Chi paga davvero le tasse in Italia? Il peso del welfare grava su una minoranza di contribuenti

di Alessandro Magagnoli pubblicato:
5 min

Il ceto medio come spina dorsale del Paese: “Serve un cambio di paradigma, non più bonus ma equità fiscale”

Chi paga davvero le tasse in Italia? Il peso del welfare grava su una minoranza di contribuenti

Dalla dodicesima edizione dell’Osservatorio Itinerari Previdenziali emerge un’Italia dove meno del 30% sostiene oltre tre quarti dell’Irpef


Ma chi paga davvero le tasse in Italia?

Con una pressione fiscale al 42,5% del PIL nel 2024, lo Stato ha incassato oltre 1.000 miliardi di euro. Ma chi paga davvero le tasse in Italia?

Secondo i dati elaborati dal Centro Studi Confindustria e dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, la risposta è chiara: il carico fiscale grava quasi interamente su una minoranza di contribuenti, mentre più di 25 milioni di italiani non versano nemmeno un euro di Irpef.

Nel 2023 il 43,15% degli italiani non ha redditi, e quindi vive a carico della collettività. Su 58,9 milioni di cittadini residenti, solo 33,5 milioni hanno versato almeno un euro di Irpef. Tra questi, circa 11,6 milioni di contribuenti si fanno carico da soli di oltre il 76% dell’imposta totale, mentre gli altri 31 milioni pagano il restante 23%.

Come ha sintetizzato Stefano Cuzzilla, presidente della Cida, “il problema non è che tutti paghino troppo, ma che pochi paghino per tutti. È come in una squadra di calcio: se solo tre giocatori corrono e gli altri otto guardano, non si vince nessuna partita”.


La legge di bilancio come banco di prova

Oggi il vero banco di prova è la legge di bilancio – ha dichiarato Cuzzilla in occasione della presentazione della dodicesima edizione dell’Osservatorio sulle entrate fiscali – quella stessa manovra che, come ha detto la premier Meloni, intende concentrarsi sul ceto medio. Non ci aspettiamo miracoli, sappiamo che le risorse sono poche. Ma è proprio nei momenti di scarsità che si misura il coraggio della politica”.

Il presidente della Cida ha invocato un “cambio di paradigma”: “Bisogna smettere di disperdere energie in bonus effimeri e iniziare a costruire scelte di lungo respiro. Se il ceto medio è davvero al centro, allora bisogna crederci fino in fondo.

Perché non stiamo parlando di una parte qualsiasi della società, ma della spina dorsale del Paese: donne e uomini che hanno sempre fatto la loro parte, che non si sono mai tirati indietro e che oggi sono pronti a dare forza a una nuova stagione. A condizione che la politica decida finalmente di investire su di loro”.

E ha aggiunto: “Il futuro dell’Italia si gioca qui: nella fiducia restituita al ceto medio, nelle opportunità offerte ai giovani, in un fisco che non sia più una ferita, ma un patto di equità e fiducia. Solo così il fisco potrà diventare ciò che deve essere: l’alleato della crescita e della coesione sociale”.


I numeri dell’Osservatorio: un Paese sbilanciato

L’Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate fiscali, curato da Itinerari Previdenziali e presentato alla Camera dei Deputati, ha messo in luce la profonda asimmetria del sistema fiscale italiano.
Su 42,6 milioni di dichiaranti, il 72,59% dichiara redditi fino a 29 mila euro e versa solo il 23,13% dell’Irpef, una cifra che non basta nemmeno a coprire le spese pubbliche per sanità, istruzione e assistenza sociale.

Le fasce più basse – fino a 15 mila euro di reddito – rappresentano quasi 15 milioni di contribuenti che pagano in media meno di 300 euro di Irpef all’anno, mentre la spesa sanitaria pro capite supera i 2.200 euro.

Di contro, meno di un terzo dei contribuenti sostiene oltre tre quarti del gettito Irpef. È questo 27,4% di cittadini a reggere l’intero sistema di welfare.

Come sottolinea Alberto Brambilla, presidente del Centro studi Itinerari Previdenziali, “il 43% degli italiani vive senza reddito o con redditi troppo bassi per contribuire al sistema. È difficile credere che quasi la metà del Paese viva con meno di 10.000 euro l’anno. Il problema non è che l’Italia sia un Paese povero, ma che la ricchezza non venga dichiarata. E questo è il segno dell’enorme peso dell’economia sommersa”.


Un welfare squilibrato e sempre più costoso

Il 2023 ha richiesto oltre 300 miliardi di euro per finanziare sanità, assistenza e welfare locale: 131 miliardi per la sanità, 164 miliardi per l’assistenza sociale e 13,4 miliardi per gli enti locali.
Negli ultimi 16 anni, i redditi dichiarati sono cresciuti del 28%, mentre la spesa per il welfare è aumentata del 45%, erodendo le risorse disponibili per infrastrutture e investimenti produttivi.

“Da troppo tempo – osserva Brambilla – lo Stato si basa sul binomio ‘meno dichiari, più avrai’. Un sistema che in assenza di controlli incentiva evasione e lavoro nero, e che finisce per penalizzare proprio chi paga regolarmente”.

Cuzzilla è netto: “Chi guadagna sopra i 60 mila euro finisce per pagare per due: per sé e per chi resta a carico della collettività. È la trappola del ceto medio: molti ricevono senza dare, pochi danno senza ricevere. E sono questi pochi a tenere in piedi l’intero welfare italiano”.


Conclusione: il coraggio della politica

L’Italia non è dunque un Paese oppresso dalle tasse in senso generale, ma un Paese dove una minoranza paga per tutti. La sfida della prossima legge di bilancio sarà quella di ricostruire un equilibrio, riducendo le disuguaglianze e ampliando la base imponibile.

“Serve coraggio – ha concluso Cuzzilla –. Meno assistenzialismo, più equità. Solo così il fisco potrà tornare a essere non un nemico, ma un alleato dello sviluppo e della fiducia sociale”.