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PNRR: ancora rinvii, a che punto siamo davvero?

di Giovanni Digiacomopubblicato:

Se si continua così la spesa dei fondi PNRR crollerà dell'80% quest'anno. Certo manca il Superbonus (ed è anche giusto), ma i numeri sono prepotenti e impietosi e il caso degli asili nido è drammaticamente esemplare

PNRR: ancora rinvii, a che punto siamo davvero?

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Il ginepraio del PNRR si trasforma, come spesso succede in Italia, in questione grave, ma non seria. D’altronde questa inattesa scialuppa di salvataggio miliardaria lanciata all’Italia è dannatamente complicata e oggettivamente serve una revisione per il balzo dell’inflazione e la guerra in Ucraina che hanno reso spesso inapplicabili i parametri decisi prima.

I numeri della Corte che non piacciono al governo

Ma qualche numero aiuta. A fine dicembre 2022 l’Italia ha speso per il PNRR 24,5 miliardi di euro. 1,58 miliardi nel 2020, 5,67 miliardi nel 2021 e 17,27 miliardi nel 2022.

C’è stato quindi l’anno scorso un exploit della spesa, anche se poi guardando tra i numeri si scopre che è stato in gran parte dovuto ai vari Ecobonus e Sismabonus dell’edilizia sui quali il governo ha posto un freno visto la montagna delle detrazioni ha già superato gli 80 miliardi a fine marzo ed è ancora cresciuta a oltre 74,6 miliardi ammessi a detrazione a fine aprile. Numeri che quindi fanno impallidire il PNRR, ma che oggettivamente hanno aiutato molto la ripresa del Pil italiano.

Ma torniamo al PNRR, a fine 2022 quindi 24,5 miliardi, di cui 17,27 miliardi nell’ultimo anno. Significava uno stato di avanzamento su tutto il PNRR dei sette anni del 12,8%, non male. La composizione della spesa era al 45% dell’Ecobonus-Sismabonus (7 mld), al 37% per crediti d’imposta Transizione 4.0, al 5% per il Fondo per l’internazionalizzazione di Simest (534 mln circa).

Fra l’altro si tratta di una spesa sbilanciata fra i territori: gli importantissimi crediti d’imposta per la transizione 4.0 sono andati tra 2020 e 2021 a imprese del Nord Italia soltanto al 63% per i beni materiali e al 67% per i beni immateriali. Sul fronte del Superbonus poi il 50,68% delle spese ammesse in detrazione è concentrato nel Nord Italia.

Nei primi mesi del 2023, esattamente fino al 4 maggio 2023, quindi i primi quattro mesi interi: la spesa si ferma a 1,15 miliardi di euro. A questa velocità a fine anno arriverebbe a 3,46 miliardi di euro quindi c’è stata una frenata importante. Molto importante, circa 13,8 miliardi in meno, ossia quasi l’80% in meno di spesa PNRR rispetto all’anno scorso. Molto di più del peso dei bonus edilizi.

Se anche Ignazio Visco dice di accelerare… non parliamo certo di un comunista, ricordiamo sommessamente in questi giorni di congratulazioni rituali che, nonostante l’ultimo ottimo discorso, Visco ha permesso, senza toccare palla, al capitale bancario di farsi e disfarsi ai danni dei piccoli investitori ed è stato salvato da una commissione bancaria che ha assolto al tipico ruolo che tutti le attribuivano già prima, secondo il costume italico: l’inconcludenza. Andatelo a dire agli azionisti di Banca Etruria o di una qualunque delle banche vendute a 1 euro se Banca d’Italia ha fatto il suo dovere… Ma questo è altro tema, perché che bisogna riaccelerare sul PNRR – come detto – è nei numeri.

Sicuramente il venir meno dell’Ecobonus, su cui invero anche il precedente governo Draghi è stato molto critico, ha inciso non poco, ma è chiaro che bisogna fare di più.

PNRR, i conti non tornerebbero neanche senza la Corte

Tutti questi numeri sono stati presi dalla relazione della Corte dei Conti di pochi giorni fa. Ora il governo si avvia a bloccare o mutilare questo monitoraggio, che poi è nella natura dell’Organo supremo di controllo dei bilanci pubblici, per affidarlo all’Unione Europea. Legittimo, ma forse un’altra discutibile fonte di rallentamento dopo gli altrettanto legittimi cambiamenti nella governance.

La richiesta di modifiche nel piano, dopo i rincari seguiti e paralleli alla guerra in Ucraina rende necessaria una rimodulazione di tutto. In media sono cresciuti del 10% i costi degli appalti del PNRR, quindi bisogna rifare i calcoli e le stime se si vogliono realizzare. Basti ricordare che per l’aumento dei vari costi delle materie prime e per la garanzia degli appalti che quindi si erano rincarati la legge di Bilancio ha aumentato la dotazione del Fondo per l'avvio di opere indifferibili di 500 milioni di euro per il 2023, di 1 miliardo per il 2024, di 2 miliardi di euro per l'anno 2025, di 3 miliardi di euro per l'anno 2026 e di 3,5 miliardi per l'anno 2027. Date le stime di inflazione ai massimi l’anno scorso e in calo nei prossimi mesi e anni, secondo la le stessa Bce, non si giustificava questa dotazione crescente e invece che decrescente, se non con esigenze di risparmio. Ma il governo e la ragioneria dello Stato sono tornati sull'argomento con nuovi finanziamenti per sbloccare i lavori e con un'assegnazione importante per il primo semestre 2023: 1,6 miliardi per il PNRR, 490 milioni per gli interventi PNC e 230 milioni per quelli dei commissari straordinari.

Lo scenario cambia di continuo insomma Insomma è più che giusto che il governo parli con Bruxelles su un piano che è da rivedere, tanto più per noi italiani che ne siamo i più grandi beneficiari, ma arrivare alla fine di agosto per dire cosa vogliamo fare di 191,5 miliardi che l’Unione Europea ci garantisce e in parte presta a tassi bassi è sconcertante.

Come dire che la digitalizzazione e la transizione green in Italia servono sì, ma non sappiamo come farle e dopo un semestre che non è partito si spera dalla tabula rasa abbiamo ancora da capire cosa fare e come.

Come se poi non fosse il piano finanziario ed economico più controllato della storia d’Italia e censurare la Corte dei Conti bastasse… A caso citiamo l’Osservatorio PNRR del Sole 24 Ore, Openpolis, l’OReP – Osservatorio sul Recovery Plan di Tor Vergata, l’Osservatorio Civico PNRR di Actionaid, CittadinanzAttiva, Legambiente e Slow Food Italia, l’Osservatorio sui conti pubblici della Cattolica e potremmo continuare per molto tempo ancora, ma faremmo comunque torto ad altri analisti. Insomma le fonti di informazione e analisi non mancano, ma nessuna è probabilmente autorevole e istituzionale come quella della Corte dei Conti di cui ci priviamo adesso.

Ma davvero in un’Italia con un gap infrastrutturale mostruoso, con un dissesto idrogeologico pazzesco e secolare, con una denatalità agghiacciante, con carenze sulla sanità e la formazione, sull’approvvigionamento energetico green e non, sulla qualità dell’aria, sul digitale, sulle telecomunicazioni e su tutte le tecnologie del presente non sappiamo come spendere questi miliardi?

PNRR e asili nido

Annaspiamo pure sugli asili nido, che poi di questo governo dovrebbero essere una bandiera, va bene che con le migliaia di comuni italiani in difficoltà poi si fa fatica a fare tutto e subito, però si sapeva. Si sapeva. Però di fatto abbiamo per l’intero PNRR 4,6 miliardi di euro per queste strutture essenziali per l’Italia, dovremmo costruirci 1.857 nuovi asili e 333 scuole materne. La scadenza per l’assegnazione dei primi lavori era il 30 giugno, ma ora Fitto ha detto che bisogna posticipare per farli davvero. Troppi comuni, molti incapaci di fare e attuare i bandi e i lavori… come se non fosse noto da tempo che era un problema sul tavolo di tutto il PNRR.

Ora quello degli asili nido può parere un problema particolare, piccolo tutto sommato, ma in realtà, come ha giustamente evidenziato ieri Visco il problema cardine italiano da molti anni è la produttività e il lavoro dei giovani, denatalità e la necessità di formazione. Si potrebbero aggiungere i bassi livelli di impiego femminile e famosi gap di genere che affliggono l’Italia ancora in quest’epoca. Sicuramente tutti problemi che, a partire dagli asili nido e dalle scuole materne, comincerebbero a trovare se non un freno, almeno un argine. Con un piano di lungo periodo per una volta.

Forse per disegnare questo nuovo sperato futuro green e digitale bisognerebbe per una volta partire dal principio. Forse le risorse del PNRR, peraltro insufficienti in questo campo, come ha evidenziato la fondazione Svimez, andrebbero davvero verso quella direzione della nuova generazione che dà il nome al Next Generation EU, ossia al programma di cui il PNRR è solo un’articolazione.

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