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Petrolio, è ancora la Cina che decide il prezzo

di Giovanni Digiacomopubblicato:

Segnali di distensione nella Repubblica Popolare incoraggiano i corsi del greggio. La domanda vince ancora su tutto. Un contributo anche dall’ennesima perdita di greggio negli Stati Uniti, dove però le riparazioni del Keystone Pipeline procedono

Petrolio, è ancora la Cina che decide il prezzo

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C’è probabilmente la Cina dietro i recuperi di oggi del petrolio nei mercati internazionali. Oggi il greggio nei mercati internazionali guadagna. Il future sul Brent segna un +1,22% sull’Ice e si riporta a 78,94 dollari al barile. Il future sul WTI recupera i 73,85 dollari al barile con un vantaggio di 0,929 punti percentuali sul riferimento.

Per entrambi i blend si tratta di un parziale recupero dopo i recenti cali e ancora le performance a un mese indicano un -16% circa per entrambi i blend.

Petrolio, segnali positivi dalla Cina

È comunque l’alleggerimento di alcune misure di contenimento anti-Covid nella Repubblica Popolare che suggerisce un ritorno della domanda nel maggiore importatore mondiale di petrolio.

A inizio settimana l’inviato di Beijing negli Stati Uniti ha annunciato che probabilmente alcune misure anti-pandemiche cinesi saranno a breve contenute e che i viaggi internazionali potrebbero diventare più semplici. Sono segnali importanti per il mercato.

La domanda infatti vince su tutto: sulle incertezze di una settimana finanziaria rovente, tra inflazione Usa, Fed, Bce, Boe; sul bando europeo del petrolio russo che è stato seguito da una serie di cali dei prezzi che ha spiazzato diversi osservatori. 

C’è senza dubbio di mezzo quel tetto del G7 a 60 dollari al barile per il trasporto internazionale del petrolio di Mosca: con il petrolio russo per eccellenza, l’Urals, sotto i 55 dollari al barile più che un “fermi tutti”, è un “andate piano”.

E si capisce anche perché. Basta guardare il peso del costo dell’energia nell’inflazione europea, per comprendere che l’ultima cosa che si vuole nel Vecchio Continente è una fiammata dei prezzi del greggio.

Bruxelles dice insomma, siamo con Kiev e contro la guerra di Putin, le nuove misure sono una sanzione vera che taglierà di molto i finanziamenti petroliferi all’esercito russo, ma il costo che possiamo e vogliamo pagare per questo contrasto ha dei limiti.

Alla fine però sui prezzi del greggio comanda la domanda. 

Petrolio: le perdite del Keystone Pipeline

Si ci mette di mezzo anche qualche fattore temporaneo, come spesso avviene per il petrolio. C’è questo super-oleodotto, il Keystone Pipeline della TC Energy Corp che ha perso circa 14 mila barili di greggio in Kansas. È la perdita peggiore degli ultimi 10 anni ed è anche uno shock sul fronte delle forniture, perché quell’oleodotto trasporta 620 mila barili di greggio al giorno in arrivo dal Canada negli Stati Uniti.

Blocchi su un’arteria del genere mettono in crisi le raffinerie e si riflettono sulle quotazioni del petrolio anche a livello internazionale. La perdita e i danni ambientali si sono visti su una linea precedente a quella nuova del Keystone XL che tanto ha fatto discutere gli Stati Uniti (il no di Obama, il sì di Trump, le promesse di migliaia di posti di lavoro, il dibattito della società civile, etc.), ma che ci sia un problema di sicurezza su questo fronte è sempre più chiaro negli States.

Petrolio: dal dollaro all’Opec e ai consumi USA

C’è poi il dollaro. Il future sul Dollar Index in queste ore cede lo 0,19% e, come noto, tendenzialmente biglietto verde e oro nero viaggiano in direzione opposta.

Ci sono infine le tensioni dell’Opec e dell’Opec+ che hanno ribadito la linea sui tagli della produzione irritando non poco Washington. Biden e l’IEA li hanno accusati di fiancheggiare la Russia mettendo a rischio l’economia mondiale.

Di certo è in atto una trasformazione delle rotte globali del greggio e la Russia inizia a concorrere con il Medioriente per la fornitura dei ricchi mercati di India e Cina.

Negli Stati Uniti poi i consumi sono già sotto attacco, per via dell’inflazione, per via della recessione intravista e ampiamente commentata dagli economisti. 

La variabile che conta è insomma ancora una volta la domanda, sia quella cinese, che quella statunitense. Oggi i dati sull’inflazione Usa e quelli sulla variazione delle scorte settimanali di petrolio conteggiate dall’API negli Stati Uniti aggiungeranno altri due pezzi al puzzle.

Ma che la trama sia basata sulla domanda è ormai incontestabile.

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