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Certificates: Tassazione e gestione Minusvalenze

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
6 min

I costi per il trading di certificates e la loro tassazione possono essere un fattore decisivo. La possibilità di recuperare minusvalenze può essere un vantaggio importante, ma non può determinare la decisione di investimenti, pena l’accumulo di perdite.

Certificates: Tassazione e gestione Minusvalenze

La Tassazione dei Certificates

Oltre alla tassazione sul capital gain è prevista in molti casi la Tobin Tax, che però è marginale rispetto alle commissioni di trading. Per questo è sempre meglio sondare le varie piattaforme per non avere brutte sorprese

I certificati di investimento o più brevemente i certificates sono derivati cartolarizzati e come tali rispondono al fisco in termini di tassazione.

Essenzialmente dunque le plusvalenze e le cedole o i bonus pagati dai certificate subiscono una prima tassazione con aliquota del 26%

C’è poi da considerare un’ulteriore tassa, la Tobin Tax, che però incide assai meno, ma complica non poco i calcoli.

Per comprendere l’ammontare della tassazione relativa alla Tobin Tax bisogna fare riferimento alle seguenti due righe della Tabella n.3 della legge del 24 dicembre 2012, n. 228, quella che istituisce l’imposta.

A titolo di esempio bisogna dunque calcolare che un investimento di 3 mila euro su un certificate relativo a un indice azionario sarà tassato per 0,0375 euro.

Tale importo però sarà ridotto di un quinto, quindi a 0,0075 euro, nel caso di contrattazioni in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione. Si tratta della norma visto che in Italia le principali sedi di negoziazione dei certificate sono i mercati Sedex, un mercato regolamentato, e il Cert-X, un sistema multilaterale di negoziazione.

Va però aggiunta almeno un’altra specificità in tema di tassazione dei certificati e Tobin Tax: la Tobin Tax si deve pagare soltanto se il sottostante del certificato è un’azione rilevante.

Se invece la società che fa da sottostante al certificato ha una capitalizzazione inferiore ai 500 milioni di euro oppure se il sottostante è un indice o un paniere di azioni rappresentative di società con capitalizzazione inferiore ai 500 milioni di euro, la Tobin Tax non è dovuta.

Certificates come sistema di recupero delle minusvalenze

Molto importante, nella valutazione dei certificati e nelle proposte di impiego di questi strumenti, è il tema delle minusvalenze. Come noto in Italia è possibile un bilanciamento tra plusvalenze e minusvalenze nella valutazione della tassazione delle rendite finanziarie.

In altri termini se si ottiene un dividendo o una cedola obbligazionaria o si consegue un guadagno finanziario dopo una compravendita di azioni si deve pagare una tassazione collegata al tipo di strumento. E’ la tassa sul capital gain e ammonta al 26% per trading su azioni, derivati ed ETF, per esempio, e al 12,5% per plusvalenze o cedole derivanti da operazioni su Titoli di Stato.

Se da queste operazioni di trading si consegue una perdita, ossia una minusvalenza, gli investitori possono portarla entro quattro anni a compensazione della tassazione delle future plusvalenze.

Ovvero, per quattro anni una minusvalenza si trasforma in un credito fiscale che può abbattere la tassazione di future plusvalenze. C’è però nel sistema fiscale una asimmetria che non consente di utilizzare queste minusvalenze in tutti gli ambiti.

Per capire questa questione fondamentale bisogna evidenziare che nel grande schema generale della tassazione delle rendite finanziarie sono presenti due grandi famiglie: quella dei redditi di capitale e quella dei redditi diversi.

L’elenco sommario dei componenti delle due famiglie può chiarire le differenze.

Ai redditi di capitale fanno riferimento per esempio gli interessi su conti correnti o conti deposito, le cedole periodiche su Titoli di Stato e obbligazioni, i dividendi e i proventi derivanti da fondi comuni ed ETF.

Ai redditi diversi appartengono invece i proventi derivanti dal trading su azioni, obbligazioni e certificate. Una transazione con saldo positivo su fondi o ETF rientra invece ancora nei redditi di capitale.

Alcuni Esempi

Un esempio può essere utile a capire meglio.

Compriamo l’azione ABC a 10 euro e dopo una turbolenza di mercato decidiamo di limitare le perdite rivendendola a 5 euro. Abbiamo dunque registrato una minusvalenza di 5 euro (ovviamente non stiamo tenendo conto dei costi delle commissioni e così via che vanno sempre inseriti nelle valutazioni complessive di investimento).

Compriamo un certificato che ci garantisce delle cedole periodiche e che stimiamo capace di produrre utili a fine vita. Ecco le cedole pagate dal certificato, l’eventuale plusvalenza finale o anche una plusvalenza realizzata comprando il certificato a un prezzo e rivendendolo a un presso superiore sarebbero normalmente tassate al 26%, ma da questa tassazione possono togliere l’importo della minusvalenza di 5 euro, di fatto recuperandola, grazie proprio alla natura del certificato di reddito diverso.

Per comprendere al meglio questo vantaggio che può rivelarsi sostanziale, può essere utile un altro esempio. Basti pensare a una normale azione che compriamo a 10 e stacca un dividendo da un euro. Il giorno dello stacco del dividendo il titolo quoterà automaticamente a 9 euro, per via dello stacco del dividendo che altro non è che una distribuzione di patrimonio e quindi di valore. Normalmente le azioni tendono a ritornare sui valori precedenti lo stacco dei dividendi, ma non sempre.

Se dunque il titolo dovesse rimanere sui 9 euro o scivolare ancora più giù, per esempio a 8,5 euro, un investitore che volesse limitare le perdite (in realtà parziali visto che è stata incassata una cedola di 1 euro, ma tassata al 26%, quindi in realtà pari a 0,74 euro), potrebbe vendere l’azione appunto a 8,5 euro.

In questo caso la minusvalenza complessiva, sarebbe pari a 1,5 euro (differenza tra i 10 euro dell’acquisto iniziale e gli 8,5 euro della vendita, sempre al netto delle commissioni). In realtà alla minus dovrebbe aggiungere, nel proprio conteggio anche la tassazione della cedola di 26 centesimi, che non è tecnicamente una minusvalenza.

Fatto sta che volendo recuperare questa minusvalenza con un altro investimento non potrebbe affidarsi alle cedole di bond o titoli di Stato, né tantomeno ovviamente ad altri dividendi.

Non potrà neanche compensare con guadagni da fondi o ETF.
Dovrà per forza realizzare delle plusvalenze da redditi diversi, ossia con trading su azioni, obbligazioni o appunto certificati (senza considerare l’universo degli altri derivati che ne fanno parte come opzioni, future e altro ancora).

In questo contesto il certificate può essere una buona soluzione perché sia i proventi da trading che quelli da cedole o bonus pagati dal certificato sono considerati redditi diversi e dunque la loro tassazione al 26% può essere bilanciata dalle minusvalenze accumulate.

È chiaramente una strategia di circostanza non un piano di investimento. L’investitore riesce infatti a recuperare le minus soltanto se l’investimento in certificati risulta profittevole, altrimenti accumula perdite su perdite.

È bene però conoscere le opportunità fiscali di questi strumenti. Sempre tenendo in considerazione che l’investimento in certificati è un investimento in una strategia che va valutata in sé perché risulti profittevole, indipendentemente dai vantaggi fiscali accessori.