7,4 trilioni di dollari fermi nei fondi monetari: benzina pronta per il prossimo rally azionario
pubblicato:Mentre lo S&P 500 aggiorna i massimi, i fondi monetari toccano nuovi record: 7,4 trilioni di dollari pronti a muoversi. Una molla pronta a scattare se la Fed aprirà la strada a tassi più bassi nei prossimi mesi

Una dinamica apparentemente “paradossale” sta attraversando i mercati finanziari: da mesi crescono contemporaneamente gli investimenti nei fondi monetari e le quotazioni degli indici azionari, come lo S&P 500.
In teoria, dovrebbe essere il contrario: quando aumenta l’interesse per i fondi monetari (rifugio tipico nei momenti di incertezza), le borse tendono a scendere — e viceversa.
Eppure oggi non sta andando così. Vediamo perché
Perché salgono insieme fondi monetari e mercati azionari?
Una dinamica interessante — e per certi versi anomala — sta caratterizzando i mercati globali: crescono contemporaneamente gli investimenti nei fondi monetari e le quotazioni degli indici azionari, come lo S&P 500.
Secondo i dati diffusi dall’Investment Company Institute, nella settimana chiusa il 22 ottobre gli asset totali dei fondi monetari sono aumentati di 30,37 miliardi di dollari, raggiungendo un nuovo massimo storico di 7,40 trilioni di dollari.
Un record che racconta bene il clima di liquidità abbondante e prudenza strategica che domina la scena.
🔹 1. Liquidità parcheggiata, non fuggita
Questa crescita non riflette una fuga dal rischio, ma una liquidità in attesa di opportunità migliori.
Con rendimenti ancora intorno al 5%, i fondi monetari rappresentano oggi una soluzione comoda per restare “nel mercato”, ma senza esporsi alla volatilità.
Molti investitori istituzionali preferiscono parcheggiare capitali in strumenti a basso rischio, pronti a spostarli rapidamente su asset più redditizi appena la Fed confermerà l'intenzione di tagliare ancora i tassi.
🔹 2. L’azionario vola comunque
Nel frattempo, l’S&P 500 continua a crescere grazie a tre forze principali:
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Utili solidi e sopra le attese in diversi settori, soprattutto tech;
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Aspettative di tagli Fed nel 2025, che riducono il costo del capitale e alimentano il sentiment;
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Effetto concentrazione: una manciata di grandi titoli (AI, tech, semiconduttori) guida gran parte del rialzo.
Insomma, non serve che tutta la liquidità “parcheggiata” torni in borsa per sostenere gli indici.
🔹 3. Il futuro: una molla pronta a scattare
Se la Federal Reserve dovesse effettivamente ridurre ancora i tassi nei prossimi mesi, è plausibile aspettarsi un effetto di rotazione della liquidità: una parte dei 7,4 trilioni di dollari oggi fermi nei fondi monetari potrebbe fluire gradualmente verso l’azionario, alla ricerca di rendimenti più alti.
Non si tratterebbe di un movimento improvviso, ma di una pressione rialzista latente pronta a sostenere i mercati nel medio periodo.
Quando la Fed taglia i tassi (e quindi scende il rendimento dei titoli di Stato a breve o dei fondi monetari), tenere liquidità diventa meno attraente.
In pratica, il “premio per non rischiare” diminuisce.
Gli investitori iniziano a cercare rendimenti altrove — spesso spostandosi verso asset più rischiosi, come azioni, corporate bond o high yield.
Storicamente, l’azionario tende a salire nei mesi successivi una serie di tagli dei tassi
Nei cicli passati, dopo la fase in cui la Fed inizia a tagliare i tassi, l’S&P 500 ha mostrato in media rendimenti positivi nei 6-12 mesi successivi.
Esempi storici:
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1995-1996: la Fed taglia, e lo S&P 500 guadagna oltre 25% nei 12 mesi successivi.
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2001: tagli post-bolla dot-com → i mercati rimbalzano, ma il contesto recessivo ritarda il recupero.
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2008-2009: i tagli accompagnano la crisi, ma la ripartenza del 2009 coincide con il punto minimo dei tassi.
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2019-2020: tagli “preventivi” e liquidità abbondante → fortissimo rally fino alla pandemia.
In media, nei cicli “soft landing”, il taglio dei tassi coincide con una fase di espansione dei multipli (P/E), perché cala il tasso di sconto dei flussi futuri.
Ma il taglio dei tassi non sempre è un segnale di forza
Bisogna distinguere:
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Tagli “difensivi” (per evitare recessione) → possono segnalare che l’economia sta rallentando (es. 2001, 2008).
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Tagli “preventivi” o “di normalizzazione” → spesso preludono a fasi di rialzo dei mercati (es. 1995, 2019).
Oggi, se la Fed taglierà ancora entro la fine del 2025 da un punto di partenza solido (occupazione ok, inflazione in calo), il secondo scenario sembra più probabile.
🎯 In sintesi
La coesistenza di fondi monetari in crescita e indici azionari ai massimi non è una contraddizione, ma il riflesso di una fase di transizione del ciclo monetario: la prudenza domina nel breve, ma l’ottimismo resta vivo sul lungo.
In fondo, questi 7,4 trilioni sono benzina potenziale per il prossimo rally — in attesa che la Fed dia il via libera.
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