Giappone, la fine del carry trade che spaventa i mercati
pubblicato:La fine di un epoca nel Sol Levante e le pressioni di Trump mettono a rischio uno dei motori della finanza globale, qualcosa come 1,7 trilioni di dollari che potrebbero spegnere i motori dei mercati

Giappone attenzione. Costretto a navigare in acque agitate da una politica dei dazi degli Stati Uniti che rischia di disarticolare un modello economico in forza dal Secondo Dopoguerra, il Sol Levante cerca nuove ricette, anche estreme…
Il patto tacito tra Oriente e Occidente, basato sul fatto che Cina e Giappone comprassero debito pubblico Usa per finanziare i consumi americani delle merci che loro stesso gli vendevano, si è rotto o almeno profondamente indebolito. E' una conseguenza inevitabile dell'esplosione del debito pubblico Usa, ma anche un fenomeno nuovo dalle conseguenze ancora imprecisate.
Giappone, è ancora il primo detentore di Treasury
In questo 2025 di guerra dei dazi il Giappone resta il maggiore detentore globale di debito pubblico USA con 1.189,3 miliardi di dollari di Treasury a settembre, mentre il Regno Unito, con 865 milioni di dollari supera la Cina continentale che passa in nove mesi da 759 a 700,5 miliardi di dollari (se si considerano Singapore e Hong Kong da 1,26 a 1,2 trilioni di dollari).
Scossoni ai cui diversi osservatori attribuiscono un peso collegato al deprezzamento del dollaro di quest’anno (se gli emergenti e gli avanzati vendono Treasury, il dollaro si inflazione), ma che vanno visti in prospettiva, perché se si guardano le statistiche della Fed di St Louis con il sistema FRED, si apprende che all’inizio del 2020 (l’ultima breve recessione USA) il debito federale USA in mani straniere e internazionali era di circa 7,05 trilioni, mentre l’ultimo dato lo vede salire oltre i 9,12 trilioni di dollari. Quindi il tema è che Washington teme di non riuscire a rifinanziarsi e infatti gli emergenti diversificano (per esempio con l'oro).
Il Sol Levante però conta e non solo per il classico effetto butterfly, ma perché è appunto il maggiore detentore di debito pubblico Usa e ha quindi tutte le leve per contrastare le pressioni protezionistiche di Trump, anche se finora ha preferito, come gli altri Paesi del mondo, promettere investimenti, delocalizzazioni e aiutini alle merci Usa in cambio di dazi meno soffocanti.
Giappone, bisogna che tutto cambi perché...
Appena lo scorso 21 ottobre Sanae Takaichi, coniugata Yamamoto, è diventata la prima premier donna del Giappone dopo la breve esperienza di Fumio Kishida e l’esplosione di una nuova violenza politica nel Sol Levante che ha strappato anche la vita di Shinzo Abe assassinato con un attentato del luglio 2022 e simbolo di quel partito Liberal Democratico che ha sempre governato il Paese nella sua modernità (tranne una breve parentesi negli anni Novanta) e che ora ha espresso la sua prima donna a capo dell’esecutivo nipponico.
Le linee guida rimangono le stesse da decenni e anche Takaichi, esponente conservatrice del partito, riprende la linea di Abe, si ispira a Margaret Tatcher, alimenta spunti tradizionalisti con una fiera diffidenza nei confronti della Cina e una sintonia con Taiwan che passa per la (sperata?) alleanza con gli Stati Uniti.
Giappone, nelle mani di Ueda
Ma l’uomo più attenzionato è probabilmente Kazuo Ueda, governatore della Banca del Giappone dal 2023 e quindi condottiero dell’istituzione che nel Sol Levante ha saputo andare controcorrente in diverse occasioni negli ultimi anni, come quando ha mantenuto una politica ultra-accomodante mentre il mondo stringeva sui tassi. Adesso è diverso.
Piccoli aumenti dei tassi si sono visti anche in Giappone fra il 2024 e il 2025 con il tasso d’interesse cresciuto allo 0,5% nell’ultimo intervento dello scorso gennaio, mentre l’inflazione sembrava uscire da una storica deflazione che durava dagli anni Settanta ed era uno dei motori dell’export giapponese e dell’economia del Sol Levante.
Negli ultimi trimestri però l’inflazione ai consumi, sia la ‘headline’ complessiva che la ‘core’ (senza cibo ed energia) sono rimaste pervicacemente sopra gli obiettivi della Banca centrale ossia sopra il 2% A settembre l’inflazione complessiva era al 2,9%, a ottobre è salita al 3% ed è un livello che Ueda ha chiaramente bocciato come insostenibili in vista dell’obiettivo della Banca del Giappone di conseguire un’inflazione del 2% in maniera sostenibile e stabile, anche se l’inflazione sottostante è scesa all’1,5% nell’ultimo trimestre.
La dinamica dei prezzi alimentare potrebbe essere un pericolo da monitorare insomma e questa ricerca di una maggiore stabilità dovrà essere coordinata con l’altra grande manovra di riduzione del bilancio della BoJ che nel 2024 si poneva tra i 500 e i 600 trilioni di yen.
Se lo scenario è diverso la BoJ dovrà modificare il proprio approccio e quindi Ueda ha annunciato una valutazione intermedia il prossimo giugno e ha anche dichiarato che in caso si rapida ascesa dei tassi d’interesse di lungo periodo potrebbe rispondere anche con acquisti mirati di asset. Frasi sibilline non sono mancate: "C'è incertezza su quanto lontano possiamo spingerci nell'alzare i tassi d'interesse".
La situazione è delicata, anche perché la premier Takaichi teme che dei rialzi prematuri dei tassi possano indebolire i consumi che poi sono la chiave di volta di questa fase. Ma in molti pensano che il meeting del prossimo 18 e 19 dicembre possa partorire un rialzo dei tassi.
Giappone, il rapporto col dollaro non è più lo stesso
Il dollaro in dieci anni ha raddoppiato il proprio valore sullo yen con un cambio USD/GPY in rialzo di oltre il 100% da 76 a 154 e le sfide dei dazi si stanno già traducendo in un indebolimento dell’export delle imprese dell’acciaio e dell’alluminio che riforniscono i settori automotive e beni intermedi penalizzati dalle nuove tariffe di Trump.
Secondo Ueda questo shock esterno potrebbe essere più grave di altri, anche se le esportazioni di semiconduttori negli States e nell’Area Asean stanno crescendo. La crescita del Pil per ora è sostenuta dalla domanda privata, ma nei tre mesi a settembre ha mostrato un calo dello 0,4% che era il primo in sei trimestri ed era riconducibile proprio al calo dell’export (-4,5%) e degli investimenti dei residenti.
Giappone, è la fine del carry trade?
La situazione non è stabile insomma e c’è il rischio di strette a Tokyo mentre gli operatori gridano già al cambio epocale allo storico “carry trade” l’indebitamento a basso costo in yen per il reinvestimento redditizio in dollari, se cambiano i rapporti il giochino si rompe e siccome per anni è stato uno dei motori più potenti della finanza globale con centinaia di miliardi di dollari spostati, c’è chi si chiede già cosa potrà succedere adesso.
Qualcuno teme insomma che possa essere una bomba ad orologeria e che la fine di un meccanismo trentennale dei mercati possa impattare sulla liquidità globale mandato ko ancora una volta i mercati. La BIS, la Banca dei regolamenti internazionali, aveva stimato tra 1 e 2 trilioni di dollari le dimensioni di questa gigantesca macchina della liquidità globale l'anno scorso. Qualcosa di paragonabile al portafoglio di Treasury di Tokyo. Qualcosa in grado di spaventare i mercati.
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