Dazi, nuove tensioni USA-Cina, ma il caso sembra rientrare
pubblicato:Dopo alcune strette di Beijing, Trump minaccia tariffe fino al 100%, ma poi fa un passo indietro e i mercati sembrano ristabilizzarsi in tempo per l'Opening Bell di Wall Street

Lo scenario base di UBS considera ancora improbabile lo scoppio di una guerra commerciale su larga scala tra Cina e Stati Uniti. Secondo gli analisti, entrambe le parti puntano alla fine a una convergenza che escluda gli impatti peggiori di uno scontro troppo acceso.
UBS ritiene ancora che in quest’anno 2025 gli utili per azione dell’S&P 500 possano crescere dell’8% e che l’anno prossimo aumentino del 7,5%.
Anche la Federal Reserve ha avviato – assai cautamente invero – un potenziale nuovo ciclo di ribasso dei tassi, quindi per il corporate a stelle e strisce e i listini azionari globali, restano importanti spazi di manovra.
Secondo UBS al più gli ultimi attriti tra Washington e Beijing potrebbero generare qualche pausa di consolidamento, forse persino delle opportunità di ingresso nei settori dell’AI e della tecnologia che ancora mantengono un forte appeal grazie alla solidità della spesa per i consumi e agli incredibili investimenti in conto capitale che stanno mettendo in piedi negli States l’infrastruttura per l’intelligenza artificiale.
Dazi Usa, uno scossone ai mercati
Uno scossone comunque c’è stato. L’S&P 500 venerdì ha perso il 2,7% e il Nasdaq 100 il 3,6%, segnando la peggiore seduta da diversi mesi a questa parte. L’oro, termometro tra l’altro dell’incertezza, ha fatto nuovi record e la curva dei rendimenti dei titoli di Stato americani ha registrato dei cali degli yield sia a 2, che a 10 anni, mentre il dollaro faceva un passo indietro.
La Cina copre il 70% della produzione e il 90% della lavorazione delle terre rare mondiali. Si tratta di materie prime indispensabili per i dispositivi elettronici attuali e quindi strategiche, come ha dimostrato a maggio l’accordo di Volodymyr Zelensky con lo stesso presidente statunitense Donald Trump proprio sul tema delle rare earth.
Dazi Usa, il nuovo caso
La situazione rimane fluida. Venerdì il presidente Usa Donald Trump ha minacciato un massiccio incremento dei dazi sulle merci importate dalla Cina per contrastare delle misure di Beijing ritenute punitive dagli States.
Il ministro del Commercio cinese giovedì aveva annunciato la necessità di licenze per l’esportazione dalla Cina di prodotti che contenessero più dello 0,1% di terre rare estratte nella Repubblica Popolare o prodotte a partire dalle sue tecnologie. A partire dal primo dicembre.
Nel mirino rischia di finire buona parte dei prodotti intermedi più richiesti dai dispositivi moderni.
Trump aveva tuonato contro l’aspirazione cinese a tenere il mondo prigioniero delle sue terre rare, aveva minacciato dazi al 100% su tutto l’import cinese dal primo novembre, aveva messo in forse i previsti meeting con Xi Jinping che avrebbero al contrario dovuto ristabilire i rapporti tra le due superpotenze. Insomma un'inversione a U rispetto alle intese che avevano compresso i dazi al 30% e al 10% rispettivamente.
Poi il disgelo, probabilmente seguito ad alcune consultazioni: “Non preoccupatevi della Cina, andrà tutto bene! Il molto rispettato presidente Xi ha semplicemente avuto un brutto momento. Non vuole una Depressione economica nel suo Paese, né la voglio io. Gli Stati Uniti vogliono aiutare la Cina, non provocateli”, aveva alla fine scritto su X lo stesso Trump domenica.
Per un attimo era sembrato a tutti di ritornare alla fase più calda della guerra commerciale, adesso i future sui maggiori indici azionari statunitensi segnano recuperi di oltre un punto percentuale.
Come una tempesta in un bicchier d’acqua, più che l'attrito economico tra il più grande produttore e il più grande consumatore del mondo. Trump ci ha abituato anche a questo, ma è senza dubbio la conferma che i rapporti non sono facili.