomico della BCE indicano al momento un 2,3% nel 2024 dopo il 5,4% del 2023 e quindi una flessione l’anno prossimo verso il 2,0%, quindi la convergenza verso l’obiettivo dei prezzi.

2) Quanto alla dinamica dell’inflazione sottostante (al netto di energia, alimentari non lavorati e tabacco) ha mostrato un costante calo negli ultimi mesi dal 3,6% di novembre al 2,7% dell’ultima stima flash su aprile: il percorso è quindi correttamente orientato al ribasso.

3) Sul complesso tema della forza della trasmissione della politica monetaria, sia attraverso il canale dei tassi d’interesse, che di quello del settore bancario le considerazioni del membro del consiglio esecutivo della BCE Philip R. Lane lo scorso 2 maggio hanno concluso che appaiono confermate in questa fase.

Ci sono dunque tutti gli elementi per procedere con il taglio dei tassi nonostante profili di incertezza su più piani consiglino prudenza su ogni eventuale impegno ulteriore, ossia su tagli dei tassi dopo giugno.

Bce, i rischi a venire su più fronti

De Guindos ha individuato tre rischi domestici principali derivanti dalle elevate quotazioni dei mercati azionari che potrebbero portare a correzioni forti, dalla crisi persistente del settore immobiliare residenziale dopo il caso Signa Group e da eventuali tensioni sulla liquidità di alcuni fondi aperti nel settore non bancario.

Ancora più importante è la variabile geopolitica con le conseguenze anche sui prezzi del conflitto in Ucraina e degli sconti in Medioriente.

Oltre alle pressioni sui prezzi che potrebbero derivare dagli impatti delle guerre su alcune catene di approvvigionamento (come nel caso della crisi persistente sul Mar Rosso, ma non solo), c’è da considerare la variabile finanziaria che ultimamente ha visto un’escalation anche in Italia con la nazionalizzazione di alcuni impianti di Ariston in Russia e poi con il congelamento di asset di Unicredit per ben 463 milioni di euro nell’ambito di un contenzioso, proprio mentre il Consiglio Europeo dava il via libera all’impiego dei proventi delle attività russe congelate nel Vecchio Continente per il supporto a Kiev.

Quello è un tasto dal suono ancora stridente: bisogna aiutare Kiev mentre i Russi avanzano sul campo e gli Stati Uniti hanno dato il via libera al reindirizzamento delle risorse russe congelate, ma hanno meno dell’1% dei 300 miliardi di euro che il G7 complessivamente ha congelato. L’Europa stima che da quegli asset possano arrivare proventi fino a 15-20 miliardi di euro entro il 2027, risorse che potrebbero essere preziose per Kiev, ma che mettono a rischio lo standing internazionale dell’euro come valuta di riserva, eventuali atti illegali minacciano infatti la credibilità della moneta unica e anche de Guindos ha raccomandato prudenza oggi su questo aspetto.

Se la debolezza dell’economia europea consiglia da tempo un alleggerimento della politica monetaria, i timori sulla divergenza con la Fed crescono nelle ultime settime.

Alcuni analisti temono che l’avvio dei tagli in Europa prima che negli Stati Uniti finisca per deprezzare l’euro sul dollaro e quindi per importare inflazione dagli Stati Uniti. Altri osservatori minimizzano questo pericolo, ma è indubbio che pur nell’indipendenza dalla politica monetaria della Fed, l’Eurotower deve sempre tenere in considerazione tutte le conseguenze delle proprie decisioni.

Anche per questo Isabel Schnabel, uno dei falchi della Bce di recente ha chiaramente affermato pochi giorni fa che: “Sulla base dei dati attuali, un taglio dei tassi a luglio non è scontato” [dopo quello di giugno, ndr].

Più o meno la stessa posizione che un altro falco, Joachim Nagel, il presidente della Bundesbank, ha ribadito l’altro ieri. Nessun automatismo insomma, anche perché il quadro è molto mosso, con le previsioni sulle misure della Fed che slittano di continuo visto negli Stati Uniti la crescita comincia a rallentare, ma il calo dell’inflazione rallenta e ci sono diversi segnali contrastanti.

BCE, l'Eurozona intanto consolida la ripresa

Stamane sono arrivati altri dati positivi sull’Eurozona che confortano sull’avvio di ripresa avviato da qualche mese: il PMI manifatturiero è cresciuto oltre le attese a 47,4 punti, anche se sotto i 50 siamo ancora di fronte alla contrazione dell’economia, mentre il dato del PMI servizi è stato peggiore delle attese a 53,3 punti (invariato a maggio su aprile), ma è comunque ancora in zona espansiva.

La rilevazione di S&P Global conferma l’impressione che la ripresa dell’Eurozona guadagni impulso a maggio con buoni segnali dall’attività delle imprese, dai nuovi ordini e dall’impiego.

La fiducia delle imprese è sui massimi dal febbraio 2022, anche se ci sono view diverse tra Germania e Francia per esempio. Buoni spunti sono arrivati oggi anche dall’Ocse che ha registrato una crescita del Pil dello 0,6% nel Regno Unito e dello 0,2% in Germania nel primo trimestre. In Germania hanno fatto bene le crescite degli investimenti nelle costruzioni e nell’export e anche Italia e Francia hanno portato la crescita del Pil tra il quarto trimestre del 2023 e il primo del 2024 dallo 0,1% a un +0,3% e a un +0,2% rispettivamente.

L’Eurozona è cresciuta dello 0,3% nel primo quarto del 2024 dal -0,1% dell’ultima parte dello scorso esercizio. Il quadro della lenta ripresa europea è coerente quindi, ma le incertezze all’orizzonte restano formidabili.

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