Novo Nordisk, il dollaro debole rovina le stime
pubblicato:Ieri un altro crollo del titolo a Copenhagen con il taglio delle stime attribuito al cambio della corona danese col biglietto verde. A poco è servito un semestre brillante e l'insediamento del nuovo CEO. Intanto incombe il nuovo assetto dei rapporti commerciali USA-UE mentre il dossier Novo Nordisk coinvolge molto da vicino anche l'Italia

Gli artigli dei venditori non si calmano su Novo Nordisk, il colosso farmaceutico danese che era diventato la prima società europea per capitalizzazione con i suoi farmaci contro l’obesità presi dalle terapie per il diabete.
Ieri un’altra brutta seduta ha sanzionato un nuovo taglio delle stime di crescita del gruppo e la società ha perso a Copenhagen (un altro listino della famiglia del Nasdaq) il 23% del proprio valore di Borsa, nonostante l’annuncio della nomina del nuovo amministratore delegato.
Novo Nordisk, il colosso danese ha annunciato investimenti miliardari in Italia
Le vicende del gruppo riguardano da vicino anche l’Italia perché questo colosso farmaceutico che produce circa la metà di tutta l’insulina mondiale ha di recente confermato un forte impegno in Italia, dove ha annunciato un investimento da oltre 2 miliardi di euro tra il 2025 e il 2029 ad Anagni.
Nella città del Frusinate il gruppo internazionale intende ampliare lo stabilimento acquisito l’anno scorso con la conquista e il delisting della società statunitense Catalent per 16,5 miliardi di dollari.
Il programma di investimenti in Italia prevede proprio la produzione di farmaci contro il diabete e l’obesità e dovrebbe fare del sito italiano uno dei tre hub tecnologici e produttivi del gruppo danese insieme a quelli di Bloomington negli Stati Uniti e di Bruxelles.
Per il progetto il governo ha nominato commissario straordinario il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca.
Novo Nordisk, il dollaro debole taglia le stime 2025
Ancora stamane il titolo comunque, a Copenhagen, Novo Nordisk segna un pesante calo del 3,22% a 339 corone svedesi, circa 30,07 euro (ma va detto che il titolo ha anche vivaci scambi in dollari). Su questi livelli il titolo ha perso più di due terzi del proprio valore dai massimi dello scorso giugno 2024, il 68% circa in poco più di un anno insomma.
Va subito detto che la società è andata e continua ad andare benissimo; semplicemente non riesce a mantenere i ritmi di crescita vorticosi del passato e attesi dagli analisti.
Nella prima metà di quest’anno il gruppo ha aumentato del 18% le vendite a circa 157,4 miliardi di corone e nel secondo trimestre del 2025 ha mantenuto un incremento del 18% del giro d’affari a circa 80,3 miliardi di corone e ha battuto il consensus raccolto da S&P Global a 76,58 miliardi di corone. Va però detto che le vendite del semestre si sono avvantaggiate di una correzione contabile da circa 3 miliardi di corone nel secondo trimestre.
L’utile operativo è balzato del 29% a 74,53 DKK mld nel semestre, nel secondo trimestre del 2025 è cresciuto del 40% a 35,3 miliardi di corone circa. L’utile operativo si è avvantaggiato dell’impairment (svalutazione/rivalutazione) di ocedurenone parzialmente bilanciata dagli impatti dell’acquisizione dei tre siti produttivi citati di Catalent. Alla fine i 6 mesi si chiudono con un utile per azione di 12,49 corone e i tre mesi al 30 giugno con un utile per azione diluito di 5,96 corone (a 6,05 corone il consensus raccolto da S&P Global).
Quello che però maggiormente ha colpito il mercato è stato la revisione al ribasso delle stime di crescita sul 2025. Adesso il gruppo si aspetta un incremento delle vendite tra l’8 e il 14% contro il range 13-21% previsto appena lo scorso maggio. In calo anche le stime sulla crescita dell’utile operativo che nel 2025 dovrebbe attestarsi tra il 10% e il 16% contro la forchetta tra 16 e 24% prevista appena lo scorso maggio.
A confronto con i tassi di crescita appena visti nella prima metà dell’anno balza all’occhio l’attesa di un brusco rallentamento: su questi numeri le vendite dovrebbero porsi a 322 miliardi di corone (a 323 mld il consensus S&P Global) e l’utile operativo dovrebbe raggiungere i 145 miliardi di corone.
C’è di mezzo proprio il terremo Trump o meglio il forte deprezzamento del dollaro rispetto alla corona danese degli ultimi mesi, infatti il gruppo Novo Nordisk attribuisce direttamente al calo del rapporto di cambio USD/DKK il taglio delle previsioni. Da gennaio a oggi il cambio dollaro/corona svedese oggi a 6,46 ha perso circa il 12%
Novo Nordisk, strada in salita per il nuovo CEO Doustdar e urgono chiarimenti sul fronte commerciale USA-UE
La strada si presenta quindi in salita anche per il nuovo amministratore delegato Mike Doustdar che proprio ieri è stato nominato vicepresidente esecutivo e CEO di Novo Nordisk al posto dell’ex manager Lars Jorgenson che di recente ha dovuto lasciare l’incarico sotto la pressione dei forti ribassi del titolo Novo Nordisk in Borsa.
Doustdar si presenta al mercato con i forti risultati alla guida della divisione internazionale di Novo Nordisk che l’anno scorso ha raddoppiato le vendite raggiungendo i 112 milioni di corone. Altri cambiamenti organizzativi hanno coinvolto la società a partire dalla fusione dell’area Research & Early Development con la divisione Development in una nuova unit di ricerca e svilupppo (R&D) guidata da Martin Holst Lange, un altro membro del comitato esecutivo.
C’è comunque da considerare che l’accordo sui dazi tra Stati Uniti ed Unione Europea rappresenta un’altra spada di Damocle per l’industria farmaceutica e per Novo Nordisk.
Il comunicato di chiarimento di ieri della Commissione Europea ha specificato ieri che il tetto massimo dei dazi USA al 15% si applicherà anche potenziali nuovi dazi sui farmaceutici, che poi sono uno dei beni più discussi nelle trattative che, come noto, sono ancora in via di definizione e chiarimento.
In particolare sia il settore dei farmaci, che quello dei semiconduttori sono sotto indagine a sensi dell’art. 232 da parte del Dipartimento del Commercio USA che deve quindi vagliare se non minaccino nell’attuale assetto la sicurezza nazionale statunitense.
La Commissione UE con l’intesa sul 15% massimo ha voluto porre un tetto a eventuali future pretese e, come per il resto, restituire certezza ai mercati. Non sono però mancate le polemiche dall’industria che teme comunque un certo impatto anche da questo livello dei dazi.
L’associazione europea dei colossi farmaceutici EFPIA ancora il 28 luglio ha affermato che l’esito dei nuovi accordi commerciali è incerto e paventato il rischio di impatti sulla supply chain e sulla ricerca.
Il Guardian riportando la notizia ha ricordato che appena lo scorso marzo Trump aveva condannato il dumping fiscale dell’Irlanda che aveva contribuito a “rubare” agli Stati Uniti colossi come Pfizer, Boston Scientific ed Eli Lilly che si sono in passato trasferiti in Irlanda per pagare meno tasse.
La questione è insomma caldissima, uno dei temi di attrito maggiori nel difficile confronto tra Washington e Bruxelles. Sicuramente i suoi esiti influenzeranno anche il futuro di Novo Nordisk.