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Titoli di Stato: il falso mito del rischio zero

di Enrico Danna pubblicato:
3 min

I Titoli di Stato, nell’immaginario collettivo, rappresentano un porto sicuro, un’ancora di salvezza nell’intricato mare degli investimenti finanziari ma anche questi strumenti non sono esenti da rischi. Vediamo quali sono.

Titoli di Stato: il falso mito del rischio zero

Comprare Bot, Btp, Cct, è da sempre un marchio di fabbrica del risparmiatore italiano; è proprio insito nel DNA del nostro popolo, cercare la tranquillità in queste tipologie di titoli.

Che, in anni nemmeno troppo lontani, garantivano rendimenti anche a due cifre (ci si dimenticava però di compararli ai livelli decisamente elevati dei tassi di inflazione dell’epoca). I Titoli di Stato, quindi, dalla notte dei tempi, vengono associati al cosiddetto rischio zero. Siamo sicuri che sia proprio così?

Titoli di Stato: Quali rischi si corrono

Che cosa si intende quando si parla di rischio? Sostanzialmente, con questo termine, si vuole indicare la possibilità di perdite in conto capitale. “Cosa c’è di più sicuro di uno Stato?”, era la domanda ricorrente nei decenni scorsi, quasi a voler esorcizzare il concetto di porto sicuro.

I titoli di Stato, rappresentano strumenti per finanziare il debito pubblico dello Stato che li emette. Se lo Stato in questione ha una economia solida, non c’è alcun tipo di problema. Viceversa, come è capitato ad esempio all’Argentina (tanto per citare un caso eclatante), se la situazione economica si deteriora, si corre il rischio di arrivare anche al cosiddetto “default”, ovvero l’impossibilità dell’Ente emittente di rimborsare il debito contratto.

Ovviamente, non è che questo si verifichi da un giorno all’altro. Ci sono delle avvisaglie ben precise, tra le quali, ad esempio, l’emissione di titoli a tassi sempre più elevati al fine di attrarre l’attenzione degli investitori (a parità di rendimento proposto, scelgo il rischio più basso. Se sono un emittente con i conti non proprio in ordine, per fare in modo di riuscire a raccogliere il denaro necessario alla mia attività, sono costretto a remunerare maggiormente i miei investitori).

Quello che abbiamo appena evidenziato, viene definito come “rischio dell’emittente”. Domanda: tra un titolo di stato emesso dalla Germania e uno emesso dall’Italia, quale vi darebbe maggior tranquillità?

Titoli di Stato: il rischio di perdite in itinere

Se acquisto un titolo a breve termine o uno indicizzato all’andamento dei tassi di mercato, correrò il rischio legato alla solvibilità di chi, questo titolo, lo ha emesso. Se invece ho puntato su un titolo a tasso fisso poliennale, devo tenere in considerazione anche l’andamento della congiuntura economica.

Più lontana nel tempo è la scadenza del mio titolo, maggiori sono le possibilità che, in caso di condizioni economiche avverse, si possano subire perdite in conto capitale in caso di smobilizzo anticipato dello stesso. Un BTP trentennale, ad esempio, è uno strumento decisamente speculativo, il cui prezzo di riferimento, può avere oscillazioni anche molto evidenti nel corso della propria vita.

Se lo abbiamo acquistato in una fase di tassi di mercato stabili o in discesa e poi, in seguito al mutare delle condizioni macroeconomiche, le banche centrali decidono di attuare una politica di innalzamento dei tassi di interesse, il prezzo del nostro BTP, in quel determinato periodo, potrà essere (e anche di parecchio) inferiore al prezzo di acquisto.

Nel caso fossimo costretti a smobilizzare una parte o tutto l’investimento, andremmo incontro a perdite in conto capitale più o meno ingenti. Ecco che quindi, tecnicamente, definire un titolo di Stato come “rischio zero” si rivela una affermazione impropria e non propriamente corretta.