Apple, ecco cosa significa il 7% di iPhone prodotti in India

di Giovanni Digiacomo pubblicato:
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La casa di Cupertino allarga la base produttiva e guarda anche alla Thailandia. È l’effetto del Covid, ma non solo. Formidabili tensioni geopolitiche si affiancano alle decisioni di Tim Cook. La strada per Nuova Delhi sembra tracciata, ma lo storico rapporto con la Cina non è in discussione.

Apple, ecco cosa significa il 7% di iPhone prodotti in India

Apple ha prodotto quasi il 7% dei suoi iPhone in India nell’ultimo esercizio e quindi ha prodotto in loco più di 7 miliardi di dollari. Soltanto nel 2021 produceva nel Paese appena l’1% del totale, questo la dice lunga sui cambiamenti in corso.

Il gruppo guidato da Tim Cook da tempo vuole espandere la catena di approvvigionamento fuori dalla Cina, ma l’ultimo anno ha dato un impulso decisivo a questa intenzione.

Cina, per Apple grosso guaio ad iPhone City

Il 6 novembre scorso il colosso dell’elettronica di Cupertino ha comunicato che le restrizioni per il Covid-19 in Cina stavano danneggiando la produzione di iPhone 14 Pro e iPhone 14 Pro Max nel sito vicino a Zhengzhou.

In realtà nella cosiddetta “iPhone City” cinese, il complesso industriale della taiwanese Foxconn, era il caos. Le proteste dei lavoratori, costretti a ritmi serrati di produzione in vista di Natale e privati di diversi piccoli spazi di liberà dalla politica Zero Covid, erano esplose in ribellioni, chiamando in causa anche il governo di Xi Jinping, che di lì a poco avrebbe cambiato rotta sulle restrizioni.

“Per cinque dollari l’ora o meno, non ne vale la pena”, aveva sibilato qualcuno dei contestatori. I giovani scappavano dall’impianto, scavalcando i recinti e tornando a casa. È stato stimato che in quel maxi-stabilimento di Foxconn ci siano circa 300 mila lavoratori e che, su base locale, oltre un milione di posti sia collegato a quella produzione.

Per Apple è stato un grosso danno di immagine e un grosso danno industriale. Il vecchio piano di differenziare la produzione verso l’India e la Thailandia è diventato urgente. Ma il quadro restava complicato.

Apple, rotta verso l’India

Da allora Apple ha spinto con forza i maggiori fornitori verso l’India: Foxconn, Wistron Corp e Pegatron contano ormai circa 60 mila lavoratori nel Paese e producono modelli che spaziano dall’iPhone 11 all’iPhone 14.

Al contempo l’India di Narendra Modi, sempre più intenzionata a giocare un ruolo da protagonista nello scenario globale, si è preparata ad accogliere le multinazionali tecnologiche straniere come un’ opportunità strategica per il Paese.

La potenziale domanda interna del mercato indiano è un fattore di grande attrazione per Apple, ma per anni i grandi distributori stranieri sono stati limitati da regole che imponevano un forte ricorso per l’approvvigionamento alle materie prime e risorse interne del Paese.

Era un modo per forzare nuove partnership con operatori locali, ma per le produzioni complesse di Apple, che non può ancora oggi basarsi soltanto sulla componentistica e le competenze indiane, era una barriera eccessiva.

Dal 2019, però, nuove norme più concilianti hanno sbloccato gli investimenti esteri e il quadro ha avviato quel cambiamento di cui oggi si percepiscono i primi importanti effetti.

India, i successi e le sfide di Apple

Una ricerca di Counterpoint Research ha evidenziato che le spedizioni dall’India di Apple sono cresciute nel 2022 del 65% a/a in termini di volumi e del 162% in termini di valore. Questo nonostante un calo del 3% delle spedizioni di smartphone “Made in India” nel 2022, soprattutto a causa di un rallentamento generale della domanda.

Tra operatori competitivi come Samsung e Oppo, Apple è così riuscita a raggiungere il 25% del valore di tutte le spedizioni di smartphone dall’India. A breve la società di Cupertino prevede l’apertura dei primi due negozi al dettaglio nel Paese, a Mumbai e a Nuova Delhi. Potrebbe persino essere presente l’amministratore delegato Tim Cook a suggellare il nuovo ruolo del Paese nei piani del gruppo.

Ma le sfide non mancano. La Cina ancora oggi mostra una capacità di intervento dello Stato efficiente e capillare che è fondamentale per la sicurezza degli investimenti industriali di una multinazionale articolata come Apple.

Al confronto l’India è una Babele, in cui ogni Stato segue leggi proprie e gestisce a modo proprio i rapporti con il business rendendo molto più complessa l’articolazione industriale di grandi gruppi stranieri. È vero che anche l’India gode di una popolazione paragonabile a quella della Cina e di un grande bacino di risorse umane che parlano inglese e hanno competenze in ambito tecnologico.

Ma la filiera indiana degli smartphone è fortemente dipendente dalla componentistica straniera e in particolare cinese. Anche se in prospettiva Apple in India potrebbe produrre i componenti dei propri dispositivi e non limitarsi più ad assemblarli, il quadro attuale è ben diverso e si stima che solo il 15% circa della filiera indiana degli smartphone abbia provenienza domestica.

La nuova architettura modulare degli iPhone aiuta in maniera importante la produzione indiana e si moltiplicano gli impianti nel Paese (di recente è corsa voce che Foxconn voglia investire circa 700 milioni di dollari in un nuovo “plant” indiano), ma ci vorrà tempo. Counterpoint Research stima comunque che entro il 2025 il 18%-20% di tutti gli iPhone potrebbe essere prodotto in India, quindi potremmo essere soltanto all’inizio.

Intanto altre produzioni migrano in altre regioni dell’Asia, come la Thailandia, che già è una protagonista della produzione degli smartwatch di Apple e dovrebbe produrre componenti per i Mac, per cui sarebbero già in corso trattative con potenziali fornitori.

La Thailandia è troppo piccola per accogliere le mastodontiche produzioni di smartphone, ma per le altre, come gli airpod, è un’opportunità. Anche se sul fronte dei Mac il persistente crollo della domanda, rappresenta un’ulteriore sfida per il colosso californiano.

Apple e Taiwan al centro della geopolitica tra Cina e Stati Uniti

Sullo sfondo di questa ristrutturazione di Apple che è molto legata alla differenziazione delle supply-chain del dopo-pandemia e al consolidamento delle catene di approvvigionamento, si pongono con decisione anche grossi temi geopolitici, come il vero e proprio scontro tecnologico in atto da anni tra Washington e Beijing. Fra questi attriti per le multinazionali si crea un’incertezza che impone dei cuscini.

Il caso della guerra russa in Ucraina e della posizione cinese in materia non fa che polarizzare ulteriormente la questione.

Lo snodo globale dell’industria dei semiconduttori di Taiwan è inoltre da tempo al centro delle questioni geopolitiche cinesi e questo complica ulteriormente la posizione di Apple, che oltretutto dipende ancora in maniera formidabile dalle forniture della taiwanese Foxconn di Terry Gou.

Nel gennaio 2024 a Taiwan si terranno delle importantissime elezioni politiche per il rinnovo della presidenza attualmente in mano a Tsai Ing-wen del partito DPP che ha stretto negli ultimi difficili anni i legami con gli Stati Uniti.

Per la presidenza vuole correre proprio Terry Gou, che ha lasciato gli incarichi diretti in Foxconn dal 2019 e cerca di ottenere la nomina a candidato del Kuomintang, partito di opposizione tradizionalmente più vicino alla Cina.

Il suo obiettivo sembra un raffreddamento delle tensioni geopolitiche tra Washington e Beijing. Un ponte tra le due superpotenze, così come la sua Foxconn ha già fatto sul piano industriale.

Difficile immaginare una persona più adatta al ruolo. Intanto però Apple comincia a guardare anche altrove.