AI sotto pressione tra prese di profitto e Fed meno accomodante
pubblicato:Macroeconomia USA troppo solida per nuovi tagli Fed. Il PIL è stato rivisto al rialzo al 3,8% e i sussidi di disoccupazione sono in calo. Consumi (+0,6%) e redditi (+0,4%) oltre le attese. Come risultato Treasury decennale al 4,18%

Dopo il forte entusiasmo iniziale, il clima di ottimismo che aveva sostenuto i titoli legati all’intelligenza artificiale ha subito una battuta d’arresto.
Oracle inverte la rotta
Oracle, che solo all’inizio della settimana aveva registrato la miglior giornata di sempre in borsa grazie a una guidance sui ricavi considerata “colossale”, ha invertito bruscamente la rotta: giovedì il titolo ha perso parecchio ed è ora in calo dell'8% circa nelle ultime cinque sedute.
Anche Nvidia ha mostrato debolezza
Anche Nvidia, emblema del boom dell’AI e spesso utilizzata come proxy per l’intero comparto, ha mostrato debolezza. Dopo l’annuncio di un imponente investimento da 100 miliardi di dollari in OpenAI, il titolo ha ceduto terreno per due sedute consecutive, recuperando poi solo parzialmente; il bilancio resta negativo, la settimana si chiude sostanzialmente neutrale.
Gli analisti osservano che gli investitori stanno riducendo l’esposizione alla cosiddetta “AI trade”, in un contesto che sembra caratterizzato da prese di profitto dopo i rally record degli ultimi mesi.
Intel si distingue in positivo
A distinguersi in positivo è Intel, che ha guadagnato il 6% venerdì e quasi il 20% in cinque sedute grazie alla notizia di colloqui con Apple per un potenziale investimento, elemento che si aggiunge al recente accordo siglato con Nvidia e che rafforza la narrativa di un rilancio per la società.
L’attenzione resta puntata sulla politica monetaria
Al di là delle vicende societarie, l’attenzione resta puntata sulla politica monetaria. L’AI e più in generale il comparto tecnologico mostrano un’elevata sensibilità alle prospettive sui tassi d’interesse, e negli ultimi giorni le attese di ulteriori tagli da parte della Federal Reserve si sono ridimensionate.
Il PIL cresce oltre le attese
A pesare è la solidità della congiuntura americana: il Bureau of Economic Analysis ha rivisto al rialzo la crescita del PIL del secondo trimestre al 3,8% dal precedente 3,3%, e le nuove richieste settimanali di sussidi di disoccupazione sono scese a 218.000, meglio delle stime che indicavano 235.000.
Dati che testimoniano una resilienza dell’economia superiore alle attese, ma che paradossalmente complicano la vita agli investitori: più crescita e meno disoccupazione significano infatti meno spazio per politiche monetarie accomodanti.
Bene anche redditi e consumi
Alla narrativa di un’economia americana resiliente si aggiungono anche gli ultimi dati su redditi e consumi. Ad agosto le spese personali per consumi (PCE) sono aumentate dello 0,6% su base mensile, più delle attese di consenso (+0,5%). Contestualmente, i redditi familiari hanno segnato un incremento dello 0,4%, anch’esso superiore alle previsioni (+0,3%). Questi numeri segnalano non solo una domanda interna ancora vivace, ma anche una capacità delle famiglie di sostenere la spesa grazie a redditi in crescita.
La Fed deve prendere decisioni complicate
Per la Federal Reserve, questo mix rappresenta un’ulteriore complicazione. Una crescita dei consumi più robusta delle attese contribuisce a mantenere pressioni inflazionistiche di fondo, riducendo lo spazio di manovra per tagliare i tassi senza rischiare di riaccendere la dinamica dei prezzi.
È il classico caso di “good news is bad news”: dati solidi sull’economia che, se da un lato rassicurano sulla tenuta del ciclo, dall’altro smorzano le speranze di un allentamento monetario rapido.
Tornano a salire i rendimenti obbligazionari
Questo si riflette sui mercati obbligazionari: il rendimento del Treasury decennale è risalito al 4,18%, con un aumento di 18 punti base rispetto ai minimi del mese, quando era sceso fino al 4%.
Il quadro che ne emerge è quello di un mercato diviso: da un lato, un’economia robusta che sostiene la crescita aziendale; dall’altro, il timore che tassi più alti più a lungo possano ridurre il premio di rischio a favore dell’azionario, penalizzando in particolare i settori più sensibili come quello tecnologico e, nello specifico, l’intelligenza artificiale.