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TIM: bilancio, nuova leadership e politiche nell'assemblea strategica di domani

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
10 min

TIM: ecco cosa bolle in pentola, cosa si aspetta il mercato, cosa cambierà e cosa no. Al vaglio dei soci non solo la decisione sul nuovo cda, ma in fondo anche tutta la sua strategia. Vivendi resta insondabile, piccole liste scalpitano.

TIM: bilancio, nuova leadership e politiche nell'assemblea strategica di domani

Brilla in queste ore in controtendenza il titolo di TIM a Piazza Affari: l’azione segna un rialzo dell’1,26% a 22,46 centesimi, la capitalizzazione del gruppo è a 4,768 miliardi. Anche ammettendo che gli scambi oggi sono adulterati dallo stacco delle cedole (il Future sul Ftse MIB che non ne è influenzato, guadagna terreno) è comunque una performance da considerare.

Nonostante sia ormai da anni una penny stock l’assemblea dei soci di domani 23 aprile 2024 di TIM sarà infatti uno degli eventi dell’anno finanziario e industriale italiano. Perché?

TIM, i punti dell’assemblea

L’assemblea di domani prevede all’ordine del giorno 5 punti in parte ordinaria e 1 in parte straordinaria. In definitiva i temi caldi sono due: l’approvazione del bilancio 2023, con relativa copertura della perdita d’esercizio, la nomina del nuovo consiglio di amministrazione. A latere hanno senza dubbio un peso l’approvazione della nuova politica di remunerazione, la nomina del collegio sindacale e ulteriori dettagli, ma quella di domani sarà un’assemblea essenziale per il futuro di TIM perché con il voto sulla continuità o meno dell’attuale consiglio di amministrazione si voterà anche tutta la strategia portata avanti dal board guidato dall’amministratore delegato Pietro Labriola.

In altre parole il grande tema, assente dall’avviso di convocazione dei soci, sarà quella cessione della rete fissa di TIM – la cosiddetta Netco – che dovrebbe dare un colpo di spugna al debito e trasformare la TIM di oggi in una società completamente diversa, per natura, posizionamento e ambizioni.

Al tempo stesso, dato che la cessione della Netco al fondo statunitense KKR è tutt’altro che pacifica, almeno tra gli orientamenti dei soci, gli equilibri di potere nel nuovo consiglio di amministrazione saranno la cartina di tornasole dei futuri passi della società delle telecomunicazioni.

Il socio di riferimento di TIM con il 23,75% del capitale sociale è il colosso francese Vivendi e da tempo ostacola la vendita della rete con fierezza giudicando sempre inadeguate le offerte giunte sul tavolo del management. Quanto meno i niet sono serviti da sprono, ma alla fine, tra diverse intemperie, il board ha traghettato una serie di mosse che dovrebbero aver messo in sicurezza il percorso e dei punti fermi appaiono (quasi) indubitabili.

La rete sarà venduta a KKR per 18,8 miliardi di euro in termini di entreprise value (quindi anche debiti/crediti) e al netto di Sparkle (il backbone in fibra ottica internazionale). Successivamente si potrebbe arrivare fino a 22 miliardi di euro fra earn-out e possibile aggregazione della stessa rete con quella di Open Fiber. E’ tutto scritto nero su bianco sul comunicato dello scorso 5 novembre.

Nel frattempo però sono successe molte cose, a partire dal fatto che un po’ a sorpresa la stessa Vivendi non ha presentato una lista per il cda, pur rimanendo in contrapposizione all’operato dell’attuale consiglio di amministrazione uscente che domani passerà al vaglio dei soci con una propria lista. Vivendi ha infatti presentato una lista soltanto per il collegio sindacale e questo è stato letto da molti osservatori come l’anticipo di battaglie legali sulla cessione della rete – che procede – o anche come un appello agli umori dell’assemblea che domani dovrà decidere del futuro di TIM.

Non a caso tutte le listarelle alternative al cda si sono appellate al socio francese cercando e sperando di raccoglierne i voti.

Bastava lo 0,5% del capitale per presentare una propria lista di consiglieri e così non sono mancati i piani alternativi agganciati a nuovi elenchi di candidati manager alla guida del gruppo. Piccoli pacchetti azionari che potrebbero diventare decisivi se ottenessero l’appoggio di Vivendi e che hanno guadagnato credibilità con una composizione spesso d’eccellenza dei manager proposti per la guida di questa seconda vita di Telecom Italia.

TIM, i piani e gli uomini di Merlyn

Sono infatti spuntate nel menù dei manager che domani passerà sul tavolo dei soci la lista di Merlyn Partners: i primi nomi sono Umberto Paolucci e Stefano Siragusa. Il primo, indicato come presidente, è praticamente l’uomo che ha messo in piedi Microsoft in Italia, il secondo è stato vicedirettore generale di TIM e conosce molto bene l’azienda e il suo mercato.

Merlyn ha un pacchetto dello 0,53% del capitale di TIM e ha messo in piedi il piano TValue che prima della conclusione della vendita della Netco, ossia la rete che dovrebbe passare di mano entro l’estate o per l’autunno, e in presenza di un piano industriale che già ne sconta gli effetti, prevede difficoltà nell’operazione che suggerirebbero ulteriori manovre di peso, a partire dalla vendita delle redditizie attività brasiliane e perfino di TIM Consumer, ossia praticamente tutta l’attività commerciale al dettaglio rivolta a famiglie e imprese, quella che oggi sarebbe il core business di Telecom Italia.

Rimarrebbero in pancia alla nuova TIM immaginata da Merlyn le attività di digital enabler che oggi vanno sotto il cappello di TIM Enterprise e che contengono i vari servizi a valore aggiunto, dalla digitalizzazione alla cybersecurity, al cloud, all’IoT. Un TIM in partenza piccola piccola, ma molto dotata grazie ai proventi delle varie cessioni, al punto da immaginare un’attività di polo aggregatore non solo italiano, ma addirittura europeo nel settore.

TIM, il piano di Bluebell e di Bivona

Un altro piano è quello di Bluebell, altro piccolo azionista con lo 0,50% del capitale che ambisce al supporto di Vivendi. Nella sua lista ci sono Paola Giannotti De Ponti, indicata come presidente, Paolo Amato e Laurence Lafont.

Bluebell è un fondo lanciato nel 2019 da Giuseppe Bivona, noto ex McKinsey con una grande esperienza da banchiere d’affari in Goldman Sachs, Morgan Stanley e Lehman Brothers.
Partner e co-CIO (capo degli investimenti) è Marco Taricco, altro manager con un forte curriculum nelle banche di investimento e un coinvolgimento nella privatizzazione di TIM tanti anni fa oltreché nell’IPO di Mediaset, Gucci, Bulgari e Ferragamo.

La presidente designata Giannotti De Ponti ha una grande esperienza come consigliere indipendenti di diverse quotate e nella gestione del rischio.
Anche Paolo Amato è un ex McKinsey con grande esperienza nella finanza e un trackrecord di tutto rispetto anche nell’industria (Prysmian, Be Power, AirOne, Astaldi, Ariston…).
E’ dell’11 aprile il piano di Bluebell per TIM e riporta che secondo loro la decisione strategica della vendita della NetCo si è rivelata difettosa fin dall’inizio, che il deal non ha rispettato i diritti delle minoranze e che la sola indicazione che Bluebell fornisce ai suoi candidati al board è di revisionare lo status della cessione e agire nel miglior interesse dei soci.

In altri termini la società è contro il breakup della ServiceCo e il nuovo board dovrebbe valutare con attenzione il valore di ogni business unit del gruppo.

Non è per Bluebell una priorità la cessione del Brasile, mentre l’Enterprise ha grandi potenzialità e la stessa TIM Consumer potrebbe strappare valore al mercato grazie alla forza del brand che comunque ha la potenzialità di emergere con la fine della guerra dei prezzi lanciata dall’ingresso di Iliad nel mercato italiano.

Sarà comunque importante rivedere la base dei costi confrontandola con i peer e riformare le risorse umane presenti per dirigerle sulle aree di crescita maggiore.

Donna di punta di questo piano sarebbe Laurence Lafont, terzo nome della lista e manager di peso con una grande esperienza nel settore sia in Microsoft che in Oracle e Orange. A lei andrebbe l’incarico di amministratrice delegata della società.

TIM, le liste dei piccoli azionisti e dei fondi

Per completezza, e perché in termini di azioni da portare in assemblea non sono da meno, vanno ricordate anche le liste di Asati, la storica sigla dei piccoli azionisti di TIM guidata da Franco Lombardi con lo 0,53% del capitale della compagnia e la lista di Assogestioni, quindi di diversi fondi “investiti” come usa dirsi in TIM fino all’1,32%, di cui gran parte (1,174% del capitale della tlc) messo a sostegno della candidatura per il cda di Paola Bruno, manager di esperienza nel campo della governance e con diversi mandati da consigliere indipendente in diverse società quotate e non (tra le quali Retelit e Inwit), grande esperienza nel campo della finanza e una carriera accademica in essere.

TIM, la posizione del cda e quella dei proxy

Alla fine, come visto, molte delle liste presentate per il rinnovo del consiglio di amministrazione di TIM aspirano a raccogliere i voti di Vivendi e ottenere la guida del gruppo verso un futuro che in gran parte sembra tracciato.

Dei proxy in qualche maniera, anche se con specifiche autonome, dallo spezzatino di Merlyn alla revisione della situazione di Bluebell.

Ma i proxy veri, quelli che vengono ingaggiati per suggerire agli azionisti internazionali come votare in questi casi si sono già schierati con il cda uscente.

Segnatamente sia ISS che Glass Lewis con sfumature diverse hanno alla fine suggerito di votare per la lista del cda uscente che candida ai vertici Alberta Figari come nuova presidente e Pietro Labriola riconfermato ad del gruppo, seguiti da nomi come Giovanni Gorno Tempini e altri.

Secondo, ISS la lista del cda uscente (e ISS spera sia ridotto il numero di componenti a 9) fornisce garanzie di continuità su un piano che è stato dettagliato con la presentazione del 7 marzo scorso, il piano “Free to run” che appunto riperimetra TIM in TIM Consumer, Enterprise e Brasil e che prevede un ritorno alla crescita con la stabilizzazione del core business, con l’esdebitazione attuata con la vendita della rete e con il rilanciato ruolo di protagonista della digitalizzazione italiana.

Secondo ISS, le liste di Merlyn e Bluebell hanno ottimi manager ma non hanno chiarito abbastanza le strategie alternative ai piani in essere, anzi causerebbero una discontinuità strategica forte rispetto al processo di cessione della rete senza aver dettagliato cosa intendono fare in alternativa.

Quando ISS si esprime nota anche la mancata designazione di un CEO per il futuro cda, ma va precisato che in seguito Blubell ha indicato appunto Laurence Lafont per l’incarico. In questo caso però non è stata troppo precoce ISS; ma troppo tardiva Bluebell.

Anche il proxy advisor Glass Lewis appoggia, in definitiva la lista del consiglio uscente. Anche Glass Lewis giudica in definitiva troppo generiche le alternative strategiche di Merlyn, Bluebell e Asati, con diversi dettagli in più forniti senza dubbio da Merlyn, ma comunque insufficienti a dare fiducia a questa new entry che nei mesi è passata dal no alla vendita della rete a un sì condizionato seguito al via libera del governo alla cessione (il golden power).

Tim, la cessione della rete e la situazione

Al riguardo, in questo ginepraio di posizioni in evoluzione, va segnalato anche lo stato delle cose in termini di autorizzazioni alla cessione della rete Netco di TIM. Anche in questo caso le risposte pre-assembleari alle domande dei soci di TIM forniscono diversi spunti utili.

Il documento conferma che il 17 gennaio 2024 l’operazione di vendita della NetCo a KKR – che è alla base di tutto come visto – ha ottenuto l’ok del governo sotto il profilo del golden power.

Resta l’Europa, che non è problema da poco, ma sembra meno problematica nelle ultime settimane. Le risposte ai soci confermano che è al vaglio del DG Comp, ossia la temibile Antitrust UE. Il Sole ha riportato con tempismo notevole che KKR ha notificato all’Antitrust UE il deal e che quindi ora, da regolamento, scattano i 25 giorni per il responso dell’Antitrust europeo.

Se i lavori procedessero rapidamente si potrebbe arrivare a fine maggio con le carte in regola la vendita della Netco che avrebbe a quel punto i 6 mesi di storia come società a sé necessari per la cessione. Tutto questo per dire che quindi davvero a giugno si potrebbe arrivare pronti per chiudere l’accordo, come stimato da TIM e da Labriola.

Da contratto il termine massimo è al 15 ottobre, ma ovviamente se per l’estate TIM chiudesse la cessione, come da intese, anche il nuovo board otterrebbe un atout di fiducia dai mercati che sicuramente farebbe bene alla ServiceCo rimasta in campo.

Prima di allora però, lo scoglio dell’assemblea di domani sarà formidabile perché solo domani e solo in quella sede si potranno davvero misurare gli umori e la posizione dei soci su un percorso strategico che comunque sia cambierebbe il profilo e il futuro della società.