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Aumento di capitale Saipem: "Should I stay or should I go?"

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
8 min

Pro e contro del rafforzamento garantito da 2 miliardi, l’iperdiluizione del titolo è inevitabile con azioni a 1,013 euro ciascuna. L’alternativa è la sottoscrizione, ma è una mediazione al ribasso che implica fiducia nel nuovo corso

Aumento di capitale Saipem: "Should I stay or should I go?"

Saipem ha messo finalmente nero su bianco le condizioni dell’aumento di capitale da 2 miliardi di euro che dovrebbe trarla fuori dalle pastoie in cui si è impanata da anni.

Breve riassunto delle puntate precedenti: tre profit warning in 10 anni, titolo sui minimi anni Novanta (ma i grafici dopo accorpamenti e sbalzi non sono del tutto significativi), la decisione di salvare l’ex gioiellino dei servizi all’industria petrolifera diventato in Borsa poco meno di un bijoux.
Così si è deciso di ripulire con qualche cessione e di ripatrimonializzare.

Saipem ha subito precisato che l’aumento di capitale è garantito: BNP PARIBAS, Citigroup, Deutsche Bank, HSBC, Intesa e UniCredit (joint global coordinator) e ABN AMRO, Banco BPM, Banco Santander, Barclays, BPER, Goldman Sachs, Société Générale e Stifel (joint bookrunner) si sono impegnati tutti a sottoscrivere l’eventuale inoptato fino a € 1.119,5 milioni. Il resto è il valore delle Nuove Azioni Saipem Classification - General Use oggetto dell’impegno di sottoscrizione di Eni e CDP Industria, i due soci di riferimento con il 30,5 e il 12,5% circa rispettivamente.

Già il 31 marzo scorso Eni e CDP Industria hanno versato 646 milioni di euro in conto futuro aumento di capitale, promuovendo quindi un concreto riequilibrio patrimoniale. Il debito fletteva a 1,25 miliardi di euro e il patrimonio sfiorava i 700 milioni di patrimonio, dopo essersi ridotto a 326 milioni con le perdite 2021 a 326 milioni.

Il 13 giugno si è proceduto così al raggruppamento azionario 10 a 1 che ha preparato la strada per questo annunciato aumento di capitale garantito.

Saipem: aumento di capitale, il dubbio dell’azionista

Per l’azionista di Saipem sopravvissuto alle ultime buriane ora si pone un problema che ricorda una famosa canzone dei Clash: “Tesoro, devi farmi sapere dovrei restare o andare?” (Should I stay or should I go?).

Chi abbia una sola azione di Saipem che ancora ieri sera valeva 32,97 euro vedrà il prezzo crollare e una iperdiluizione è inevitabile. Puntare nuove risorse sul gruppo potrebbe regalare opportunità di recupero. In pratica ci sarebbe una mediazione al ribasso con riduzione consistente del prezzo di carico medio, ma si rischiano anche nuove perdite. Procediamo per gradi.

Al prezzo di ieri (22 giugno 2022) Saipem valeva in Borsa per intero circa 700 milioni di euro, ogni azione valeva poco meno di 33 euro dopo i raggruppamenti e nonostante i crolli continui degli ultimi 10 anni (chi avesse avuto un’azione nel settembre 2012 avrebbe oggi perso più del 98%).

Ora sul gruppo stanno per arrivare altri 2 miliardi di euro, quasi tre volte la capitalizzazione di oggi, ma a condizioni veramente impegnative per i soci attuali.

A ogni azione sarà concesso il diritto di sottoscriverne altre 95 a un prezzo di 1,013 euro ciascuna. Una proposta pesante. Lo sconto sul TERP, il prezzo teorico ex diritto che si calcola in questi casi, è del 30% secondo i calcoli di Saipem.

Sicuramente chi ha già le azioni in portafoglio rischia una diluizione importante: ci saranno 95 azioni in più per ogni azione e se anche non ci fossero adesioni dirette, ci sarebbe il citato consorzio di garanzia.

Potrebbe essere un’opportunità di investimento che ridurrebbe il prezzo di carico ma si dovrà valutare ovviamente se Saipem possa recuperare terreno. Il titolo oggi a metà seduta valeva già 30,12 euro, dopo un minimo a 26 euro: significa una perdita di 67,23% in un anno, del 38,4% in 3 mesi e dell’11,62% in una settimana.

Come tutte le mediazioni al ribasso, il gioco può funzionare se il titolo riparte e quindi se la ripatrimonializzazione e il rilancio del gruppo vanno avanti, altrimenti sono solo nuove perdite. E prendere una palla mentre cade sperando che il rimbalzo sia prossimo.

Un Esempio

Supponiamo che un azionista abbia un’azione che ieri valeva 32,97 euro a quello stesso prezzo di carico. Se decidesse di non diluirsi, dovrebbe pagare altri 96,235, per avere alla fine 96 azioni. Il prezzo di carico crollerebbe da 32,97 euro a 1,3459 euro (contro azioni di nuova emissione appunto a 1,013), quindi ci sarebbero spazi di apprezzamento importanti.

Può sembrare peregrino come ragionamento, visto che l’azione ora quota già a 30,12 euro, ma chiaramente vanno considerate anche le valutazioni degli eventuali nuovi azionisti, quelli che valuteranno se prendere posizione proprio in occasione dell’aumento di capitale.

Ovviamente dovranno credere anche loro che la società possa recuperare, magari sull’onda della riscoperta globale dell’idrocarburo, della differenziazione nelle rinnovabili, delle nuove strategie al 2025.

Vale la pena calcolare che le nuove azioni sono quasi 93 volte quelle presenti sul mercato. Post aumento ci saranno quasi 2 miliardi di titoli. Alla fine del primo trimestre c’era un patrimonio di quasi 700 milioni e debiti per 1,25 miliardi, voci che però già incorporavano un versamento in conto futuro aumento di capitale da 646 milioni da parte dei soci Eni e CDP Industria.

Restano dunque circa 1,35 miliardi che dovrebbero rafforzare i conti, se andassero in patrimonio lo riporterebbero sopra l’indebitamento finanziario, ma probabilmente ci sarà un riequilibrio più complesso. Per amor di simulazione abbiamo provato a riprodurre la stessa distribuzione di fine marzo con le nuove risorse e ottenuto un patrimonio da 1,48 miliardi e un debito in calo a 686 milioni. Le cose andrebbero meglio.

C’è qualche giorno per decidere: i diritti saranno negoziabili dal 27 giugno al 5 luglio 2022 ed esercitabili dal 27 giugno all’11 luglio, nel frattempo i corsi probabilmente scenderanno ancora. Ma quali sono i piani di Saipem?

Saipem, come arriva all’aumento di capitale

Dopo l’ultimo profit warning il cda è quasi completamento cambiato. Solo Francesco Caio è rimasto e anzi ha rafforzato il proprio ruolo operativo passando da presidente ad amministratore delegato e diventando poi direttore generale, ma con affiancamento di Alessandro Puliti. L’ex amministratore delegato Stefano Cao ha lasciato ed è cambiato tutto il consiglio di amministrazione solo l’indipendente Paul Simon Schapira era già presente il 30 aprile 2021, quando c’è stato il reshuffle.

D’altronde le best practice del Codice di Corporate Governance imponevano allora e impongono oggi una maggioranza di indipendenti nel board (5 su 9) che non ha salvato il gruppo da un altro allarme utili. Ad aprile di quest’anno il giudice dell’udienza preliminare di Milano ha prosciolto l’ex ad Stefano Cao e l’ex CFO Alberto Chiarini dalle accuse di false comunicazioni sociali (tra il 16 marzo 2016 e il 27 luglio 2016 però) e di falso in prospetto e manipolazione del mercato tra il 27 ottobre 2015 e il 27 luglio 2016 “perché il fatto non sussiste”.

Altri cambiamenti hanno guidato l’ennesimo nuovo corso di Saipem, a partire dalla cessione il primo di questo mese a KCA Deutag di tutte le attività del drilling onshore per 550 milioni di euro e un 10% della stessa KCAD. Era uno dei piatti forti del menù del rilancio e ha coinvolto attività in 13 Paesi, circa 4 mila persone e 83 impianti di perforazione a terra di proprietà con ricavi da 347 milioni nel 2021 e un ebitda adjusted da 82 milioni.

L’acquirente (e nuova socia di Saipem come detto) ha la sede in Scozia, poco a sud di Aberdeen. Il drilling onshore era uno dei maggiori imputati delle ultime perdite, fra pandemia, rincari e costi e altro i margini di alcuni suoi progetti si erano deteriorati di circa 440 milioni di euro.

Ma non era l’unico al banco: l’aumento delle stime sui costi di completamento di alcuni progetti eolici offshore era aveva fatto contabilizzare perdite nei primi nove mesi del 2021 per circa 270 milioni, cui si erano aggiunte ulteriori revisioni tra dicembre 2021 e gennaio 2022 per 580 milioni di euro.

Ancora nel primo trimestre di quest’anno il gruppo pur accrescendo da 1,62 a 1,94 miliardi di euro il giro d’affari registrava una perdita di 98 milioni di euro, in calo poco consolante rispetto al rosso da 120 milioni del primo quarto del 2021. Un buon segnale giungeva dai nuovi ordini: 2,35 miliardi contro 1,59 miliardi nel primo trimestre 2021, ma il portafoglio ordini residuo fletteva a 22,18 miliardi (23,9 mld con quelli delle società non consolidate). La manovra di rafforzamento è passata anche da una liquidity facility garantita da Eni per 855 milioni di euro e sono stati ripagati bond per 5 milioni.

Saipem, anni di perdite

Il 2021 si è comunque chiuso con una perdita da 2,467 miliardi, dopo un 2020 in rosso per 1,13 miliardi. Nel 2019 il gruppo aveva fatto un utile da 12 milioni a fronte di ricavi da 9 miliardi (sono poi scesi a 7,34 e infine nel 2021 a 6,87 miliardi). Nel 2018 il gruppo aveva perso 472 milioni di euro, nel 2017 altri 328 milioni, nel 2016 Saipem aveva perso 2 miliardi di euro e nel 2015 806 milioni. Insomma è una società in rosso da un pezzo ormai.

Saipem, le prospettive del piano industriale

Il rating di Saipem di S&P è a BB con credit watch positivo, quindi è un junk bond, ma ovviamente prima della ripatrimonializzazione avviata. Cosa promette la compagnia degli scarabei per il futuro?

A ottobre è stato annunciato un piano industriale al 2025 poi superato dagli eventi e aggiornato il 25 marzo scorso. Si comincia con questo rafforzamento patrimoniale e si punta su E&C offshore per il quale si prevede un CAGR 2021-2025 dell’8%, poi c’è il Drilling offshore con CAGR 2021-2025 al 16% e il Wind Offshore con CAGR oltre il 30% tra 2021 e 2025.

La riduzione dei costi di struttura cresce a oltre 150 milioni di euro quest’anno e supera i 300 milioni a regime già nel 2024 (baseline 2021). Razionalizzazione uffici internazionali e revisione costi generali e amministrativi fanno parte del pacchetto. Così come una maggiore attenzione sull’E&C onshore che prevede nuovi progetti per 15 miliardi fra 2022 e 2025 in calo del 14% rispetto alle stime dello scorso ottobre soltanto.

Si vola più bassi anche sull’eolico offshore, con una concentrazione su progetti meno rischiosi come installazione e transporto che dovrebbero ammontare a 0,8 miliardi nel periodo 2022-2023, un terzo dei 2,4 miliardi previsti a ottobre. Dopo si dovrebbe correre di più con altri 2 miliardi di euro di progetti nel settore fino al 2025.

Ovviamente la transizione ecologica si fa spazio con l’ambizioso obiettivo di progetti per 1,3 miliardi di euro nella filiera della cattura del carbonio, del riciclo della plastica e nelle tecnologie robotiche subsea.

Già quest’anno l’ebitda adjusted dovrebbe essere di mezzo miliardo e crescere poi fino a oltre un miliardo nel 2025. L’anno prossimo dovrebbe tornare la generazione di cassa dopo l’assorbimento previsto a un miliardo circa quest’anno.

Il free cash flow sarà condizionata dalla revisione del libro ordini per circa 1 miliardo in quattro anni (500 milioni quest’anno), ma dovrebbe crescere a 700 milioni di euro a fine piano. La PFN con i 2 miliardi migliorerà e dovrebbe quasi azzerarsi nel 2025. Non si azzardano stime sugli utili.

Insomma una rimonta e un consolidamento su più fronti. I prossimi bilanci diranno se funzionerà.