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Banche, nuovi requisiti di capitale, ma dividendi e buyback dovrebbero salvarsi

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
10 min

In consultazione il possibile aumento all'1% del requisito di capitale contro il rischio sistemico SyRB. La Banca d'Italia ci lavora, ma per le banche di Piazza Affari, a partire da Unicredit e Intesa non dovrebbe essere un problema. Ecco come funziona

 Banche,  nuovi requisiti di capitale, ma dividendi e buyback dovrebbero salvarsi

Per chi segue i mercati sono i requisiti patrimoniali delle banche un rebus ineludibile perché negli ultimi anni, dalla crisi finanziaria del 2008 in poi almeno, sono stati protagonisti delle valutazioni del settore creditizio sul mercato.

E’ complicato- è vero - ma la cronaca finanziaria degli ultimi due decenni non si spiegherebbe, o solo in minima parte, senza il costante monitoraggio della situazione patrimoniale delle banche che a Piazza Affari sono circa un quinto della capitalizzazione del solo FTSE MIB.

Banche, regole scomode ma necessarie

Basti ricordare per i senior di Piazza Affari il faro sui titoli di Stato in Bilancio con la crisi del debito sovrano o la successiva crisi degli NPL (che pure con i ratio di Basilea ha ancora poco a che fare) o ancora la gestione del capitale regolamentare e della possibilità o meno di distribuire dividendi che è questione più recente.

O ancora, non si può tralasciare, la crisi delle banche statunitensi dell’anno scorso che in molti hanno legato direttamente a certi standard regolamentari più laschi in America.

Senza che questo poi evitasse in Svizzera il caso Credit Suisse, anch’esso collegato ai requisiti delle banche, titoli AT1 compresi.

Insomma il capitale che le banche devono mettere da parte per restare “sicure” e “pronte a ogni stagione” è un tema rovente e per questo non è passato inosservato un recente dibattito solo in parte riservato agli addetti ai lavori.

Banche, via Nazionale apre i lavori

Il 10 febbraio scorso al 30° Congresso dell’Assiom Forex il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha aperto il discorso: “Per consentire alle banche di sostenere l’economia in caso di shock esterni al sistema finanziario sono necessarie riserve patrimoniali macroprudenziali. Queste possono essere costituite dagli intermediari utilizzando il capitale in eccesso, senza raccoglierne di nuovo”.  

“Il Comitato di Basilea si è espresso in favore dell’accumulo di riserve macroprudenziali anche al di fuori di fasi di forte espansione ciclica – ha aggiunto - La BCE ha anch’essa incoraggiato l’aumento di tali riserve laddove la situazione patrimoniale e la redditività delle banche lo consentano”.

“La Banca d’Italia – ha concluso, specificato e affermato - ha avviato una riflessione sull’orientamento della politica macroprudenziale in Italia. I risultati verranno resi noti nelle prossime settimane”.

Così si arriva al concreto o quasi.

“La Banca d’Italia intende fissare per tutte le banche e i gruppi bancari autorizzati in Italia una riserva di capitale a fronte del rischio sistemico (systemic risk buffer, SyRB) pari all’1,0 per cento delle esposizioni domestiche ponderate per il rischio di credito e di controparte”.

Così un documento di consultazione che annuncia lavori in corso su riserve di capitale aggiuntive per le banche italiane.

D’altronde 30 paesi dello Spazio economico europeo, solo quattro – Italia, Grecia, Polonia, Spagna – non hanno al momento attivato né un CCyB né un SyRB.

Cosa sono? Sono buffer di capitale aggiuntivo, riserve di sicurezza in poche parole. CCyb (countercyclical capital buffer) è un cuscinetto immaginato per contrastare il rischio sistemico ciclico, ossia che le banche non solo seguano le crisi dell’economia e dei mercati, ma addirittura le aumentino. La Germania ha un CCyb dello 0,75%, la Francia uno dell’1%

Il SyRB (systemic risk buffer) è invece una riserva più generale anti-crisi sistemica che però viene nettata ovviamente delle altre coperture regolamentari, CCyB compreso. In Francia è al 3% e in Germania al 2%.

Sembra dunque che l’Italia sulle banche sia meno prudente, in realtà non è così e lo vedremo. Bisogna però fare un passo indietro.

Banche, il capitale di vigilanza facile facile

In realtà non è poi così difficile, almeno fino a un certo livello, comprendere come vengono organizzati i requisiti di capitale delle banche. Ecco come funziona in parole semplici e anche uno schema che chiarisce tutto.

  •   I prestiti, ossia gli RWA

Prima bisogna capire che il capitale è un concetto relativo, sono euro sì, ma se una banca ha concesso prestiti per un miliardo o per un milione serve ovviamente un capitale di vigilanza diverso per schermarsi dal rischio e rispettare le norme in materia.

Per cui in realtà si parte sempre dalle attività ponderate per il rischio: è un numero, dell’ordine dei miliardi di euro per una banca anche media, che in pratica prende i prestiti, ossia le attività della banca e li pondera appunto per il rischio, perché è chiaro che un prestito per esempio collegato al credito al consumo non è la stessa cosa di un’ipoteca su una casa o di un finanziamento a una PMI. Insomma ci sono dei modelli più o meno standardizzati che permettono innanzitutto di capire quanto ha prestato una banca.

Partendo dall’RWA poi si capisce tutto il resto, nel senso che il capitale che la banca deve mettere da parte per bilanciare il pericolo che i finanziamenti non tornano è sempre espresso come una percentuale di questo RWA. Ecco come funziona.

  • CET 1

Inutile girarci attorno questo è il cuore del patrimonio di vigilanza di una banca. Si tratta del comprende tutto il capitale primario più “puro”, il capitale sociale versato, le riserve, gli utili non distribuiti e così via. Va da sé che questo capitale è il più sicuro, ma è anche il capitale dal quale si prendono i dividendi e quindi se aumentano i requisiti, per le cedole si potrebbero ridurre gli spazi. Tecnicamente il suo nome è Common Equity Tier 1 Capital, in sigla CET 1, si potrebbe tradurre semplicemente in capitale ordinario di primo livello, ma spesso viene usata la sigla.

Viene prelevato per i rapporti, ossia i ratio patrimoniali bancari, in due modi:

1)      C’è un Buffer di conservazione del capitale (CCoB – Capital Conservation Buffer) che “pesca” sempre dal CET 1 ed è pari al 2,5% dell’RWA, ossia prende dal capitale ordinario primario una quota di capitale pari al 2,5% delle attività ponderate per il rischio, se queste sono un miliardo, si prenderanno 25 milioni. Questa quota è formalmente separata dal primo e dal secondo livello di capitale richiesto nella struttura dei requisiti sulle banche.

2)      C’è un altro Common Equity Tier 1 (CET1) “proprio” che è pari al 4,5% degli RWA, anch’esso preso dal capitale primario più pregiato.

In totale quindi si arriva al 7% minimo di richiesta di capitale primario per le banche.

  • Tier 1

Questo livello, il primo livello appunto di capitale “primario” imposto dai requisiti di capitale delle banche è in realtà potenzialmente duplice.

1)      Il già visto Common Equity Tier 1 (CET1) “proprio” al 4,5% degli RWA preso dal capitale primario più pregiato.

2)      Il capitale primario addizionale, ossia l’Additional Tier 1 (AT1) dell’1,5% degli RWA. Si tratta di un capitale primario particolare, condizionale, che dà il nome a titoli di debito (obbligazioni) che in caso di pericolo si trasformano in capitale (bruciando l’investimento dei prestatori ovviamente). Un lungo dibattito ha proprio seguito il caso di Credit Suisse. Sono i famosi coco bond.

Il totale del capitale primario deve quindi essere pari ad almeno il 6% degli RWA.

  • Tier 2

Questo secondo livello del capitale, è appunto un capitale secondario, AT2 o Tier 2 e prevede un requisito del 2%

Complessivamente quindi i requisiti dei fondi propri, che comprendono Tier 1 e Tier 2 arrivano ad almeno l’8% degli RWA e poi bisogna aggiungere un altro 2,5% di Capital Conservation Buffer.

Fin qui tutto regolare dunque: si arriva a un 8% di RWA fra capitale T1 e T2 (e questi rientrano nei famosi requisiti di primo pilastro o Pillar 1, che comprendono anche altri vincoli), cui aggiungere il 2,5% di Capital Conservation Buffer, quindi a un totale del 10,5%

Ecco uno schema utile:

A questi cuscinetti vanno aggiunti poi i requisiti del secondo pilastro (Pillar 2) che in pratica vengono stabiliti anno dopo anno in Europa dopo uno stress test coordinato dall’Autorità bancaria europea (EBA) e integrato da un processo di valutazione condotto dal braccio della supervisione BCE, il famoso SREP (Supervisory Review and Evaluation Process).

Ne viene fuori la valutazione di ulteriori cuscinetti di capitale da applicare alle varie banche maggiori d’Europa.

Per esempio nel 2023 a MPS è stato richiesto un altro 2,75% degli RWA, a Intesa un altro 1,50% e a Unicredit un altro 2%

Oltretutto per le banche sistemiche (G-SII) sono previsti ulteriori riserve di capitale ed esiste anche un gruppo di altre importanti istituzioni sistemiche (O-SII) che prevede altri buffer ancora.

Subito dopo, in aggiunta ci possono essere i requisiti aggiuntivi CCyB e/o SyRB di cui sopra. Anche se attualmente non ci sono vincoli stringenti sulla materia in Italia, la maggior parte delle grosse banche in realtà ha già, almeno in parte, cuscinetti aggiuntivi di capitale di questo tipo.

Per esempio Unicredit al termine del 2023 Unicredit aveva un CET1 ratio del 15,9% complessivamente, ben al di sopra dei requisiti regolamentari che richiedevano il 13,95% composto da:

1)      Requisiti di Pillar 1= 8%

2)      Requisiti di Pillar 2=2%

3)      Requisito combinato di riserva di capitale=3,95%

Per un totale appunto del 13,95% superato abbondantemente dal 15,9% raggiunto.

Proprio nel Requisito combinato si inseriscono le altre voci che abbiamo visto su.

1)      Buffer di conservazione del capitale (CCoB)=2,5%

2)      Riserva per gli enti sistemici G-SII=1% (ma da quest’anno in quanto O-SII la Banca d’Italia ha alzato questa voce all’1,5%)

3)      Riserva di capitale anticiclica specifica per Unicredit (la nostra CCyB)=0,42%

4)      Riserva di capitale sistemica per Unicredit (la nostra SyRB)=0,03%

Quindi in realtà già molti dei numeri ipotizzati fanno capolino nei bilanci bancari.

Ma torniamo all’attualità. La Banca d’Italia ha messo nero su bianco l’obiettivo del raggiungimento graduale di un livello del SyRB all’1% per le banche italiane. Andrebbe raggiunto gradualmente, con uno 0,5% entro la fine di quest’anno e un altro 0,5% aggiunto entro il 30 giugno 2025.

Banche, i due requisiti allo studio quanto potrebbero pesare?

Per quanto simili CCyB e SyRB sono abbastanza diversi negli obiettivi e molto diversi nell’applicazione.

Il CCyB punta a coprire gli eventi di natura ciclica collegati alla dinamica del credito. Il CCyB entra in vigore in genere dopo 12 e può raggiungere al massimo il 2,5% degli RWA per il riconoscimento automatico degli altri Paesi UE. Procede per livelli dello 0,25% (25 punti base) e va valutato ogni tre mesi.

Il SyRB punta a coprire gli eventi strutturali oppure quelli ciclici non connessi alla dinamica del credito. Il SyRB può essere applicato solo con multipli dello 0,50% (50 punti base, da cui i due step ipotizzati di cui sopra) e solo fino al 3% degli RWA in autonomia, mentre oltre questo livello serve il via libera della Commissione UE. La revisione minima prevista è ogni due anni. Il SyRB è esclusivamente europeo, mentre il CCyB è riconosciuto da Basilea.

In definitiva per certi aspetti il SyRB potrebbe essere più elastico, almeno dal punto di vista della Banca d'Italia.

In pratica però queste misure cosa comporterebbero?

Gli analisti di Equita hanno fatto i primi conti e calcolato che in media il buffer di capitale delle banche fletterebbe di 77 punti base medi a circa 540 punti base, ossia richiederebbe riserve addizionali per circa 5 miliardi di euro: una cifra che dovrebbe salvare le politiche distributive attuali delle banche, ossia buyback e dividendi programmati o annunciati.

In particolare per Unicredit ci sarebbe un impatto di 40 punti base di capital buffer solo sulle esposizioni domestiche (il 45% degli RWA), mentre Intesa Sanpaolo vedrebbe il cuscinetto di capitale ulteriore rispetto ai requisiti richiesti ridursi da 390 a 313 punti base di RWA, comunque abbastanza solido da contenere ampiamente il buyback atteso da giugno pari a 55 punti base.

Proprio ieri sera la stessa Intesa ha confermato un buyback in partenza da giugno e pari a 1,7 miliardi di euro.

Fin qui tutto bene, si direbbe.