TIM, seduta in verde per l'azione grazie a Poste e a buoni auspici francesi
pubblicato:Poste compra le ultime quote di Vivendi e si avvia una collaborazione sempre più industriale, mentre in Francia il consolidamento potrebbe alleggerire le pressioni di Iliad sull'Italia

In data 15 dicembre 2025 Poste Italiane ha comunicato di avere accresciuto la partecipazione in Telecom Italia dal precedente 24,81% al 27,315% del capitale.
Ai sensi della normativa vigente (ma in prossima modifica), il superamento della soglia del 25% del capitale di TIM imporrebbe il lancio di un’offerta pubblica di acquisto, ma Poste Italiane ha deciso di avvalersi delle previsioni dell’articolo 49 del Regolamento Emittenti elenca tra le motivazioni per la possibile esenzione dall’offerta di acquisto l’impegno a cedere entro 12 mesi a parti non correlate le quote eccedenti la soglia del 25% e a non esercitare nel periodo i correlati diritti di voto.
Il superamento della soglia del 25% ha anche imposto le dichiarazioni di intenzioni a Poste che ha precisato di avere condotto l’acquisizione delle ultime quote con la propria cassa disponibile, di avere agito da sola, di non far parte di accordo o patti parasociali relativi a Telecom Italia.
Confermato che l’attuale partecipazione pone Poste Italiano nella posizione di esercitare un’influenza notevole su TIM, il gruppo guidato da Matteo Del Fante ha affermato di non volere al momento proporre un’integrazione o revoca degli organi amministrativi e di controllo, fermo restando che si riserva valutazioni al riguardo.
“L’operazione rappresenta per il dichiarante un rafforzamento dell’investimento di natura strategica realizzato nell’Emittente, confermando il proprio obiettivo di svolgere un ruolo di azionista industriale di lungo periodo”.
In realtà lo scorso 8 ottobre 2025 il Consiglio dei ministri ha approvato uno schema di decreto legislativo per la modifica della legge del 5 marzo 2024, n. 21, la cosiddetta “Legge Capitali”, l’approvazione preliminare dello schema di decreto, che punta a ridisegnare in parte il Testo Unico della Finanza (decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58) punta a riportare per tutte le società quotate di Piazza Affari la soglia che fa scattare l’obbligo di offerta pubblica di acquisto, la cosiddetta OPA, al 30% del capitale della società emittente.
Il testo dello schema di decreto è stato assegnato alle Camere perché le competenti commissioni parlamentari esprimano il proprio parere, come indicato nella delega, e si prevede che l’approvazione definitiva del testo possa giungere nei primi mesi del 2026.
In tal caso ovviamente la nuova quota del 27,315% del capitale di TIM detenuta da Poste Italiane non imporrebbe più il lancio di un’OPA.
Sull’operazione di consolidamento nel capitale di TIM in realtà Poste era stata da subito molto trasparente, comunicando al mercato l’acquisto delle quote residue di Vivendi in Telecom Italia: 384.099.915 azioni ordinarie pari al 2,51% delle azioni ordinarie e all’1,80% del capitale sociale di TIM. Poste ha pagato il prezzo di chiusura del 10 dicembre (€ 0,4864) investendo complessivamente altri 186,8 milioni di euro circa.
TIM, c'è ancora l'anno prossimo per l'earnout miliardario
Se anche oggi però Telecom Italia sale a Piazza Affari con un +1,76% a 0,502 euro dopo un allungo a quota 50,54 centesimi lo si deve ancora alla Francia, ma per altri dossier.
Dopo la cessione della rete fissa alla cordata guidata da KKR per 18 miliardi di euro, TIM si è alleggerita del debito monstre (lo ha tagliato di circa 14,2 miliardi) e sta rapidamente cercando di recuperare la redditività dopo anni di perdite.
Potrebbe dare un apporto decisivo un eventuale earnout ulteriore fino 2,5 miliardi di euro che TIM incasserebbe se la società della rete ormai di KKE, Fibercop, e la sua concorrente, Open Fiber, si fondessero in un unico operatore dell’infrastruttura di rete delle telecomunicazioni all’ingrosso.
C’è una deadline per lo scatto eventuale di questo consistente esborso, si tratta del termine dell’anno prossimo 2026. Il closing della cessione della rete fissa di TIM è stato infatti il primo luglio 2024 ed è stato posto un lasso di tempo di 30 mesi per il merger delle reti e lo scatto dell’earnout che porta dunque tutto al primo gennaio 2027.
Il prossimo anno potrebbe insomma essere decisivo per le sorti di TIM non soltanto per l’entrata a regime della collaborazione industriale con Poste Italiane, ma anche perché un consolidamento delle reti fisse in Italia potrebbe attribuirle risorse di grande rilievo.
TIM, il vero game changer è Starlink, ma l'Europa si attrezza con IRIS² ed Eutelsat
Su tutto incombe il game changer delle telecomunicazioni mondiali, la Starlink di Elon Musk, la società delle telecomunicazioni satellitare che già da tempo gioca un ruolo fondamentale in Ucraina sta pian piano ridisegnando il panorama delle telecomunicazioni nel mondo, in Europa e prossimamente anche in Italia. La base satellitare, approntata dalla sua controllante SpaceX (che oltretutto sta lavorando a una maxi-IPO), sta stravolgendo le prospettive del settore strategico delle telecomunicazioni che già con i protocolli LTE e il 5G minacciava via etere quei corridoi privilegiati costituiti in passato dalla rete fissa in rame e ormai da tempo adagiati sulla fibra ottica.
Le migliaia di satelliti in orbita bassa che supportano performance di trasmissione impensabili nel recente passato potrebbe costituire un nuovo standard.
Le telecomunicazioni, già di per se strategiche per il valore informativo che veicolano, sono rese ancora più importanti dall’attuale fase storica per via del ricorso preponderante al cloud dei sistemi di intelligenza artificiale, i maxi server mondiali carichi di chip di Nvidia che elaborano le intelligenze del big tech USA o cinese, funzionano naturalmente soltanto se si appoggiano a una rete di telecomunicazioni e quindi le TLC ribadiscono un ruolo strategico, che rende anche il loro assetto proprietario sempre più delicato.
La recente vendita per 700 milioni di euro di quella dorsale globale controllata da Sparkle e passata da TIM a una cordata guidata dal Tesoro al 70% lo ha confermato. Alla fine del 2024 l’Unione Europea ha lanciato la rete satellitare IRIS² (290 satelliti in costellazione multi-orbitale) proprio per contrastare il predominio potenziale globale di Starlink che con i suoi oltre 10 mila satelliti ha un posizionamento quasi incontrastato nei cieli.
Per il progetto IRIS², che opera su diversi livelli orbitali e non soltanto su quelli bassi come Starlink, sono stati messi assieme i big UE SES, Eutelsat e Hispasat.
Qualcuno pochi mesi dopo scriveva che il governo Meloni stava scaricando Musk per l’alternativa francese di Eutelsat e il titolo di quest'ultima a inizio marzo era persino volato a Parigi moltiplicando per più di 7 volte il proprio valore in poche sedute, ma poi il gruppo ha varato un aumento di capitale da 1,5 miliardi di euro a 1,35 euro e ha gradualmente ridimensionato i corsi fino agli attuali 1,70 euro circa.
L’obiettivo era proprio la ricapitalizzazione in vista del potenzialmente della costellazione satellitare IRIS², ma intanto già i giochi sembravano in ricomposizione in Europa e in Italia.
Qui a inizio 2025 sembrava ormai prossimo un contratto da 1,5 miliardi di euro con Starlink di 5 anni per servizi di crittografia e comunicazioni sensibili del governo, ma lo stesso Palazzo Chigi smentiva la sigla dell’accordo il 6 gennaio e da allora non se ne è saputo più nulla.
Con la rottura tra Trump e Musk il quadro per il patron di Tesla e Grok non è migliorato.
TlC: consolidamento in Francia, Orange più forte, ma a TIM potrebbe convenire
In realtà un po’ dappertutto in Europa i governi frenano, cercando di puntellare una sovranità digitale che inevitabilmente dovrà passare dalle telecomunicazioni.
Anche in Francia la Fédération Française des Télécoms (FFT) ha presentato da poco il suo report periodico in cui conferma il dominio in Europa per la copertura con la fibra, sfidato appena dalla Spagna con a distanza l’Italia e parla di democratizzazione delle telecomunicazioni con il taglio dei prezzi violento che – sostiene – ha reso ormai il Paese il più economico d’Europa per le tlc: 26 euro per l’abbonamento fisso e 8 euro per il mobile tallonati dall’Italia (7 per il fisso e 28 per il mobile). Anche lì però gli investimenti sono miliardari, 12,2 miliardi di euro investitori dal settore nel 2024 e di fronte alle sfide sul digitale, l’AI, il cloud e la relativa infrastruttura si avvertono delle debolezze. In altre parole il consolidamento per rivitalizzare (ossia alzare) i prezzi è una ricetta che potrebbe piacere anche a Parigi.
Orange, in Francia, come in Spagna - scriveva poche settimane fa La Tribune - approfitta del clima di consolidamento.
La conquista per 4,25 miliardi del rimanente 50% di MasOrange l’ha piazzata di recente al secondo posto tra le tlc spagnole dopo Telefonica.
In patria Orange sta giocando il ruolo del leone nello spezzatino di Altice: con Bouygues Telecom e Free-Iliad ha presentato un’offerta a SFR che esclude alcuni asset (Intelcia, UltraEdge, XP Fibre e Altice Technical Services oltre agli attivi d’Oltremare), però prende il gruppo valutando Altice 17 miliardi di euro in termini di Enterprise Value (che implicitamente prezza l’intero gruppo a 21 mld).
Con i due partner Orange dividerebbe il business B2C di Altice e, tolto il B2B lasciato agli altri due, il resto degli attivi oggetto di offerta.
Complessivamente a Orange dovrebbe andare il 27% di Altice contro il 43% di Bouygues Telecom e il 30% diretto a Free-Iliad, ma poiché Orange è già il più grande operatore del Paese, si tratterà probabilmente del consolidamento di un incumbent. Come sarebbe per TIM ancora oggi in certe fasce di mercato.
Con la speranza, secondo alcuni operatori, che Iliad, il formidabile concorrente che da tempo falcia i prezzi in Italia e fino a non molto tempo fa in predicato di fusione con TIM, possa riguardare al suo mercato nazionale e alleggerire le pressioni sul mercato italiano.
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