Europa: industria e finanza UE restano colossi internazionali

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
6 min

Sorpresa: una ricerca di Goldman Sachs dice che il 58% del fatturato dell'Euro Stoxx 600 è extra-europeo, i big insomma sono ancora competitivi su scala globale

Europa: industria e finanza UE restano colossi internazionali
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Europa meno competitiva nei mercati internazionali? Imprese UE strangolate dalla concorrenza statunitense e cinese?

E’ un mantra che ci insegue almeno dal Covid, con ottime argomentazioni, dalla prevalenza tecnologica ed economica della Cina nelle tecnologie della transizione ecologica (auto elettriche e fotovoltaico in primis) a quella degli Stati Uniti nell’intelligenza artificiale, che sembra ancora più ineluttabile e destinata a lasciare al palo il Vecchio Continente.

Eppure forse non è proprio così… non soltanto almeno. Goldman Sachs, quindi non proprio un think tank di Bruxelles, mette in dubbio questa prospettiva con i numeri e ridimensiona in questa fine rovente del 2025 questo approccio.

Euro Stoxx 600, il 58% del fatturato fuori dall'Eurozona

Se si prendono le 600 società dell’Euro Stoxx 600, forse l’indice europeo più diversificato e diffuso fra quelli generalisti, si scopre che soltanto il 42% dei ricavi delle sue società proviene dal mercato europeo. Il 24% del fatturato di queste società viene dal Nord America, il 19% dall'Asia-Pacifico e il 15% dalle altre Economie Emergenti.


In altre parole le prime 600 società quotate europee fatturano per il 58% fuori dall'Europa, quindi parlare di scarsa competitività è probabilmente allarmante. Non è affatto scontato: per esempio le 500 società dell’S&P 500 fatturano per il 70% in patria, negli Stati Uniti.

Intendiamoci i problemi non mancano, così come non mancano le complicazioni. E’ anche inevitabile con l’ampia diversificazione di questo paniere e le storie nazionali e industriali che naturalmente lo popolano. L’Italia oltretutto ha il suo peso e le sue caratteristiche che fanno un po’ storia a sé.

Le italiane più 'domestiche', grazie soprattutto alla finanza

La prima società italiana per peso nell’Euro Stoxx 50, che è il sottoinsieme del paniere Stoxx a 600 componenti è Unicredit, al 15esimo posto soltanto con un 2,2% che la accoda per peso sul paniere ad altri finanziari più internazionali come Allianz (3,3%) o il Banco Santander (3,3%) o anche il BBVA (2,5%). Beh Unicredit fattura per il 77% in Europa e non è presente né in Nord America, né nell’Asia-Pacifico.

Ancora più concentrata Intesa Sanpaolo (2,1% del paniere), che ha i 92% dei ricavi in Europa ed è la più europea tra tutti i titoli dell’Euro Stoxx 50, con l’eccezione di Nordea Bank (Finlandia).

Bisogna arrivare a Ferrari per vedere un fatturato davvero internazionale con soltanto il 37% del giro d’affari in Europa ma un peso di appena l’1% sull’indice.

Meno di Enel che, nonostante le sue numerose attività in Sudamerica, fattura comunque per il 74% in Europa, ed è quintultima nell’Euro Stoxx 50 per percentuale di fatturato extra-europeo.

C’è un caso limite in realtà che scavalca questo provincialismo inatteso delle big cap italiane, ossia quello della franco-italiana STMicroelectronics, che è quotata a Parigi, Milano e New York e rientra tra le prime tre società francesi per internazionalizzazione: un’eccellenza dei mercati globali quindi con appena l’1% del fatturato in Francia, un altro 1% nel resto d’Europa e quindi tutto fuori. In realtà poi la geografia delle filiere è molto più complicata di così e probabilmente è molto più affidabile lo spaccato fornito da STM alla fine del primo semestre 2025 con ricavi in Asia Pacifico per il 61% e nell’Emea (Europa+Medioriente) al 21% mentre le Americhe si contendono il rimanente 17%.

Anche l’analisi di Goldman Sachs però conferma che il Ftse MIB, il maggiore indice azionario ‘italiano’ (Borsa Italiana è controllata dal gruppo francese Euronext e il Ftse MIB è calcolato dalla FTSE Russell britannica), è il più esposto al mercato domestico italiano, con il 51% del fatturato in Italia e il 74% in Europa (Italia compresa), tra i grandi panieri d’Europa.

Per fare due esempi concreti il Dax tedesco vede i suoi 50 titoli fatturare per soltanto il 32% in Germania e per il 56% complessivo in Europa mentre il Cac 40 francese, vede le prime 40 società d’Oltralpe realizzare appena il 16% dei ricavi in Patria e il 40% in Europa.

Naturalmente la spiegazione è sempre quella: il 49% della capitalizzazione di Piazza Affari è attribuibile a titoli finanziari, contro il 12% della Francia e il 13% della Germania.

Insomma c’è troppo poca industria internazionali in Italia, nonostante siamo la seconda manifattura d’Europa. Ma pesa su questo dato anche la prevalenza delle PMI tra le imprese italiane, a differenza per esempio che in Germania, dove i big, lo sono davvero.

Pure nell’international list di Goldman Sachs che prende solo le società con capitalizzazione superiore al miliardo di euro (sarebbero bruscolini negli States) non mancano nomi di peso che dimostrano di saper concorrere sui mercati internazionali con una quota del fatturato in Italia inferiore al 20% del totale.

Da Technoprobe e Moncler, che fatturano in patria circa il 2% del giro d’affari, si passa a Pirelli con il 4%, a Danieli con il 3%, a Saipem e Stellantis con il 7% Anche Brunello Cucinelli ha solo l’11% di fatturato in Italia e Prysmian appena il 13% E si potrebbero ancora citare Recordati (14%), Campari (15%), Leonardo (18%), e Buzzi (19%).

Europa, ma l'esposizione agli States o alla Cina comporta anche dei rischi

Fuori dalla finanza, che rimane ancorata sul territorio, l’Italia dell’industria è cittadina del mondo insomma, con oneri e onori, dai dazi USA e dal deprezzamento del dollaro che hanno tagliato a doppia cifra gli utili delle compagnie esposte agli Stati Uniti come Stellantis, alla nuova competizione cinese che effettivamente ha visto dalla pandemia calare l’export UE nella Repubblica Popolare mentre la Cina cresceva nel senso opposto.

Si tratta di pericoli per grandi gruppi europei con oltre l’80% dei ricavi fuori dall’Eurozona, come Ferrovial e Adidas, l’italiana del petrolio Tenaris e la francese del lusso LVMH.

In Europa restano driver domestici come l’espansione fiscale e la politica di investimenti della Germania (per ora di gran lunga più attesa che fatturata) e l’incertezza politico-fiscale della Francia.

Ci sono poi anche sorprese: il più grande settore e il più esposto agli Stati Uniti con oltre un sesto dell’Euro Stoxx 600 è il settore farmaceutico europeo che ha metà dei ricavi negli States.

Anche il Sudamerica, verso cui sono molte esposte 40 azioni del paniere europeo, potrebbe indirettamente subire gli impatti dei dazi, mentre non sorprende che il 100% del grande real estate fatturi in Europa e le small cap facciano ricavi soprattutto nel Vecchio Continente.

In tempi di rotazione di portafoglio dall’intelligenza artificiale all’industria negli Stati Uniti (questi gli ultimi segnali tutti da verificare nelle prossime settimane), sicuramente sono ci sono considerazioni interessanti da fare anche per l’Europa, per esempio sui P/E a sconto delle quotate francesi attive in patria o dell’indice FTSE MIB rispetto ai colleghi europei (ma con differenziazioni interne importanti e una prevalenza al 70% di settori value come finanza, utility ed energia).

Leggiamo altrove una media di P/E atteso di 15,7x/16,0x per l'Euro Stoxx 600 che sicuramente incorpora delle opportunità. Probabilmente i big come ASML, Astrazeneca, Roche e Nestlè, le prime quattro società per peso sull'Euro Stoxx 600 con nessuna che giunga al 3%, sono bene attenzionati dal mercato, ma nelle retrovie è probabile che delle opportunità per il 2026 ci siano.

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