USA e Australia uniscono le forze sulle terre rare: parte la sfida al dominio cinese

di Alessandro Magagnoli pubblicato:
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Washington e Canberra siglano un accordo su minerali critici Nel mirino la dipendenza dalla Cina, che oggi controlla oltre l’85% della raffinazione globale: l’obiettivo è costruire una catena di approvvigionamento occidentale autonoma e resiliente

USA e Australia uniscono le forze sulle terre rare: parte la sfida al dominio cinese

USA–Australia: alleanza strategica sulle terre rare per sfidare il dominio cinese

Gli Stati Uniti e l’Australia hanno firmato alla Casa Bianca un accordo da 8,5 miliardi di dollari per la cooperazione nel settore dei minerali critici e delle terre rare, risorse fondamentali per l’industria della difesa, l’energia e l’automotive.
L’intesa, siglata da Donald Trump e dal premier australiano Anthony Albanese, mira a ridurre la dipendenza occidentale dalla Cina, che oggi controlla circa il 70% dell’estrazione globale, l’85% della raffinazione e il 90% della produzione di magneti a base di terre rare.

Trump ha parlato di una futura “sovrabbondanza di risorse” per gli Stati Uniti, sottolineando che l’accordo rappresenta un tassello della nuova politica industriale americana: costruire catene di approvvigionamento resilienti e “amichevoli” (friend-shoring).
L’intesa prevede tre linee operative:

  1. 1.

    Progetti congiunti USA–Australia di estrazione e lavorazione.

  2. 2.

    Investimenti diretti statunitensi nella raffinazione australiana.

  3. 3.

    Collaborazioni trilaterali con partner come Giappone e Regno Unito.

Nei prossimi sei mesi, saranno stanziati oltre 3 miliardi di dollari in nuovi progetti minerari, con un valore stimato delle risorse recuperabili pari a 53 miliardi.
La Export-Import Bank americana ha inoltre emesso lettere di interesse per 2,2 miliardi di dollari di finanziamenti, destinati a mobilitare fino a 5 miliardi in iniziative di sicurezza mineraria e logistica.

Parallelamente, il Dipartimento della Guerra investirà nella costruzione di una raffineria di gallio da 100 tonnellate annue in Australia Occidentale, elemento cruciale per semiconduttori e tecnologie militari.
Contestualmente, Canberra ha annunciato l’acquisto di 1,2 miliardi di dollari di veicoli sottomarini Anduril, in continuità con l’accordo AUKUS (Usa–Regno Unito–Australia), volto a rafforzare la cooperazione militare in chiave anticinese.


Il contesto globale: Pechino restringe le esportazioni, l’Occidente corre ai ripari

La mossa arriva in un momento di forte tensione geopolitica: la Cina ha ridotto del 28,7% su base mensile le esportazioni di terre rare verso gli Stati Uniti a settembre, secondo la General Administration of Customs. È la seconda contrazione consecutiva, segno di un irrigidimento strutturale nelle forniture.

Le nuove restrizioni cinesi, che includono materiali come itterbio, olmio ed europio, mettono sotto pressione intere filiere industriali — dai motori elettrici ai sensori automobilistici, fino agli impianti per energie rinnovabili e sistemi militari avanzati.
La dipendenza resta schiacciante: per le terre rare pesanti, Pechino controlla il 99,8% della raffinazione mondiale.


Le sfide industriali e le prospettive strategiche

Nonostante nuove scoperte di giacimenti in Svezia e Canada, il vero collo di bottiglia è la capacità di raffinazione, che al di fuori della Cina resta minima.
Alcuni attori europei, come la francese Neutral (sostenuta da Renault), stanno investendo nel riciclo delle terre rare: oggi tratta circa 400.000 veicoli l’anno, ma il potenziale resta ancora limitato rispetto ai bisogni industriali.

L’accordo USA–Australia va quindi letto come un passo di lungo periodo per costruire un ecosistema alternativo, non solo produttivo ma anche tecnologico e logistico.
Il vero obiettivo non è semplicemente “diversificare”, ma riportare sotto controllo occidentale segmenti strategici della supply chain, oggi vulnerabili alle decisioni di Pechino.


Considerazioni finali

L’intesa rappresenta una mossa geopolitica di portata strutturale, al crocevia tra energia, tecnologia e sicurezza nazionale.
Se i progetti si concretizzeranno, gli Stati Uniti potrebbero diventare — nel giro di 5-7 anni — autosufficienti nella lavorazione di alcuni minerali chiave, riducendo l’impatto delle crisi di approvvigionamento globali.
Ma serviranno investimenti massicci, tempi lunghi e stabilità politica per costruire una catena del valore capace di competere con la macchina industriale cinese.

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