Pasta, dazi USA del 107%, i prezzi potrebbero salire anche qui

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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Accuse di dumping a Garofalo e La Molisana negli States, intervengono anche Lollobrigida e Tajani, i rischi coinvolgono filiere complesse e miliardi di euro di fatturato. Ecco i numeri

Pasta, dazi USA del 107%, i prezzi potrebbero salire anche qui
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Allarme dazi. Washington potrebbe imporre dazi aggiuntivi del 91,74% anche sulla pasta, portando quindi i balzelli complessivi chiesti a questo prodotto simbolo del made in Italia al 107%

Il punto di partenza sarebbe in teoria quel 15% dell’accordo ‘definitivo’ dello scorso 21 agosto, adesso però, come in parte già successo con i nuovi dazi Usa su farmaci e camion, si teme che Trump faccia marcia indietro su un’altra categoria chiave dell’industria europea e in particolare italiana.

Tutto parte da un’area molto diversa della macchina pubblica Usa (peraltro inceppata dallo shutdown). Alla base della nuova pericolosa evoluzione commerciale una causa per dumping intentata presso il dipartimento del Commercio da alcuni gruppi (anche collegati ad imprese italiane che producono in loco) che avrebbero contestato fenomeni di dumping sui prezzi della pasta prodotta in Italia e venduta negli States.

Sono finite sotto accusa Garofalo e La Molisana, ma la relazione del Dipartimento USA nomina anche Agritalia, Aldino, Antiche Tradizioni Di Gragnano, Barilla, Gruppo Milo, Pastificio Artigiano Cav. Giuseppe Cocco, Pastificio Chiavenna, Pastificio Liguori, Pastificio Della Forma, Pastificio Sgambaro, Pastificio Tamma e Rummo

In gioco c’è un’export da 671 milioni di euro nel 2024 e il secondo mercato estero della pasta made in Italy dopo la Germania.

A Gragnano, la città della Pasta 2025 in provincia di Napoli dove ha sede il principale stabilimento di Garofalo, o a Campobasso, dove ha sede la Molisana, non si festeggia. Giuseppe Ferro, amministratore delegato della Molisana si dice anche pronto ad aprire stabilimenti negli States, ma definisce le accuse di dumping infondate.

Pasta, dazi Usa: intervengono anche il ministero dell'Agricoltura e degli Esteri

Di certo il tema è caldo dal punto di vista simbolico e politico, tanto che già sabato sul tema sono intervenuti il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e la Farnesina guidata da Antonio Tajani e non è detto che gli effetti non siano potenzialmente pesanti anche per gli italiani.

Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini rivendica: “Così come chiediamo il giusto prezzo per il grano italiano, riteniamo sia fondamentale garantire un giusto valore per la pasta. Le accuse di dumping americane sono inaccettabili e strumentali al piano di Trump di spostare le produzioni negli Stati Uniti”. Coldiretti parla addirittura di potenziale “colpo mortale” per la pasta italiana.

Assoutenti afferma che eventuali dazi statunitensi potrebbero causare anche un rincaro della pasta in Italia.

Pasta, i numeri in Italia

L’anno scorso l’Italia ha prodotto più di 4 milioni di tonnellate di pasta (+5%, 4.168.146 tonnellate per Unione Italiana Food) e ne ha esportati oltre 2,42 milioni di tonnellate (+9,1%) all’estero per un fatturato complessivo di questo export da 4 miliardi di euro.

La filiera nazionalissima della pasta, denunciava appena venerdì scorso la stessa Coldiretti, ha già diverse gravi criticità in patria, a partire dai prezzi: la produzione di un quintale di grando duro ha un costo per gli agricoltori che oscilla dai 31,8 euro del Sud ai 30,3 euro del centronord, ma poi quel quintale viene venduto di fatto in perdita ad appena 28 euro a quintale.

La base di dati nasce dalle tabelle dell’autorevole Ismea, l’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare che cerca di garantire la trasparenza dei prezzi sui mercati italiani, ma Coldiretti non esita a denunciare speculazioni e manovre dei trafficanti di grano che avrebbero contribuito a un crollo del prezzo negli ultimi quattro anni tra il 35% e il 40% con un rischio che potrebbe allargarsi alle prossime semine.

Sono lontani i prezzi record della crisi del 2022, quando si toccò un costo di 470,7 euro a tonnellata per il gran tenero, ma forse il deprezzamento è andato troppo oltre.

La materia è complessa e delicata, basti pensare al peso di produttori stranieri come Canada, Grecia e Turchia dai quali abbiamo importato più di 1,7 milioni di tonnellate di grano duro nella campagna 2024/2025, a fronte di una produzione nazionale stimata nei 4,2 milioni di tonnellate per il grano duro e di 2,6 milioni di tonnellate per il grano tenero.

Il panorama regionale e di filiera è estremamente differenziato e anche i mercati di sbocco hanno spesso caratteristiche molto diverse da quelle del Bel Paese, basti pensare che ai 23,1 chilogrammi di pasta consumati dall’italiano medio ogni anno, ne corrispondono 8,8 chilogrammi negli Stati Uniti.

Al punto che anche i linguaggi delle piazze del grano (duro e tenero) italiane, in euro per tonnellata, sono diversi da quelli di un mercato globale del grano in sterline per 100 tonnellate o in dollari per 5 mila bushell (circa 136 tonnellate).

In queste ore l’eco della nuova minaccia commerciale statunitense sui mercati è quindi disturbata dalla molteplicità di mercati e filiere coinvolti. Il future sul grano di Chicago ($/5.000 bushel) con scadenza a novembre 2025 segna un rialzo dello 0,49% a 517,6 centesimi.

I cereali italiani, che però sono settimanali per l’Ismea, trattano a 259,86 euro a tonnellate il 4 ottobre scorso per il grano duro e a 227,71 euro per tonnellata per il grano tenero alla stessa data.

Un po’ stranamente di titoli agricoli o alimentari a Piazza Affari se ne vedono pochi.

Andiamo un po’ a memoria: Newprinces, colosso sempre più europeo della distribuzione e della trasformazione alimentare (anche di pasta), segna un calo a Piazza Affari in questo momento dell’1,78% a 22,1 euro.

BF, la ex Bonifiche Ferraresi, che è un grande produttore agricolo nazionale segna un calo dello 0,94 per cento. È un settore del tutto diverso quello del vino e degli alcolici, invece ben presente a Piazza Affari con titoli come Compari, Masi Agricola, IWB, Compagnia dei Caraibi. Ha più senso forse guardare colossi del trading di materie prime agricole come la statunitense Archer-Daniels-Midland molto presente anche in Italia e in queste ore in rialzo del 2,05% a Wall Street a 62,29 dollari.

E’ complicato insomma a volte seguire anche quello che ci passa sotto il naso a Piazza Affari, ma di certo il tema dei dazi USA sulla pasta tornerà presto sulle pagine della cronaca anche finanziaria.